Il piano statunitense prevede che la Crimea e gli altri territori conquistati restino alla Russia. Gli Usa fanno saltare il vertice di Londra. Il tycoon di nuovo contro Zelensky: «Scelga se vuole la pace o perdere tutto il paese». E Vance minaccia il disimpegno americano
«Siamo pronti a negoziare, ma non ad arrenderci»: sono le parole della vicepremier ucraina Yulia Svyrydenko a dare il senso di una delle giornate più convulse di queste settimane in quanto al braccio di ferro sul futuro del paese martoriato dalla Russia. Insomma, è stato il “no” di Kiev all’“offerta finale” di Donald Trump per mettere fine alla guerra a bloccare il summit di Londra, dove si sarebbe dovuto tenere il secondo round dei negoziati per la tregua dopo la tappa parigina.
L’offerta statunitense era di una pagina sola, eppure pesantissima: un piano in sette punti pubblicato dal Telegraph, colmo di grevi rinunce a cui Kiev non poteva acconsentire. A seguito del rifiuto immediato di Zelensky a una delle proposte statunitensi per il cessate il fuoco, cioè il riconoscimento della Crimea come terra russa, il segretario di Stato Usa Marco Rubio ha mollato il vertice, come ha fatto l’inviato in missione speciale per Trump, Steve Witkoff, che però incontrerà presto Vladimir Putin a Mosca.
La penisola annessa dal Cremlino ormai nel lontano 2014, primo anno del conflitto, non è l’unico compromesso richiesto agli ucraini: dovrebbero mettere una pietra tombale sulla loro aspirazione d’entrata nella Nato (ma non nell’Unione europea), mentre gli Usa si preparano a revocare le sanzioni antirusse e riconoscere i territori conquistati a Luhansk, Cherson, Zaporizhia e Donetsk come della Federazione.
Tutto per Mosca, niente o quasi per Kiev, dicono funzionari europei, tesi per un prezzo da pagare per la fine delle ostilità che è «estremamente sbilanciato nei confronti della Russia». Ed è proprio su questo che arriva l’ennesimo attacco di Trump a Zelensky: il cui rifiuto di cedere la Crimea «è molto dannoso per i negoziati di pace». E ancora: «L’accordo è vicino, scelga se vuole la pace o se perdere tutto il paese».
Corto circuito diplomatico
Questo ennesimo corto circuito diplomatico può generarne immediatamente un altro: la nuova diatriba si dispiega all’alba della firma definitiva, promessa dagli ucraini agli americani, sull’accordo per lo sfruttamento delle terre rare (pure questo parte del piano Trump). Inoltre, come già si ipotizzava in precedenza, Washington richiede anche il controllo della centrale di Zaporizhzhia che Zelensky non vuole concedere (e che soprattutto rimane sotto controllo russo).
L’offerta, che Zelensky dice di non aver ancora ricevuto in maniera “ufficiale”, non contempla alcuna certa garanzia di sicurezza degli americani, il cui coinvolgimento militare risulta nullo: rimarrebbero validi solo dei vaghi piani sul dispiegamento di truppe Ue e extra Ue sul campo, decisione che non accetterebbe Mosca, che ha dichiarato più volte che non vuole europei alla sua frontiera.
«L’Ucraina non riconoscerà legalmente l’occupazione russa della Crimea in nessuna circostanza. Questo è il nostro territorio, il territorio del popolo ucraino», ha detto il presidente ucraino. Ma in effetti a dire no agli americani sono stati anche gli europei. «La nostra posizione è davvero chiara: la Crimea è Ucraina. Spetta a Kiev decidere le condizioni per una pace giusta e duratura», ha incalzato subito il portavoce della Commissione europea Guillaume Mercier, che ha promesso l’aumento del sostegno militare per favorire la nazione sotto attacco ai negoziati.
Dichiarazioni in difesa dell’integrità territoriale ucraina, contro la concessione ai russi, sono piovute poi dall’Eliseo, da Downing Street fino al Bundestag: sarebbe «politicamente disastroso» premiare Mosca in questo modo, ha reso noto la Cdu, il partito del cancelliere in pectore Friedrich Merz. E Radek Sikorski, ministro degli Esteri polacco, ha chiesto ai russi: «Con undici fusi orari non avete abbastanza terra?»
Rubio ha dichiarato comunque che non vede l’ora di riprogrammare il viaggio nel Regno Unito «nei prossimi mesi», ma più chiaro di lui ieri, per rendere palesi le intimidatorie intenzioni americane, è stato lo spazientito vicepresidente Vance: «Mosca e Kiev trovino un accordo sullo scambio di territori», «sia gli ucraini che i russi dovranno cedere parte del territorio che possiedono attualmente», altrimenti «gli Usa si ritireranno» dalla mediazione. Ma al Cremlino non considerano queste parole un «ultimatum», assicura il portavoce Dmitry Peskov: le comunicazioni con Washington procedono spedite, anzi, un altro vertice russo-statunitense è previsto «presto», aggiunge il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov. Putin, in sostanza, rimane aperto ai contatti con gli europei e gli ucraini, nonostante il vertice sia saltato.
Comunque, in effetti, a Londra un vertice è comunque in corso, ma in una versione ridotta, in scala minore, tra rappresentanti di Londra, Parigi, Berlino e Ucraina. Il Foreign Office londinese precisa che «i colloqui a livello ufficiale proseguiranno»: il ministro degli Esteri Andrii Sybiha, arrivato ieri nella capitale britannica con l’omologo della Difesa Rustem Umerov e il capo dell’amministrazione presidenziale Andriy Yermak, potrà confrontarsi con l’omologo britannico David Lammy e l’inviato speciale di Trump Keith Kellogg (unico negoziatore statunitense presente).
Crimini di guerra
I vertici ucraini, prima di valutare la proposta Usa che oggi sarebbe stata sottoposta anche agli alleati europei, ambivano a ottenere un cessate il fuoco temporaneo di 30 giorni, un piano che Francia e Regno Unito «sembravano disposti a sostenere», scrive Politico, ma, hanno detto fonti al quotidiano, l’unica opzione lasciata sul tavolo dagli americani era solo, appunto, «l’ultima offerta». Take it or leave it, «prendere o lasciare». Questo, ancora prima che Zelensky tornasse a chiedere la fine «incondizionata, immediata e completa» degli attacchi per un altro «crimine di guerra deliberato»: ieri un drone russo ha fatto strage di lavoratori a Dnipro. Nove morti e quarantadue operai feriti a Marhanets.
Paradossalmente, proprio nel giorno dei funerali di papa Francesco, quando per omaggiare il pontefice che per anni ha chiesto «pace per la martoriata Ucraina» saranno schierati in prima fila i massimi leader mondiali, potrebbe avvenire un bilaterale Trump-Zelensky: il presidente americano si porterà dietro il dossier ucraino a Roma.
© Riproduzione riservata