Accerchiamento di autostrade, attacchi massicci a depositi di carburante e tentativi continui di riposizionare unità, dal Donbass al Kursk. A quasi 1.100 giorni dall’invasione su larga scala dell’Ucraina, la linea del fronte oscilla su un pendolo che segna un movimento minimo da una parte e dall’altra. In attesa di una evoluzione diplomatica i combattimenti restano continui, le strategie in continuo adattamento.

«È un tipo di guerra diverso rispetto a quelle di cui abbiamo parlato in passato», spiega a Domani l’analista ed esperto di scenari militari Phillips O’Brien. «Quando parliamo di strategie di accerchiamento nel XX e all’inizio del XXI secolo, ci riferiamo a colonne corazzate in rapido movimento che circondano le forze nemiche. Questo sembra essere molto difficile, se non impossibile, da realizzare in questa guerra», sostiene.

Si riferisce al Donbass e a Pokrovsk, città accerchiata da dieci mesi ma tenuta strenuamente dai soldati ucraini. L’area «rimane una delle più calde» del fronte, per usare le parole di Oleksandr Syrskyi, comandante delle forze armate ucraine.

Combattere senza sosta

O’Brien – che dirige la scuola di relazioni internazionali alla St. Andrews University – racconta come i russi stiano tentando «piccoli avanzamenti per tagliare le linee di comunicazione», con una operazione d’attrito. I russi – secondo dati dell’Isw – attaccano verso Zaporizhzhia senza avanzare. Stallo anche in direzione di Dnipro, subito a est di Kherson, e verso Kupyansk. In altre aree come Lyman e Chasiv Yar i russi avanzano.

E si combatte senza sosta nel Kursk – la regione russa in parte occupata da Kiev da agosto scorso – attorno a Sudzha. Nel Kursk i russi negli ultimi mesi «hanno riconquistato gran parte del loro territorio, metà, se non di più, di quello che l’Ucraina aveva preso inizialmente», dice O’Brien. L’area controllata dagli ucraini è stata però rafforzata. «Ora l’Ucraina ha chiaramente un perimetro difeso molto meglio nelle terre che controlla a Kursk», sostiene O’Brien e questo rende più complicata l’avanzata russa.

Per lui il Kursk ha cambiato certamente la narrazione della guerra: inizialmente – racconta – «molti in Occidente erano particolarmente scettici» e pensavano fosse improbabile tenere degli avamposti in territorio russo. Il Kursk ha cambiato anche la percezione della guerra, e in uno scenario militare la percezione della realtà può essere anche più importante della realtà stessa. Lo diceva l’ex generale degli Usa David Petraeus.

La visione di O’Brien sulla questione è duplice. «Da una parte, lo stanno usando per infliggere gravi perdite alle forze armate russe. E in secondo luogo, finché tengono una parte della Russia, la Russia potrebbe avere difficoltà a mantenere tutte le parti dell’Ucraina che ha conquistato. Quindi conta sia la realtà che la percezione». Per una decisiva controffensiva – lato ucraino – per O’Brien manca l’invio di «forze sempre più addestrate e ben equipaggiate». E i comandi militari cercano di diversificare gli attacchi, risparmiano fanteria e puntano su droni e attacchi a sorpresa.

Come quelli contro strutture energetiche. Un attacco massiccio il 2 febbraio ha avuto come obiettivo raffinerie e impianti di gas a Volgograd, Rostov e Astrakhan. È una tattica che nelle ultime settimane è stata implementata più volte. E che per O’Brien è importante intanto perché si tratta di droni «quasi esclusivamente prodotti a livello nazionale». In più, a livello tattico sarebbe la prova che «gli ucraini credono che la produzione di petrolio russa sia un obiettivo di valore sia economico che politico».

Sull’efficacia restano dubbi. «È molto difficile dirlo, perché una foto di un incendio, a volte può sembrare molto più drammatica della realtà, e le strutture possono essere riparate più facilmente di quanto si pensi», conclude.

Nel libro The Strategists, O’Brien lega a doppio filo la visione del mondo di un leader con la sua strategia militare. Concetto che in questa guerra ha coinvolto e coinvolge diversi protagonisti. In un articolo su The Atlantic dal titolo “Come Biden ha fatto un disastro in Ucraina”, l’analista ha parlato di come un’azione Usa ancora più incisiva avrebbe cambiato gli scenari già dal 2022. «L’amministrazione Biden ha trattato il conflitto in Ucraina come una crisi da gestire, non come una guerra da vincere», afferma.

Strategia che spiega in parte anche i fallimenti della controffensiva degli ultimi mesi. Sostanzialmente si è trattato di chiedere «all’Ucraina di combattere in un modo che noi in Occidente non useremmo mai. Stiamo chiedendo loro di lanciare assalti diretti contro posizioni in trincea, il che è incredibilmente sanguinoso e favorisce i punti di forza della Russia, che ha più soldati e più equipaggiamento».

E ancora. «Se vogliamo che l’Ucraina liberi il proprio territorio, dovremo far combattere gli ucraini nel modo in cui combatte la Nato», ma al momento pensare a una superiorità in termini di armi a lungo raggio e aviazione rispetto agli arsenali russi resta inverosimile. E alla Casa Bianca c’è un nuovo presidente. «Ciò che sentiamo dalle persone vicine al presidente Trump è che il loro piano sembra essere quello di congelare la linea del fronte così com’è», sostiene.

O’Brien non ha dubbi quando dice che «è molto improbabile che Putin possa accettare che l’Ucraina mantenga il controllo su parti della Russia». Da un lato il Kursk darà un potere negoziale a Kiev, ma dall’altra anche che lo scenario è quello che prima di arrivarci al negoziato e prima di concordare un cessate il fuoco «Putin farà di tutto per riprendersi il suo territorio».

Il mistero nordcoreano

Rimane il “mistero” delle truppe nordcoreane venute a sostenere le forze russe. Sul ritiro – annunciato e poi smentito – dei soldati inviati da Pyongyang le notizie si contraddicono. Per O’Brien è «fog of war», nebbia di guerra che non esclude nessuna ipotesi.

Un ritiro «significherebbe che la Russia sarebbe privata della fanteria necessaria per tentare di attaccare» quell’area. «Indebolirebbe i tentativi russi di riprendere il Kursk». In pratica, per l’analista sarebbe un «problema per la Russia, ma non è paralizzante». Salvo sorprese negoziali, la battaglia del Kursk è ancora lontana dall’essere conclusa.

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