C’è la eventualità sempre più concreta di un conflitto alle porte d’Europa, cioè in Ucraina, ma l’Europa è l’ultima ad avere in mano la situazione. Sono Mosca e Washington a determinare in questi frangenti che cosa succede a Kiev, e le ragioni sono due: la progressiva marginalizzazione dell’Unione europea sul dossier, spesso autoinflitta, e gli atteggiamenti ondivaghi e contraddittori all’interno dell’Europa stessa nei confronti della Russia. La Germania è il caso esemplare di queste ambiguità.

I ministri degli Esteri si sono riuniti questo lunedì in un Consiglio Ue che aveva in agenda l’Ucraina. Nonostante le tensioni in corso, il ministro Luigi Di Maio ha ritenuto prioritario seguire il dossier del Quirinale ed è rimasto a Roma; per l’Italia, ha partecipato il rappresentante Pietro Benassi. L’ipotesi di sanzioni a Mosca non è nelle conclusioni del vertice: si parla di «misure restrittive da coordinare coi partner» solo come una eventualità in caso di aggressione. Negli stessi frangenti del vertice, la Nato ha spedito navi e jet verso l’est Europa. Su indicazione del proprio governo, le famiglie del personale diplomatico statunitense di stanza a Kiev hanno evacuato il paese, anche lo staff non essenziale ha avuto indicazione di lasciare l’ambasciata; e nella stessa direzione si è mosso il Regno Unito. Alle frontiere ucraine ci sono centomila soldati russi.

Il ruolo che l’Europa avoca a sé è quello della deterrenza, ma non si è messa in condizione di svolgerlo fino in fondo, e con gli altri attori in campo il rischio di escalation è concreto. «Non c’è posto per le sfere di influenza», hanno detto i ministri Ue: «Siamo nel ventunesimo secolo». Eppure in questo secolo l’Ucraina continua a portarne i segni.

I segnali di allarme

Dal 2013, l’anno in cui l’allora presidente Viktor Janukovyc decise di non firmare l’accordo di associazione e stabilizzazione con l’Ue, e di rivolgersi a Mosca per soldi e gas, la catena di violenze ha lasciato i segni. Dopo l’annessione della Crimea da parte della Russia nel 2014, e il conflitto del Donbass, l’Ucraina contava quasi due milioni di sfollati interni, 10mila vittime e 22mila feriti a fine 2016, decine di migliaia di richieste di asilo in Ue e centinaia di migliaia i rifugiati in Russia. Oggi Mosca è appostata a ridosso delle frontiere, con armi e truppe, e con la complicità politica e logistica di Aleksandr Lukashenko: sia dal mar Nero che dalla Bielorussia, la Russia ha navi e truppe pronte all’occorrenza.

Gli Stati Uniti lanciano da giorni segnali di allerta, nonostante siano stati i principali protagonisti e dunque responsabili, assieme alla Russia, della serie di colloqui inanellati dal 9 gennaio in poi per cercare una via di uscita diplomatica. Negoziati nei quali l’Ue è finita sostanzialmente ai margini, il che era tra gli obiettivi di Vladimir Putin.

Anche se l’Ue manda a dire che le sfere di influenza non sono cosa attuale, la posta alta che Mosca ha messo sul tavolo è proprio evitare che i paesi alla sua periferia occidentale entrino nella Nato, o che truppe e missili siano inviati nei paesi a lei vicina o ex satelliti. L’allerta sulle intenzioni di Mosca arriva anzitutto da Washington e pure da Londra. Viene ventilato un piano di Putin per un governo-fantoccio in Ucraina, cosa che il Cremlino ufficialmente smentisce. I cyberattacchi che si sono registrati in Ucraina vengono letti dall’occidente come la prova che il conflitto è praticamente in atto. L’allerta genera allerta, il che si intuisce anche dalle testimonianze dirette: come riferisce il corrispondente Piotr Andrusieczko, che si trova in Ucraina, «non ci sarebbero segnali di panico se non fosse che il presidente Zelensky ha fatto appello a non farsi prendere dal panico: a quel punto la gente si è chiesta se bisognasse farsi prendere dal panico». Per il resto, a una quindicina di chilometri dal Donbass, bar, alberghi, negozi vanno avanti normalmente. Le minacce militari di Putin sono anzitutto un avvertimento politico. Il punto è come intende gestirlo l’Europa, che è la diretta interessata, e come di fatto lo stanno gestendo altri per lei.

Sfumature di occidente

«Confermiamo la nostra unità, che è la nostra forza», dice l’alto rappresentante Josep Borrell all’uscita dal Consiglio Ue. «Diamo il nostro appoggio all’Ucraina e ogni attacco militare avrà conseguenze gravi». Borrell sottolinea che c’è un piano coordinato con Nato e Usa; il segretario di Stato Usa Antony Blinken si è collegato al vertice dei ministri europei. Le linee che escono da Bruxelles in questo inizio di settimana sono: politica della deterrenza e via diplomatica, sostegno a Kiev in caso di attacco militare e per attacchi cyber, supporto finanziario subito. Sempre lunedì, la presidente della Commissione europea ha annunciato un nuovo pacchetto di aiuti finanziari da un miliardo e duecentomila euro, e ha ricordato che dal 2014 sono arrivati a Kiev dall’Ue 17 miliardi di aiuti e prestiti.

Mentre in Europa orientale la Nato irrobustisce la sua presenza militare, e il segretario Jens Stoltenberg dichiara che «aiuti dagli alleati sono benvenuti», le mosse di Berlino sono l’indice delle schizofrenie europee. Non c’è solo l’uscita del capo della marina tedesca – «Putin merita rispetto» – che lo ha portato alle dimissioni. Ci sono soprattutto le scelte di non far arrivare armi a Kiev, solo in parte spiegate dal cambio di governo. La Germania è grande esportatrice di armi ad autocrazie, dall’Egitto alla Turchia.

L’eurodeputata verde tedesca Hannah Neumann, da sempre in prima linea per la trasparenza dell’export di armi, dice che «con il nuovo governo c’è una politica molto più restrittiva: anche le nuove licenze per l’export all’Egitto vengono esaminate con cautela». Neumann spiega la scelta del Regno Unito di circumnavigare i cieli tedeschi per portare armi a Kiev come «questione burocratica: non avevano tempo per aspettare i permessi». Ma preferisce non commentare il fatto che Berlino abbia impedito all’Estonia il trasferimento in Ucraina di artiglieria di fattura tedesca. In Usa la scelta ha suscitato scalpore visto che Tallinn è membro Nato. In Europa il dubbio è che la Germania preferisca, anche per i rapporti stretti con Mosca sul gas, un atteggiamento di compromesso; tutt’altro rispetto a quel che vorrebbero Polonia e altri paesi che si ritroverebbero il conflitto, e Mosca, troppo vicini.

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