Conclusosi dopo ben sette ore, il faccia a faccia a porte chiuse dell’altro ieri a Roma tra l’inviato di Joe Biden, Jake Sullivan, e quello di Xi Jinping, Yang Jiechi, potrebbe segnare il preludio di un drammatico inasprimento delle tensioni tra Stati Uniti e Cina.

Il consigliere per la Sicurezza nazionale Usa e il presidente della commissione Esteri del partito comunista cinese si sono confrontati a lungo sull’aggressione russa nel cuore dell’Europa.

Le notizie arrivate ieri da Pechino e da Washington dicono che i due si sono lasciati su posizioni più distanti di quelle di partenza, tanto che si esclude qualsiasi incontro a breve tra Biden e Xi.

E ciò fa temere che, se la Cina finisse sul banco degli imputati assieme alla Russia, lo scontro con gli Usa potrebbe deflagrare nel Pacifico occidentale, dove su Taiwan e nel Mar cinese meridionale le frizioni politiche e militari sono ormai quotidiane.

Aiuti alla Russia

A Roma Sullivan – che ha avvertito che ci sarebbero «sicuramente conseguenze» per chi aiutasse Mosca – ha capito che, al momento, è impossibile ottenere un intervento di Pechino contro la Russia.

Non solo, Washington ha riferito con un cablogramma agli alleati europei e asiatici che la Cina avrebbe espresso la volontà di assistere la Russia, che le aveva chiesto supporto militare, a quanto pare razioni istantanee per i soldati al fronte.

Pechino ieri ha reagito a queste indiscrezioni, accusando «alcune forze» (gli Usa, ndr) di «diffamare la posizione equa e obiettiva della Cina producendo ogni tipo di disinformazione».

Yang da parte sua ha incolpato Washington di non perseguire a sufficienza la via diplomatica, mentre «la Cina è impegnata a promuovere i colloqui di pace e la comunità internazionale dovrebbe sostenere congiuntamente i colloqui di pace Russia-Ucraina, e promuovere il raffreddamento della situazione il prima possibile».

Xiaomi e DiDi nel mirino

Le sfumature della posizione cinese sono emerse da un colloquio che il ministro degli Esteri, Wang Yi, ha avuto in contemporanea al vertice romano con il suo omologo spagnolo, José Manuel Albares. Come il connazionale Josep Borrell, Alto rappresentante della politica estera e di sicurezza dell’Unione europea, Albares ha detto di «sperare che la Cina possa avere un effetto positivo nella pacificazione».

E Wang ha rivendicato la “via cinese” al negoziato, che prevede l’opposizione alle sanzioni contro Mosca, non solo per le ripercussioni che avranno sull’economia globale, ma perché «la Cina non è coinvolta nella crisi e ha il diritto di difendere i propri interessi».

La cancellazione di massicci ordinativi e le difficoltà nelle transazioni bancarie stanno già danneggiando pesantemente la manifattura cinese, che ha non solo in Russia, ma in tutta la Comunità di stati indipendenti (Csi), mercati di sbocco importanti.

Risultano esposti anche colossi hi-tech come Xiaomi e DiDi (lo Uber cinese) che potrebbero vedersi preclusi i mercati statunitensi ed europei se continueranno a fare affari con la Russia.

Wang ha sostenuto che «la crisi ucraina è il risultato dell’accumulo di conflitti di sicurezza in Europa. La Cina incoraggia la Russia e l’Ucraina a cessare il fuoco, e desideriamo vedere colloqui di pace equi tra Europa e Russia».

Rivalità strategica

Dopo la videoconferenza dei giorni scorsi tra il presidente Macron, il cancelliere Scholz e il presidente Xi, si stanno delineando le posizioni dell’Europa rispetto a una possibile mediazione cinese, con la Francia e la Spagna che la incoraggiano, la Germania molto più prudente, mentre ieri il presidente del Consiglio Mario Draghi ha incontrato Sullivan.

Ciò che però frena Pechino è la rivalità strategica con gli Stati Uniti, che si riflette in ogni ambito delle relazioni bilaterali Cina-Usa. Sullivan e Yang a Roma hanno parlato anche di Taiwan, di Xinjiang e di Hong Kong: Xi ha mandato a dire a Biden che «si tratta di questioni interne sulle quali la Cina non ammette alcuna interferenza straniera». Muro contro muro, con le accuse Usa di complicità col nemico (Putin) che rischiano di far andare giù tutto.

La quasi-alleanza con Putin è arrivata dopo che la Cina ha messo definitivamente da parte la prudenza raccomandata da Deng Xiaoping: con l’annuncio di Xi della nuova via della Seta del 2013; il piano “Made in China 2025” del 2015; il rapporto di Xi al XIX congresso del 2017; la terza risoluzione sulla storia del partito del 2022.

Nelle cancellerie occidentali questa rivendicazione di un ruolo centrale nella governance globale viene aborrita come hybris cinese, che la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen ha definito “revisionista” dell’ordine liberale.

Ieri sul Global Times è apparso un editoriale in lingua inglese (rivolto alle potenze straniere) nel quale si sostiene che «l’intenzione di Washington di minacciare Pechino è ovvia. È una vecchia tattica diplomatica statunitense utilizzare la disinformazione e l’intimidazione per assicurarsi una posizione favorevole nei negoziati. Ma la Cina non lo accetterà mai».

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