La crisi ucraina non è una vicenda nuova. Il conflitto nell’Ucraina orientale è iniziato nel 2014. Le tensioni tra Russia e occidente sono iniziate nel 2004 quando Mosca si è improvvisamente resa conto che avrebbe potuto perdere la propria influenza in Ucraina a vantaggio dell’occidente.

Durante gli ultimi mesi il conflitto si è intensificato quando i media internazionali e i commentatori di tutto il mondo hanno preso sul serio la possibilità di una guerra, scoppiata ufficialmente ieri. Si è detto che la Russia stava effettivamente considerando la possibilità di attaccare l’Ucraina: per tutta risposta, l’occidente ha aumentato il dispiegamento di truppe nei paesi membri della Nato dell’Europa orientale.

Questioni strategiche

Per i membri della Nato (e dell’Unione europea) in prima linea a est (i paesi baltici, la Polonia e la Romania), che temono l’atteggiamento aggressivo della Russia, le crescenti tensioni hanno posto diverse domande strategiche.

Per prima cosa, come in tutte le situazioni di emergenza, si sta ponendo la questione di come evolverà la guerra con l’Ucraina, dopo i primi bombardamenti su larga sala.

Già alla vigilia del conflitto, sembrava che il corridoio meridionale fosse la prima rotta per un’invasione. L’obiettivo strategico poteva essere collegare Odessa con la Crimea, nel tentativo di mettere al sicuro le acque della Crimea (una sfida chiave che la Russia affronta dal 2014) e controllare tutti i porti non Nato sul mar Nero.

Un attacco immediato sulla rotta settentrionale era sembrato meno probabile, considerando che la situazione in Bielorussia si è stabilizzata a vantaggio della Russia all’inizio del 2021. Eppure, anche con un attacco al corridoio meridionale, il guadagno previsto per la Russia è sempre sembrato minimo.

In secondo luogo si è posta la questione delle motivazioni che hanno portato all’attacco. Mosca ha detto che una risposta era necessaria, dato che il paese era stato minacciato: la Nato non ha rispettato gli accordi presi alla fine della Guerra fredda di non espandersi a est, e il fatto stesso che paesi come la Romania o la Polonia facciano parte della Nato rappresenta una minaccia reale agli occhi della Russia.

Le richieste di Mosca all’occidente possono far pensare che l’Europa dell’est e l’Ucraina rappresentino un’unica minaccia per la Russia, una minaccia che scomparirebbe se la Nato si ritirasse dalla regione. Questo non è vero. A ogni modo, Mosca ha mandato un messaggio senza precedenti ai paesi confinanti: per la Russia sono bersagli tanto quanto l’Ucraina.

Trappola russa

È da tempo ormai che Mosca sta ricostruendo la propria profondità strategica in opposizione ai potenziali nemici occidentali. I paesi dell’est Europa da anni affrontano la crescente influenza russa, respingendo la guerra commerciale e di informazioni mossa da Mosca.

La paura della Russia deriva dal terribile ricordo della situazione socioeconomica che questi paesi hanno vissuto quando erano satelliti dell’Unione sovietica. Appartenere alla Nato e all’Unione europea significa evitare di cadere di nuovo nella trappola russa.

Dal punto di vista di Mosca, l’espansione della Nato e dell’Ue a est dalla fine della Guerra fredda ha significato la possibilità di perdere a favore dell’occidente paesi come la Bielorussia o l’Ucraina. Questo è il motivo per cui dal 2004, da quando l’influenza occidentale ha iniziato a crescere nelle sue vicinanze, la Russia ha iniziato a rivendicare attivamente le sue zone cuscinetto, le aree periferiche come il Caucaso, l’Asia centrale e l’Europa dell’est. Le richieste nel 2021 hanno reso chiaro che la Russia considera i membri della Nato dell’est Europa parte della sua zona cuscinetto perduta.

Realizzare ciò che la Russia stava dicendo diplomaticamente, in un momento in cui il mondo attraversava molteplici crisi economiche dovute alla pandemia da Covid-19, ha fatto capire a questi stati la loro posizione all’interno della Nato. Non erano più territori di confine, dove le influenze occidentali e orientali si scontrano e si modellano a vicenda in modo inoffensivo. Nell’attuale crisi ucraina questi paesi sono diventati paesi di frontiera, dovendo entrare in conflitto (di nuovo) per mantenere la propria identità e le proprie scelte strategiche.

I paesi dell’Europa dell’est hanno aumentato le spese per la difesa e la sicurezza perché temevano che la Russia diventasse più aggressiva sui confini e che la guerra ibrida contro la Nato, di cui ora fanno parte, si sarebbe intensificata. Questo è stato compreso dal punto di vista strategico dal governo, ma la gente comune non ha davvero percepito la minaccia di un conflitto, fino al caso dell’Ucraina.

In altre parole, l’attuale crisi ha fatto sembrare che un periodo in qualche modo “di lusso”, di difesa passiva e relativa sicurezza, fosse giunto al termine. “Urgenza” è diventata la parola chiave.

Urgenza e assertività

I paesi dell’Europa dell’est si sono dedicati ad aumentare la loro resilienza interna per contrastare le tattiche russe di guerra ibrida. La resilienza rimane la chiave della loro stabilità, ovvero assicurarsi di non cadere vittime delle campagne di disinformazione e quindi accertarsi della propria stabilità economica, in modo che i problemi sociali non finiscano per mettere in discussione il loro allineamento con gli alleati occidentali dell’Ue e della Nato.

Tuttavia, con la crisi ucraina e la consapevolezza di come sono percepiti da Mosca, questi stati hanno dato il via a un cambio di mentalità che richiede maggiore assertività. Devono sviluppare capacità di difesa e impegnarsi attivamente per difendere la prima linea.

Devono non solo farsi avanti quando necessario, ma difendere sé e la frontiera della Nato (e dell’Ue) in ogni momento. Si tratta di un cambio di mentalità che probabilmente andrà oltre lo slancio della crisi ucraina e si diffonderà nella società, a tutti i livelli. L’urgenza e l’assertività in materia di difesa si traducono in un’efficace infrastruttura critica che abbraccia il settore dei trasporti, il settore energetico ma anche quello sanitario. Tutti questi hanno bisogno di investimenti per permettere a questi stati di essere efficienti nella difesa della Nato e della frontiera dell’Ue.

Gli europei dell’est hanno capito che con la guerra la Russia vuole mettere alla prova l’unità dell’Europa di fronte a una sfida complessa: il conflitto in Ucraina e una crisi energetica in patria, considerando che gran parte delle forniture energetiche dell’Europa proviene dalla Russia.

L’Europa dell’est è la prima ad essere colpita dalle ripercussioni di un conflitto aperto e la prima a dover reagire e fare appello ai propri alleati occidentali. Considerando però che la Germania è il paese che più dipende dalle esportazioni energetiche russe, si capisce anche quanto l’Ue sia fragile di fronte alla Russia. Anche se gli Stati Uniti cercano di aiutare con le forniture di energia da fonti alternative, c’è un limite in ciò che possono fare quando si tratta della dipendenza dell’industria tedesca dalle forniture russe.

Tuttavia Washington può sicuramente aiutare i suoi alleati europei a est, motivo per cui i paesi della regione continueranno a rafforzare la loro collaborazione con gli Stati Uniti all’interno della Nato. Cercheranno anche di rafforzare i loro rapporti con la Francia nell’Ue, riequilibrando così il ruolo della Germania rispetto ai loro interessi politici ed economici.

Parigi ha più spazio di manovra e lavora per far crescere il suo ruolo nell’Ue, cosa che ha già innescato un maggiore coinvolgimento francese nella regione e, all’atto pratico, più truppe inviate al fianco orientale della Nato. In definitiva, i paesi di frontiera sia della Nato sia dell’Ue devono accrescere le proprie capacità di difesa a tutti i livelli, e ciò include l’adattamento delle loro strategie alle sfide attuali che vengono dalle due organizzazioni a cui appartengono. Cosa ancora più importante, i paesi baltici, la Polonia e la Romania dovranno trasformare in un’opportunità la dura (e spaventosa) realtà di essere visti da Mosca come minacce e bersagli.

Traduzione a cura di Monica Fava.

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