Il 27 febbraio, pochi giorni dopo l’inizio dell’aggressione russa all’Ucraina, il presidente Volodymyr Zelensky ha annunciato l’organizzazione di un corpo militare che accoglierà volontari stranieri: l’International legion of defense of Ukarine. Il ministero degli Esteri ucraino ha prontamente aperto una pagina web dove si spiega il processo per arruolarsi invitando gli aspiranti combattenti. Si tratta di una mossa non inaspettata, che sembra però aver spiazzato le autorità dei governi europei: se la premier danese Mette Frediksen e il governo lettone hanno incoraggiato i propri cittadini ad arruolarsi, le autorità belghe sono andate in direzione opposta dissuadendo i loro dal farlo.

Ci pare siano subito emersi due ordini di interrogativi che potremmo sintetizzare nelle seguenti domande: questi volontari si rileveranno di qualche utilità sul piano militare? Esiste il pericolo di una radicalizzazione politica del fenomeno? Anticipando che non è possibile, almeno in questo momento, rispondere con precisione, potremmo provare a guardare ai precedenti storici non per azzardare assurde comparazioni con i volontari di oggi, ma per vedere cosa sia successo in altri contesti.

Riflettori internazionali

Quando è si diffusa la notizia dell’appello di Zelensky la mente di molti è corsa, e non poteva essere altrimenti, a quanto successo in Spagna a metà degli anni Trenta quando nel corso di una sanguinosa guerra civile alcune decine di migliaia di antifascisti provenienti da mezzo mondo si arruolarono nelle brigate internazionali. Quello spagnolo è sicuramente l’esempio più celebre di volontariato transnazionale in armi che il nostro continente abbia conosciuto nel corso del XX secolo, ma non è l’unico. Durante la Guerra d’inverno combattuta tra il 1939 e il 1940, accorsero in sostegno della Finlandia aggredita dall’Unione sovietica più di 10mila volontari provenienti principalmente dai paesi limitrofi, dagli Stati Uniti e dal Regno Unito.

Partiamo dal primo dei nostri quesiti tenendo ben presenti questi due passaggi del Novecento europeo. Come ci ricorda lo storico Nir Arielli, raramente i volontari hanno avuto un ruolo decisivo sul piano militare e difficilmente, aggiungiamo noi, potranno averlo nell’attuale contesto ucraino. Storicamente, come sottolinea sempre Arielli, si è teso a far ricorso a volontari stranieri per far fronte a tre ordini di problemi: la mancanza di combattenti; il bisogno di migliorare le capacità tecniche e tattiche del proprio esercito; la necessità di mantenere viva l’attenzione internazionale sul conflitto in corso provando a dare una declinazione universale alla propria lotta.

Per quanto riguarda il caso ucraino, come fu per i casi spagnolo e finlandese, siamo chiaramente dinnanzi solo a questo terzo elemento. La presenza di volontari stranieri può aiutare inoltre rafforzare il morale delle proprie truppe, questo accadde tanto in Spagna quanto in Finlandia. In entrambi i casi la popolazione civile ebbe infatti modo avere una prova tangibile del sostegno internazionale alla propria causa. La mossa Ucraina ci pare quindi possa essere legata alla necessità a mantenere viva l’attenzione dei media internazionali in uno scenario nel quale il conflitto si potrebbe allungare e, contestualmente, la stampa occidentale potrebbe cominciare a prestare meno attenzione a quello che succede nel paese.

Anarchici in armi

Un volontario della legione ucraina (AP Photo/Andrew Marienko)

Proviamo ora a rispondere al secondo interrogativo. Sin dal 2014 e dallo scoppio delle ostilità nel Donbass, dall’Europa sono accorsi prevalentemente militanti di estrema destra, poi inquadrati nelle milizie filogovernative. Con l’invasione del paese da parte dell’esercito russo si è però assistito ad un cambio di prospettiva sui cui effetti non possiamo ancora dire niente.

Ad oggi risulta una tendenza che conferma quanto successo in altri momenti: i primissimi a mobilitarsi sono in larga parte reduci di guerra con una discreta esperienza militare alle spalle, mentre i volontari “politici” stanno ancora esitando. Era stato così anche nella Spagna del 1936, quando, ad esempio, buona parte dei primissimi antifascisti accorsi nel paese erano veterani del Primo conflitto mondiale (basti ricordare il repubblicano italiano Mario Angeloni che sarebbe stato tra i primi a cadere).

Nonostante le difficoltà nel verificare le notizie che ci arrivano dall’Ucraina, in queste prime fasi del conflitto stiamo assistendo a una mobilitazione più dell’estrema sinistra internazionalista (alcuni collettivi anarchici ucraini hanno in questi giorni annunciato l’istituzione di un loro battaglione internazionale) che non delle galassie neofascista o neonazista. Ma è ancora troppo presto per capire il colore politico predominante che avrà il volontarismo transnazionale in armi in questo conflitto.

L’organizzazione

Una particolare attenzione la meritano sicuramente i network di arruolamento. Nel caso spagnolo, determinante per il successo negli arruolamenti fu l’organizzazione da parte del Comintern di una efficiente rete che si occupava di organizzare le partenze per la Spagna degli aspiranti volontari e di fare una prima scrematura politica provando a lasciare fuori provocatori e avventurieri; nell’attuale caso ucraino tutto questo ancora non esiste.

Questo potrebbe portare a un sostanziale insuccesso dell’operazione oppure, come hanno giustamente rilevato Ariel Mae Lambe e Fraser Raeburn in un recente intervento sul Washington Post, è proprio in quest’àmbito che si potrebbero inserire le forze e i gruppi di estrema destra riuscendo così a dare un taglio più politico agli arruolamenti.

Il contratto

Quanti sono i volontari arruolatisi finora? Da parte ucraina si è recentemente rilanciata la cifra di 20mila combattenti. Anche considerati i precedenti storici, è difficile pensare che questa cifra possa essere verosimile (soprattutto considerato il poco tempo trascorso dall’inizio del conflitto).

Si deve inoltre ricordare come quello dell’arruolamento non sia mai un processo lineare, come ci ricorda la vicenda del venticinquenne gallese Jake Priday. Docente di scuola primaria e veterano dell’esercito britannico, Priday ha ammesso di aver lasciato l’Ucraina poche ore dopo esservi entrato: non se la sarebbe sentita di firmare un contratto che prevedeva la sua ferma militare fino alla conclusione del conflitto e che lo avrebbe sottoposto alla legge marziale in vigore nel paese.

Etichette difficili

Come buona pratica generale, infine, ci sentiremmo di dare un consiglio conclusivo: evitare di leggere le complessità e le peculiarità di un conflitto partendo dalle vicende o dalle biografie dei volontari stranieri che vi partecipano. Chiunque compia una scelta tanto radicale come quella di prendere le armi per combattere in un conflitto più o meno lontano, tenderà inevitabilmente a inserire questa decisione in una narrazione lineare e coerente, prescindendo da ogni complessità o cortocircuito.

Quanto successo proprio in Ucraina dal 2014 in poi ne è una prova lampante. Tra le milizie indipendentiste del Donbass che si opponevano all’esercito e alle milizie di Kiev (tra cui il celebre e famigerato battaglione Azov) hanno combattuto, fianco a fianco, ognuno convinto della bontà della propria scelta e senza alcuna apparente contraddizione, fascisti e antifascisti, imperialisti e antimperialisti. Lo stesso accadeva dall’altra parte del fronte. Per questo è sicuramente importante seguire con attenzione l’evoluzione del ruolo dei volontari stranieri nel conflitto tra Russia e Ucraina, ma resistiamo alla tentazione di dare etichette generali in base alla presenza di combattenti esponenti di questa o di quell’altra area politica.

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