L’imprinting della leadership di Vladimir Putin è stata la guerra in Cecenia.  Iniziata nel 1994, da Yeltzin si era presto trasformata in un cocente e sanguinoso fallimento con molti strascichi. Quando il 9 agosto del 1999 Putin è nominato vice primo ministro, è ancora uno sconosciuto. La catapulta che lo porterà nella galassia dei grandi leader, è la ripresa della guerra in Cecenia: sarà lui l’uomo forte in grado di vendicare l’umiliazione subita.

Nel settembre del 1999 una serie di quattro attentati colpirono il cuore di Mosca e di altre città, con  oltre 300 vittime.  Nessun movente chiaro, il marchio è quello del terrorismo ceceno, ma resta il sospetto di un’operazione ordita dal KGB.

Putin è al potere da appena un mese, la rabbia popolare contro i terroristi del caucaso, è l’occasione giusta per lanciare una nuova operazione militare: inizia la seconda guerra cecena.

Pochi mesi dopo, il 31 dicembre del 1999, Yeltsin in un drammatico messaggio in diretta alla nazione chiede scusa per non essere riuscito a rispettare le promesse fatte. Il passaggio dal totalitarismo sovietico a un’economia liberale si è rivelato un disastro. Mlioni di russi sono in povertà, mentre prosperano gli oligarchi.

Yelstin, per mesi ha cercato l’uomo giusto che poteva garantire a lui e alla sua famiglia assoluta immunità: Putin. L’ex spia del KGB, già capo della neonata agenzia di intelligence post Unione Sovietica, diventa prima presidente ad interim e poi viene confermato con le elezioni del marzo del 2000.

Modello Cecenia

Gli effetti sul fronte ceceno non tardano, Grozny viene circondata da un massiccio apparato militare. La macchina mediatica, l’altra grande arma di Putin, ha preparato il terreno: i ceceni vanno puniti e ciò concede a Putin il sostegno popolare per l’impiego di mezzi militari illimitati.

I bombardamenti aerei, sino ad allora su obiettivi precisi, si generalizzano. I Sukhoi-24 cacciabombardieri supersonici e i Sukhoi-25 bombardieri subsonici vengono usati estensivamente.

I civili, intrappolati nelle cantine e nei sottoscala, vivono recuperando cibo negli appartamenti sventrati, molti muoiono di stenti. Le sepolture di massa circondano Grozny. A febbraio del 2000, militanti e resistenti ceceni lasciano Grozny per rifugiarsi tra le montagne. Ma la guerriglia prosegue per anni, sino a quando la Russia di Putin, nel 2009, riesce a instaurare uno stabile governo filorusso.

L’arsenale di cui Putin oggi dispone in Ucraina è immenso: c’è la bomba termobarica che brucia l’ossigeno dell’aria circostante per produrre una diffusa esplosione ad altissima temperatura, le vietatissime bombe a grappolo, i lanciarazzi Katyusha in azione dalle prime ore dell’invasione.

L'armata di Mosca continua a ritenere fondamentali queste armi. La pioggia di ordigni devasta le posizioni difensive, mina il morale dei soldati prima dell'offensiva terrestre. I russi schierano modelli di armi evolute, con alto volume di fuoco e precisione migliorata, ma concettualmente identici a quelli della Seconda guerra mondiale. Oggi le batterie si chiamano Uragan e Smerch: ogni semovente lancia dodici razzi in rapida successione e può essere ricaricato in meno di un minuto. L’effetto di tali armi contro postazioni nemiche disseminate in aree urbane è devastante. I russi sembrano applicare schemi di guerre che si pensava ormai chiuse nei libri di storia.

In Ucraina la orrifica scenografia di guerra è quella delle lunghe file di carri e dei cortei di mezzi blindati, nel bianco della neve e nel fango. Un’ immagine che reca il messaggio propagandistico: “siamo la continuazione della guerra al nazi-fascismo”. Dominano blindati e artiglieria, gli stessi strumenti di battaglia di più di mezzo secolo fa.

Anche le immagini di massicce di distruzioni di villaggi e complessi residenziali con modalità che appunto risvegliano i ricordi di quanto già visto in Afghanistan e Cecenia, sono scenari di guerra del passato, monito per fiaccare il morale degli Ucraini: Kiev come Grozny.

Carri armati e missili 

I carri armati appartengono a tre diverse generazioni. I più vecchi i T 72B3, sono l’evoluzione del carro già in uso ai tempi dell’Afghanistan, molti di questi carri pur protetti da nuovi sistemi aggiuntivi, come le scaglie protettive che intorno alla torretta, sono comunque facili prede per i missili Made in USA Javelin.

Anche Gran Bretagna, Germania e Italia hanno dichiarato di fornire questo tipo di armi in versioni diverse ma con lo stesso potenziale distruttivo. Una parte delle forniture finanziate dal presidente Joe Biden sono già arrivate alla fine dell’anno scorso quando un aereo americano ha sbarcato 80 tonnellate di materiale bellico a Kiev.

I Javelin sono missili “facili” a guida automatica infrarossa, l’equivalente terra-terra del più noto terra-aria Stinger che pure potrebbe ben presto fare la sua apparizione nel conflitto ucraino contro i caccia russi.

 Molto probabilmente è questo genere di armi che sta rallentando l’avanzata delle colonne blindate, come la colonna russa distrutta nel villaggio di Hostomel, nelle immagini provenienti da telefonini di testimoni civili e trasmesse dalla Rai.

Proprio lo Stinger, massicciamente usato in Afghanistan dai mujaheddin, fu uno dei fattori della sconfitta dell’Armata Rossa che si trovò a perdere la supremazia aerea.

Verso la guerra aperta

Poco più moderno il carro T80 che dispone però del grande benefit di una grande versatilità nelle fonti di rifornimento, dalla nafta, alla benzina, dall’alcool al carbone questo carro dispone di un meccanismo che trasforma in gas pressoché qualunque combustile, gas che alimenta le sue turbine simili a quelle di un aereo. Il modernissimo T 90 “Vladimir”, intitolato al suo inventore, omonimo di Putin, già visto in azione nel Dombass nel 2015 e in Siria, con una capacità di tiro di 4-6 km.

Molto più strategico, in caso di guerra aperta, il cannone semovente Koaltsiya, il gioiello dell’artiglieria pesante russa. Dall’apparenza di un carro armato, la base infatti è quella di un T80, ha un enorme torretta di tiro da cui parte un lunghissimo cannone di grosso calibro capace di centrare obbietti a ben 80 chilometri di distanza e una impressionante frequenza di 16 colpi al minuto, uno ogni 4 secondi.

La presenza di questa arma è il segnale di un possibile scenario in cui esercito ucraino e russo vengano in diretto contatto. Il cannone Koaltsiya avrebbe un effetto micidiale nel distruggere le avanguardie e soprattutto centri di controllo e comando in un raggio così ampio. C’è poi sempre l’arsenale atomico russo, forte di oltre 6000 testate di piccolo, medio, alto potenziale.

A complicare l’analisi delle immagini di guerra provenienti da fonti spesso non verificabili, l’evidenza che, a parte le armi americane e europee in arrivo, l’arsenale russo e quello ucraino usano in gran parte degli stessi mezzi Made in Russia, anche se in proporzioni e in livello di efficienza molto diversi.

Qualunque sia la capacità bellica dell’una o dell’altra parte, l’effetto che i combattimenti provocano in aree densamente popolate è,  e sarà sempre più devastante.

Una cosa è certa: le guerre che personalmente ho osservato da reporter della Rai - Sarajevo, Afghanistan, Iraq, Libia - sono state tutte inevitabilmente atroci anche quando combattute con armi convenzionali e autorizzate. Le prime vittime della guerra, oltre la verità, sono sempre le popolazioni civili.

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