La crisi ucraina continua a tenere il mondo con il fiato sospeso. Manovre diplomatiche e dichiarazioni minacciose si alternano ogni giorno. Mentre i primi ministri dei tre principali paesi europei – Francia Germania e Italia – sono già andati o stanno per andare a Mosca nel tentativo di di raffreddare la situazione, la tensione fra Stati Uniti e Federazione Russa continua ad aumentare.

Il presidente americano Joe Biden ripete avvertimenti  su una possibile invasione imminente, di rimando la Russia espelle il viceambasciatore americano Bart Gorman. Il segretario di Stato americano Antony Blinken propone di incontrare il ministro degli Esteri russo la prossima settimana in Europa ma nel frattempo il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg esprime una dura posizione, dichiarando che l’alleanza «non può accettare un ritorno ai tempi delle sfere di influenza, dove le grandi potenze minacciano, compiono atti di intimidazione e si impongono ad altri».  È evidente che le uniche sfere di influenza che Stoltenberg considera ammissibili sono quelle dei paesi occidentali.

Tesi opposte

In questa confusa situazione si rincorrono dichiarazioni divergenti da parte russa e da parte occidentale. I militari russi dichiarano che lo spiegamento di 130.000 soldati ai confini ucraini fa parte del normale calendario di esercitazioni dell’esercito russo e che le truppe stanno già tornando nelle loro sedi abituali. Da parte occidentale si sostiene che non esiste alcun ritiro di truppe, anzi un aumento di 7.000 uomini.

Un altro segnale di una tensione crescente è rappresentato dalle reciproche accuse fra i separatisti pro russi nell’est dell’Ucraina ed il governo ucraino. Secondo i primi, i militari ucraini avrebbero aperto il fuoco contro di loro giovedì. Il governo ucraino ha poi accusato i separatisti di aver bombardato un asilo nella città di Stanitsya Luhanska ferendo due insegnanti.

La Duma russa martedì ha avanzato la proposta di riconoscere sul piano diplomatico la repubblica popolare del Donbass separatasi dall’Ucraina nel 2014; tale mozione è stata mandata al presidente russo Vladimir Putin perché la riconoscesse come propria. Putin ha risposto che non ha intenzione di firmare la mozione, sottolineando la necessità di inquadrarla negli accordi di Minsk, firmati nel 2015, ma mai realizzati.

Nella disputa ucraina gli Stati Uniti e i paesi occidentali non stanno sostenendo solamente l’integrità ucraina, ma rivendicano con forza il loro status di vincitori della guerra fredda di fronte a una Russia che ha rialzato la testa e vuole essere considerata una grande potenza per la sua estensione euroasiatica, per il suo esercito e per la sua potenza nucleare pari a quella statunitense.

Questa richiesta di riconoscimento politico si scontra con l’intrasigenza occidentale; non a caso il ministro degli Esteri russo Sergeij Lavrov, dopo il suo incontro con la ministra degli esteri inglese Liz Truss, per la verità non molto ferrata in geografia non riconoscendo come russe due importanti città, ha descritto tale incontro una conversazione fra sordi e ciechi.

I tre presidenti europei hanno cercato e cercheranno di trovare una soluzione diplomatica con Mosca, ma dovranno riconoscere alcune delle ragioni per cui la Russia ha ammassato questa ingente forza militare ai confini ucraini; la prima è ovviamente la dichiarazione che l‘Ucraina non entrerà nel prossimo futuro nella Nato, la seconda è che si cominci a discutere la possibilità di un sistema di sicurezza europeo in cui l’Unione europea abbia una posizione autonoma dagli Stati Uniti.

La crisi Ucraina può fornire ai paesi europei l’insegnamento che le relazioni con la Russia sono troppo importanti per motivi economici, geopolitici, oltre che puramente geografici per essere lasciati un confronto Russia - Stati in cui gli interessi europei non sono una priorità.

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