Il nuovo tentativo della comunità internazionale di avviare una trattativa diplomatica per risolvere il conflitto in Ucraina è fallito. Il G20 delle Finanze a Bangalore non ha prodotto un comunicato congiunto, ma solo una dichiarazione del governo indiano, padrone di casa. Parallelamente la suggestione del presidente francese Emmanuel Macron di prendere in considerazione il piano di pace cinese, ha incontrato per ora solo una timida apertura da parte di Kiev.

Sul campo, la tensione sale con l’ordine di Vladimir Putin di raddoppiare il numero di navi schierate nel mar Nero e la decisione di tagliare anche la fornitura di petrolio alla Polonia.

Il G20

Le speranze che un nuovo appuntamento della diplomazia internazionale potesse mettere in difficoltà la Russia riconoscendone le responsabilità è sfumata anche a Bangalore, dove il G20 delle Finanze si è chiuso senza un comunicato congiunto dopo che Russia e Cina si sono rifiutate di aderire al documento finale. Il diniego è arrivato dopo lunghe trattative per evitare la parola «guerra» e i riferimenti alla responsabilità di Mosca.

È quindi stato pubblicato soltanto un chair’s summary in cui la gran parte dei paesi partecipanti ha «condannato con forza» la guerra e chiesto il ritiro delle truppe russe. Un copione che si è già ripetuto uguale negli ultimi appuntamenti del G20: la Cina continua a non voler prendere posizione per mantenere intatta la sua «neutralità». A poco è servito anche il bilaterale tra il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il premier indiano Nadendra Modi, ennesimo tentativo occidentale di portare dalla propria parte il gigante indiano, che finora non si è voluto esporre nel nuovo quadro geopolitico.

Macron e le trattative

L’unica via diplomatica che attualmente sembra ancora percorribile è quella del piano di pace cinese. La proposta sembra aver incontrato il favore di Putin, motivo sufficiente per farlo rifiutare da Joe Biden. «Se a Putin piace, come può essere un buon piano? Ci sono vantaggi solo per la Russia in quel piano» ha detto il presidente americano.

Molto diversa la posizione di Macron che ieri ha annunciato un viaggio a Pechino a inizio aprile per provare a sfruttare il rapporto tra Cina e Russia per risolvere la situazione. «Il fatto che la Cina sia impegnata negli sforzi di pace è molto positivo» ha detto il presidente francese, chiedendo a Pechino di «non consegnare armi alla Russia» e di «aiutarci a fare pressione sulla Russia affinché non usi mai armi chimiche o nucleari, e che cessi l’aggressione come precondizione per i negoziati».

Da parte ucraina il piano ha avuto una risposta timidamente positiva, ma che i due leader siedano concretamente a un tavolo di trattative sembra oggi ancora altamente improbabile. Anzi, ieri il presidente ucraino Volodymyr Zelensky si è detto certo che Putin sarà presto eliminato dal suo stesso entourage. «Ci sarà sicuramente un momento in cui la fragilità del regime di Putin si farà sentire all’interno della Russia. I predatori mangeranno il predatore. Troveranno un motivo per uccidere l’assassino, ma avranno bisogno di una ragione».

Un mediatore per riaprire i canali diplomatici è però strettamente necessario, considerato che ormai anche la Svizzera ha perso la sua immagine neutrale agli occhi della Russia. «La Svizzera che si è unita alle sanzioni unilaterale e illegittime dell’occidente contro la Russia non è più uno stato neutrale e non può svolgere alcun ruolo di mediazione nel contesto della crisi dell’Ucraina» ha detto la portavoce del ministro degli Esteri Maria Zakharova.

Il campo

Mentre le trattative sono a un punto morto, sul campo le armi non tacciono. I combattimenti continuano nella zona di Kherson, mentre si sono verificate numerose esplosioni anche nell’area di Mariupol. Dopo aver raddoppiato già nella giornata di venerdì il numero di navi dell’esercito russo schierate nel mar Nero, una circostanza che potrebbe indicare che sono in preparazione attacchi missilistici e attacchi di droni, Mosca ha deciso anche di tagliare definitivamente la fornitura di petrolio alla Polonia.

Ad annunciare l’interruzione del flusso attraverso l’oleodotto Druzhba è stato l’amministratore delegato dell’azienda Pkn Orlen, Daniel Obajtek, sottolineando che il paese è «pienamente preparato» dal momento che «solo il 10 per cento del greggio proviene dalla Russia e lo sostituiremo con petrolio proveniente da altre fonti».

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