Le delegazioni di Stati Uniti e Russia che di recente si sono incontrate a Istanbul hanno chiarito che il motivo della riunione era parlare della normalizzazione dell’attività delle rispettive missioni diplomatiche, non della guerra in Ucraina. Questo appuntamento, però, rappresentava un evidente corollario agli sforzi del presidente americano Donald Trump per negoziare la fine della guerra. Il problema è che, a eccezione di Trump, che sogna di vincere il premio Nobel per la pace, nessuna delle parti coinvolte nella guerra – né la Russia né l’Ucraina né l’Unione europea – vuole porre fine al conflitto in questo momento. Nessuno è soddisfatto della propria posizione negoziale, e c’è in gioco la reputazione di tutti.

Senza alternative

Le alternative per l’Ucraina sono decisamente poco allettanti. Nonostante la sua valorosa resistenza all’attacco russo, il presidente Volodymyr Zelensky non è in grado di garantire i risultati auspicati, vale a dire la riconquista di tutti i territori occupati o annessi dalla Russia (compresa la Crimea) e la piena adesione alla Nato (con ferree garanzie di sicurezza). Queste richieste potevano considerarsi valide sotto il precedente inquilino della Casa Bianca, Joe Biden, ma poi Trump le ha praticamente scartate tutte, definendole impraticabili.

Il bivio di Zelensky

In realtà, Trump si sta spingendo al punto di costringere Zelensky a concedere agli Stati Uniti l’accesso ai giacimenti di terre rare dell’Ucraina quale compenso per il sostegno americano durante la guerra, senza offrire alcuna garanzia di sicurezza. Zelensky, un ex attore che si è trasformato in un eroe di guerra dei giorni nostri, si trova di fronte a una scelta poco invidiabile: fare grandi concessioni sia agli Stati Uniti che alla Russia o versare ancora più sangue ucraino nel sogno illusorio di una “vittoria totale”.

L’Europa non è più propensa dell’Ucraina a sostenere un accordo di pace in questo frangente. I leader dell’Ue hanno sempre dichiarato che qualsiasi risultato diverso dal totale ribaltamento del piano del presidente russo Vladimir Putin di ripristinare la sfera di influenza della Russia nell’ex territorio sovietico rappresenterebbe una minaccia per l’Europa, evidenziando che anche una Russia indebolita sarebbe un elemento di disturbo.

Pur riconoscendo ormai che questo risultato è virtualmente impossibile da raggiungere, preferiscono rimandare l’inevitabile imbarazzo di accettare un accordo di pace che offra concessioni alla Russia.

Oggi la Russia ha meno da perdere da un accordo di pace, e Putin potrebbe riuscire a porre fine al conflitto senza perdere la faccia. Il paese ha smentito le aspettative, resistendo a dure sanzioni e altre restrizioni ed evitando la destabilizzazione del regime. Inoltre, sebbene non abbia completato l’annessione del Donetsk, Kherson, Luhansk o Zaporizhzhia, la Russia ha inflitto all’Ucraina notevoli perdite territoriali, che difficilmente potranno essere del tutto revocate.

Ma forse la cosa più importante è che Trump è talmente ansioso di raggiungere un accordo da essere persino disposto a soddisfare alcune richieste cruciali della Russia, come quella di tenere l’Ucraina fuori dalla Nato, soprattutto qualora Putin ammorbidisse la sua posizione contraria a che l’Ucraina resti armata e si aprisse all’ingresso del paese nell’Ue.

Ma Putin non ha fretta di ottenere un accordo di pace. Certo, le autorità statunitensi e russe hanno salutato i colloqui di pace bilaterali – compresi gli incontri a Riad, in Arabia Saudita, a febbraio e marzo – come una svolta diplomatica.

Tuttavia, le dichiarazioni dei rappresentanti russi – in particolare Sergei Beseda, consigliere del capo del Servizio federale di sicurezza (Fsb) russo, e Grigory Karasin, capo del comitato internazionale del Consiglio della Federazione – suggeriscono che sono stati fatti pochi progressi verso un accordo. Uno dei motivi potrebbe essere che né l’Ucraina né l’Ue partecipano al tavolo dei negoziati, il che limita le possibili offerte da parte di Trump. Ma forse più importante è che Putin sta ancora cercando di capire dove collocare tale limite.

Questo spiegherebbe perché, come parte di un nuovo accordo sulla sicurezza marittima nel Mar Nero, Putin ha chiesto la revoca delle sanzioni e delle restrizioni contro i produttori e gli esportatori di beni agricoli e contro alcune istituzioni finanziarie, tra cui la banca agricola statale Rosselkhozbank. Solo quando queste condizioni saranno soddisfatte e il Cremlino avrà un’idea più chiara su fin dove Trump sia disposto a spingersi per realizzare le sue ambizioni di pace sarà possibile negoziare un cessate il fuoco.

Vantaggi economici

Putin sta compiendo altri passi per preparare la Russia al successo nei negoziati con gli Stati Uniti. In particolare, ha recentemente mandato negli Usa il suo “inviato per gli investimenti” Kirill Dmitriev – l’ex consulente finanziario di Goldman Sachs, formatosi a Stanford, che dirige il fondo russo per gli investimenti diretti – per sottolineare i vantaggi economici di una rinnovata cooperazione bilaterale. Oltre a lodare Trump per aver presumibilmente scongiurato la terza guerra mondiale, Dmitriev ha ventilato l’allettante prospettiva di un accesso degli Stati Uniti alle risorse russe dell’Artico e alle terre rare, nonché di missioni congiunte su Marte e sulla Luna.

Sebbene gli incontri non abbiano prodotto alcun risultato concreto, Dmitriev ha proclamato che le due parti hanno compiuto «tre passi avanti» verso il miglioramento delle relazioni. Forse intendeva dire che i leader statunitensi sono ora più motivati a cogliere le opportunità economiche e finanziarie in Russia e a superare l’ostacolo rappresentato dalla guerra in Ucraina. Meno di una settimana dopo, Steve Witkoff, inviato de facto dell’amministrazione Trump presso il presidente russo, si è presentato a San Pietroburgo per un incontro con Dmitriev e, secondo quanto riferito, con Putin.

Queste opportunità potrebbero essere create su misura per lo stesso Trump. Dopo tutto, il presidente americano è in primo luogo un uomo d’affari, e la sua ambizione di stabilire una presenza a Mosca l’ho conosciuta direttamente. Durante un incontro casuale nel 1996, mi disse che voleva portare il concorso di Miss Universo in Russia (obiettivo raggiunto nel 2013) e costruire una Trump Tower a Mosca (una visione che deve ancora realizzare). Forse il Cremlino potrebbe offrire al presidente degli Stati Uniti un prestigioso immobile sulla Piazza Rossa, o l’opportunità di qualche altro lucroso affare, in cambio di un alleggerimento delle sanzioni?

Per ora Trump si dice «incavolato» con Putin per non essersi mostrato più favorevole alle proposte della sua amministrazione per il cessate il fuoco, e minaccia di imporre altre sanzioni. Tuttavia, facendo leva sul giusto mix di richieste ben calibrate e offerte allettanti, Putin potrebbe riuscire a prendere in mano le redini del gioco. Per questo motivo, qualsiasi cosa accada durante questi incontri in rapida successione probabilmente conterà meno di quanto segue: Karasin e Beseda che recitano, ancora una volta, le rigide richieste del Cremlino, o Dmitriev che sventola invitanti opportunità economiche davanti a Trump e alla sua squadra di Washington.


Nina L. Krusciova, docente di affari internazionali alla New School, è coautrice (con Jeffrey Tayler) di In Putin’s Footsteps: Searching for the Soul of an Empire Across Russia’s Eleven Time Zones (St. Martin’s Press, 2019)

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