Il presidente eletto, Joe Biden, promette agli americani di «curare l’anima ferita» della nazione, ma il perimetro di recinzioni che isola il Campidoglio alla vigilia del suo insediamento racconta le difficoltà che dovrà affrontare per mantenere la parola. Possono quattro anni di presidenza Trump essere bollati come una “ferita” inferta al più grande paese democratico del mondo? Non c’è una risposta univoca, tantomeno semplice, e lo dimostra la crisi dei cattolici americani.

Secondo presidente cattolico della storia americana dopo John Fitzgerald Kennedy, Biden non è riuscito a far presa su tanti statunitensi che, in nome della fedeltà alla dottrina sociale della Chiesa, guardano a lui come a un elemento alieno ai valori costitutivi del magistero ecclesiale, nonostante la sua esperienza di fede. Si spiega così il supporto di alcuni movimenti cattolici al presidente uscente, Donald Trump, e anche la loro partecipazione al sit-in che ha anticipato l’assedio temporaneo del Campidoglio il 6 gennaio.

Dai movimenti pro-life all’ala più liberal, l’elezione di papa Francesco e la presidenza Trump hanno acuito una divergenza dal sapore scismatico che affonda le sue radici in una crisi dei valori palesata dalle culture wars, gli sforzi del clero statunitense per impedire di annacquare le istanze cristiane. Oggi quella stessa resistenza ha assunto toni sempre più accesi. Nei giorni scorsi ha suscitato qualche critica la riflessione del gesuita James Martin dalle colonne della rivista America, a proposito della responsabilità del clero cattolico nell’aver fomentato l’avversione verso Biden: «La denigrazione personale da parte dei membri del clero ha provocato inevitabilmente la mancanza di rispetto da parte dei fedeli, rendendo più facile per chi è ai banchi insultare governo e leader civici», ha detto il gesuita, riferendosi a una mole di tweet e dichiarazioni sottoscritti da esponenti del clero americano, come padre Stephen Imbarrato, che ha definito il neo presidente «uno scandalo che cammina e parla».

Non si tratta di una voce isolata: «Biden ama parlare della sua fede cattolica. Forse dovrebbe rendersi conto che l’aborto è una questione di diritti umani», ha scritto via Twitter il vescovo di Knoxville, Richard Stika. Non è riuscita a evitare l’imbarazzo neppure la Conferenza dei vescovi statunitensi, quando lo scorso novembre ha deciso di creare una commissione per affrontare le discordanze tra l’agenda presidenziale e il magistero della chiesa. La decisione, supportata dal presidente della conferenza, José Horacio Gómez, non è stata accettata da tutti. Critico, per esempio, è stato Robert McElroy, vescovo di San Diego, di cui si ricordano le parole pronunciate all’Erroneous Autonomy Symposium del 2016 sul senso di nazione come «aspirazione, lavoro in corso, qualcosa di cui in ogni generazione cerchiamo di essere all’altezza».

Lo scollamento con Roma

Trovare oggi una sintesi significa ammettere lo scollamento tra Washington e Roma. Non si spiegherebbero altrimenti le posizioni anti-Bergoglio dell’ex chief strategist di Trump, Steve Bannon, oppure la linea dell’Acton Institute, fondato su impulso della Centesimus annus di papa Giovanni Paolo II, spesso critico verso i princìpi riformisti del papa argentino. In un paese fondato anche su premesse religiose, scindere sfera politica e personale non è automatico, al punto che per alcuni cittadini la visione dell’«attività politica, vissuta come carità sociale» (papa Benedetto XVI, Deus caritas est) non sempre concorda con la lettura ecumenica di papa Francesco. L’impegno cattolico negli Usa deve tanto all’azione del clero locale, che in passato ha fatto leva sulla coscienza del singolo elettore nel nome di valori non negoziabili, come la difesa della vita «dal concepimento alla morte naturale». La condanna degli «atti intrinsecamente malvagi» come l’aborto – secondo la dichiarazione dei vescovi sulla Cittadinanza fedele del 2008 – per esempio, va letta come la volontà di sincronizzare l’etica della vita alla dottrina sociale della chiesa nel solco della Sollicitudo rei socialis di Giovanni Paolo II.

L’acceso dibattito sul Time avvenuto nel 2004 fra l’allora arcivescovo di St. Louis, Raymond Burke, e il candidato democratico alle presidenziali, John Kerry, sui temi etici, rischia nuovamente di replicarsi con Biden. La sua provenienza democratica, peraltro, non aiuta. Pochi mesi fa, il partito dem al Congresso si era opposto all’inclusione delle scuole cattoliche nei programmi di sostegno del governo federale: soltanto un intervento a gamba tesa dei vescovi ha salvato le scuole ridotte sul lastrico a causa della pandemia: secondo la National catholic association, il 35 per cento degli istituti cattolici ha usufruito del piano di aiuti federale; altre scuole si sono date al crowdfunding online, altre ancora sperano in una seconda tranche di finanziamenti.

Le controversie

L’emergenza pandemica ha mostrato in controluce la fragilità dell’enclave cattolica in una società sempre più inclusiva. Ne è esempio la sentenza Espinoza v. Montana del giugno scorso, con cui la Corte suprema americana ha permesso alle scuole cattoliche l’accesso a borse di studio, in precedenza negate dalle leggi dello stato del Montana. Oppure la causa intentata dalla Calvary Chapel al governatore del Nevada, Steve Sisolak, per non aver concesso alle chiese cattoliche una partecipazione di pubblico basata sul calcolo della capienza degli edifici di culto, viceversa applicato ai casinò.

Come ha scritto lo storico Massimo Faggioli sull’ultimo numero de Il Regno, «Joe Biden rappresenta un cattolicesimo in possibile via d’estinzione, (…) personifica quell’era della chiesa americana forgiata dalle scuole cattoliche gestite dagli ordini religiosi; dalla storia dell’immigrazione europea sulla costa orientale, nella zona dei Grandi laghi e il Midwest». Se, dunque, il nuovo presidente vuole essere portavoce di una svolta politica e valoriale degli Stati Uniti, dovrà necessariamente fare i conti con le questioni rimaste in sospeso. Potrebbe rivelarsi l’unico modo che ha per guadagnare la fiducia di quei cattolici che sono rimasti disorientati.

 

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