Il 14 luglio potrebbe ben presto diventare non solo una data simbolo per la democrazia francese, ma anche il giorno di una svolta definitiva in senso contrario per quella israeliana.

Il presidente della Knesset Amir Ohana ha infatti fissato per questa data il voto in plenaria sull’espulsione dal parlamento di Ayman Odeh, il più eminente rappresentante della compagine arabo-israeliana, che costituisce oltre il 20 per cento della popolazione. Anche se dovesse essere rinviato, il voto dovrebbe avvenire prima della fine della sessione estiva della Knesset, il 27 luglio.

La mozione è già stata approvata dalla commissione affari interni dove ha riscosso il sostegno non solo dei partiti di governo – un fatto non sorprendente, trattandosi della maggioranza più di destra della storia del paese – ma anche di membri dei partiti che fanno capo al leader dell’opposizione Yair Lapid e all’ex capo di stato maggiore Benny Gantz.

Il tweet incriminato

All’origine dell’iniziativa c’è un tweet di Odeh che risale al 19 gennaio scorso, quando un accordo di cessate il fuoco aveva appena interrotto oltre un anno di guerra aperta nella Striscia (la precedente pausa nei combattimenti risaliva infatti al novembre 2023).

Odeh, commentando le immagini del rilascio degli ostaggi israeliani e dei prigionieri palestinesi dalle carceri dello Stato ebraico, scrisse: «Felice per il rilascio degli ostaggi e dei prigionieri. Ora dobbiamo liberare le due nazioni dal giogo dell’occupazione. Siamo tutti nati liberi».

Tanto è bastato per indurre Avichai Boaron, deputato dell’ala destra del Likud di Netanyahu, a stilare una mozione per l’espulsione di Odeh. «In un momento particolarmente delicato per il popolo israeliano, il deputato ha deciso di equiparare la gioia per il rilascio degli ostaggi ebrei al rilascio di terroristi assassini», ha scritto Boaron nella sua lettera al presidente della Knesset. «Pertanto si rende necessario avviare una procedura per rimuoverlo dalla carica».

Secondo Boaron, «la gioia espressa da Odeh conferisce legittimità al terrorismo omicida contro civili innocenti e non può essere ignorata». Il suo testo fa riferimento a un emendamento di legge del 2016 che considera «il sostegno alla lotta armata […] contro lo Stato di Israele» come base legale legittima per una mozione di sfiducia alla Knesset, laddove venga presentata con le firme di almeno 70 deputati. Dopo il voto a maggioranza in commissione, l’iter prevede il passaggio dalla plenaria, dove serve il sostegno di 90 parlamentari, cioè tre quarti della Knesset, per far decadere dal suo ruolo il leader arabo-israeliano.

«Indipendentemente dall’esito di questo voto, il tentativo di espellere il deputato Ayman Odeh è illegale e motivato da una forma estrema di incitamento all’odio», ci dice Hassan Jabareen, avvocato per i diritti umani oltre che fondatore e direttore generale di Adalah, un’organizzazione israeliana nata per proteggere i diritti della minoranza araba.

Jabareen, che ha affiancato Odeh durante le sedute in commissione in cui si discuteva la sua espulsione, riferisce di come i promotori della mozione utilizzassero toni estremamente aggressivi. «Ci sono stati inviti espliciti all’uso della violenza, come l’affermazione secondo cui, in qualsiasi altro paese, Odeh sarebbe stato giustiziato da un plotone di esecuzione [per quello che ha affermato]».

A detta di Jabareen, «si tratta di un attacco palese alla rappresentanza palestinese alla Knesset che deve essere categoricamente respinto». Per Adalah l’articolo di legge che viene invocato è di per sé uno strumento per imporre una «tirannia della maggioranza».

Ayman Odeh è uno storico rappresentante della minoranza araba ma il suo partito, Hadash, ha nelle sue fila membri di entrambe le comunità e ha fatto spesso appello anche all’elettorato ebraico. L’uguaglianza fra ebrei e arabi è sempre stato il cavallo di battaglia del suo impegno pubblico.

In un video diffuso tramite i suoi canali social Odeh ha denunciato il tentativo di escluderlo dal parlamento. «Vogliono riportare i cittadini arabi di Israele a una mentalità basata sulla paura. Una mentalità plasmata dal regime militare che ha dominato la nostra società negli anni Cinquanta e Sessanta dopo la Nakba», ha detto.

E ancora: «La destra sta conducendo una guerra contro la Corte suprema. Vogliono che il mio caso arrivi in tribunale per poter dire, chi decide, i 90 rappresentanti eletti dal popolo, o i sette giudici non eletti?»

Facendo appello all’opposizione mainstream affinché si opponga alla mozione, Odeh ha concluso: «Noi resteremo saldi, orgogliosi dei nostri principi umanitari, contro questa destra fascista, contro la guerra e contro l’occupazione, a qualsiasi costo».

All’epoca della prima intifada Odeh partecipò a manifestazioni di protesta nelle città arabo-israeliane e venne interrogato per questo motivo dallo Shin Bet. I genitori decisero di spedirlo a studiare in Romania, dove c’era un parente: Odeh infatti parla, oltre all’arabo, all’ebraico e a un pessimo inglese, anche il rumeno.

Lì studiò fra gli l’altro le vicende e gli scritti di Malcolm X e Martin Luther King, trovandosi più in sintonia proprio con King. Approdato alla Knesset per perseguire la sua battaglia per l’uguaglianza, incassò dopo un discorso i complimenti del parlamentare Yaakov Peri, che era stato a capo dello Shin Bet all’epoca del suo fermo.

Sanare il dolore

«Non sono disposto a dimenticare, ma sono disposto a perdonare. Jacques Derrida ha spiegato come perdonare: riconoscendo la sofferenza, chiedendo scusa, cominciando a sanare il dolore insieme a chi ha sofferto», mi disse Odeh qualche anno fa in un’intervista.

Anche da parlamentare israeliano Odeh non ha mai rinunciato ad alcuni capisaldi della sua identità palestinese, come la memoria della Nakba, l’opposizione all’espropriazione delle terre e la rivendicazione dell’autodeterminazione nazionale. Ma il suo è sempre stato un messaggio di pace e di dialogo.

Gli ultimi due anni hanno messo a dura prova la sua posizione «di mezzo». Tanto più a fronte di una maggioranza della Knesset che ha sdoganato il suprematismo ebraico e, in diverse occasioni, rifiutato di fare qualsiasi distinguo fra il terrorismo praticato da Hamas ed i civili di Gaza.

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