«Siamo pronti a mostrarvi cosa significhi liberare completamente l’Ucraina». Con queste parole Vladimir Putin informa che va a prendersi l’Ucraina. Comincia da quella orientale, dal Donbass, con il riconoscimento dell’autonomia da Kiev delle due regioni di Donetsk e Lugansk. Ma si esprime come se tutto il paese fosse un’estensione di Mosca: «L’Ucraina moderna è stata concepita dalla Russia. Non è solo nostra vicina, è parte del nostro spazio culturale e territoriale». La guerra non è più uno scenario ipotetico: è qui tra noi, in Europa, e si presenta sotto forma di un annuncio presidenziale pronunciato all’ora di cena in televisione. Questa sera il presidente russo ha deciso di riconoscere «l’indipendenza delle repubbliche di Donetsk e Lugansk». Lo ha anticipato al presidente francese Emmanuel Macron e al cancelliere tedesco Olaf Scholz, mentre intanto Josep Borrell, l’alto rappresentante Ue, in conferenza stampa dopo un vertice dei ministri degli Esteri sull’Ucraina si esprimeva ancora come se la decisione non fosse stata presa: oltre al danno, per l’Europa la beffa. A fornire al Cremlino l’occasione formale per una iniziativa sono stati i due leader separatisti: hanno presentato al Cremlino richiesta di riconoscere i due territori, e di difendere quindi il fatto che non debbano rispondere al governo ucraino. Un incastro ben congegnato di tempi.

La rottura

«Putin torni ai tavoli negoziali!»: Berlino ha provato a dirlo fino all’ultimo, anche per voce della sua ministra degli Esteri, Annalena Baerbock. Parigi si è spesa con le telefonate notturne: domenica notte dall’Eliseo sono partite le telefonate, prima con Putin, poi con gli alleati occidentali, poi ancora con Putin. Macron ha sperato di spuntare una promessa di incontro tra il presidente russo e quello degli Stati Uniti, Joe Biden; che pur con tutte le reticenze – «a patto che non ci sia invasione» – pareva consenziente. Il piano era preparare i colloqui di più alto livello giovedì, cominciando intanto dal segretario di stato Usa Antony Blinken e dal ministro degli Esteri russo Sergeij Lavrov. I leader europei che più credono al dialogo con Mosca, come Macron e Scholz, hanno tentato fino all’ultimo di riportare il presidente russo al tavolo delle trattative.

Ma oggi Putin ha scelto un altro tavolo. Nel pomeriggio, in diretta video come si addice a una guerra che è anzitutto comunicativa, Putin ha trasmesso un consiglio di sicurezza straordinario che sulla carta gli serviva per consultarsi sulle scelte strategiche di sicurezza. Nella pratica, l’immagine dei ministri e capi della difesa assiepati davanti a Putin è servita a lanciare un monito, agli Stati Uniti oltre che a Kiev. Per dirla con Lavrov, il ministro degli Esteri: «Loro non vogliono discutere la questione chiave dell’espansione della Nato. Spero che manderemo un messaggio forte al mondo russo». E poi ecco sfoderata la carta del ricatto: riconoscere le autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk, sostenere così a tutti gli effetti le rivendicazioni dei separatisti, e innescare così la guerra. «Bolscevichi e comunisti hanno fatto gli stessi errori e cioè consentire la dissoluzione della Russia», ha detto Putin.

La provocazione

Per il presidente russo nel 2014 in Ucraina c’è stato «un colpo di stato», quel che è seguito è «un genocidio». L’annuncio serale in tv rappresenta in ogni aspetto una provocazione: le accuse solitamente mosse dagli europei a Mosca sono ribaltate da Putin: è Kiev, ad aver «usato l’energia come ricatto», ed è l’Ucraina, a «non garantire l’indipendenza dei giudici». La mossa offensiva del Cremlino viene lanciata sulla base di alcuni punti fermi: l’obiettivo è forzare gli Stati Uniti a ridiscutere gli equilibri in Europa, la precondizione è essersi garantiti l’acquiescenza di Pechino. Non è un caso che l’assalto parta a Olimpiadi finite, né che a inizio febbraio Russia e Cina abbiano concluso un accordo trentennale sul gas. Mentre Putin insiste che l’ingresso dell’Ucraina nella Nato è inconcepibile, e che metterebbe a rischio anche la Crimea, intanto dal lato occidentale arrivano segnali contraddittori. Da una parte Scholz, che qualche giorno fa ha precisato: «l’adesione alla Nato non è in agenda», dall’altra Kiev e i paesi baltici che sono sintonizzati su Washington e insistono per un’affiliazione con Nato e Ue. Il consiglio Ue stanzia 1,2 miliardi di prestiti per Kiev e definisce il pacchetto di sanzioni, Borrell concede come scenario un’Ucraina che aderisce all’Unione. Ma Putin è già oltre: sigla il riconoscimento di Donetsk e Lugansk. Per Ursula von der Leyen e Charles Michel, «riconoscere i territori separatisti viola il diritti internazionale, l’integrità territoriale ucraina e gli accordi di Minsk. L’Ue e i suoi partner reagiranno con unità, fermezza e determinazione in solidarietà con l’Ucraina».

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