L’Ue incontra l’Unione africana, ma cresce lo scetticismo attorno al vertice in Angola

Il rapporto tra Europa e Africa, che il nigeriano premio Nobel per la letteratura Wole Sovinka, il cui visto per gli Usa è stato recentemente revocato per le critiche rivolte a Donald Trump, ha definito «la storia di un monologo, quello europeo», richiede con sempre maggiore evidenza i caratteri di pariteticità. Lo stato di reale progresso del percorso di reciprocità subirà un test importante nelle giornate del 24 e 25 novembre in occasione del summit Unione africana-Unione europea che si svolgerà a Luanda, capitale dell’Angola. Il vertice, il settimo della storia, sarà aperto dai discorsi di João Lourenço, presidente della Repubblica dell’Angola e presidente di turno dell’Ua e dal portoghese António Costa, presidente del Consiglio europeo. La simbologia involontaria mette accanto i rappresentanti di un paese colonizzato (l’Angola festeggia proprio in questi giorni il 50esimo anniversario dell’indipendenza da circa 400 anni di dominio portoghese) e del paese suo colonizzatore. Il Piano Mattei serve a Eni & co, l’Africa può aspettare e sperare Rapporto scettico Che qualcosa nel rapporto classico donatore-ricevente si fosse definitivamente rotto lo si è capito con chiarezza nel summit precedente svoltosi a Bruxelles nel febbraio 2022 quando vari leader africani misero subito in chiaro che, come dichiarò il presidente del Sudafrica Ramaphosa, «il tempo delle “briciole dalla tavola” era finito». Il periodo attuale, peraltro, necessiterebbe di una maggiore collaborazione alla pari tra questi due continenti che, sebbene in modi molto diversi, affrontano una crescente marginalità nello scacchiere internazionale. L’Europa sconta una progressiva irrilevanza schiacciata com’è da nuovi assetti geopolitici in un triangolo dominante i cui vertici sono a Washington, Pechino e Mosca, mentre l’Africa continua a essere fuori dai processi decisionali che contano, pur essendo il continente più ricco di risorse, più giovane, più in rapido sviluppo. Uno dei più clamorosi simboli di quanto l’Africa non venga considerata ce lo ha fornito il discorso del presidente della Commissione dell’Ua, Moussa Faki Mahamat, in occasione del lancio del Piano Mattei nel gennaio 2024: «Avremmo preferito essere consultati – ha dichiarato – l’Africa non vuole tendere la mano come un mendicante». Il vertice, in ogni caso, si fa strada tra scetticismo e indifferenza. Il think tank European Centre for Development Policy Management scrive: «Un silenzio inquietante circonda i preparativi del settimo vertice Ua-Ue. Il summit di Luanda rischia di diventare solo una piattaforma per la diplomazia bilaterale e deludere entrambe le parti. Il partenariato Ua-Ua è compromesso dalla governance brussels-centrica degli strumenti da una parte, e dalla frammentazione della diplomazia africana dall’altra». La sensazione che lasciano trapelare gli analisti del think tank è quella di una certa approssimazione nella programmazione del percorso che avrebbe dovuto portare al summit. Si cita, tra gli altri, il flop del Forum sul Global Gateway (il piano dell’Unione europea lanciato nel 2021 che prevede investimenti fino a 300 miliardi di euro in vari campi strategici), uno degli incontri che avrebbero dovuto dettare l’agenda, convocato appena sei settimane prima del vertice. La guerra del Tigray sui corpi delle donne La latitanza europea Nella due giorni, i leader parteciperanno a due sessioni tematiche su settori chiave come pace, sicurezza, governance e multilateralismo da una parte, prosperità, popolazioni, migrazioni e mobilità dall’altra. Ed è proprio su vari di questi temi che l’Europa, in Africa, risulta latitante. Prendiamo il capitolo pace. Tra i paesi menzionati nelle operazioni figurano Centrafrica, Libia, Mozambico, Somalia e Mali. In tutti questi non si registrano presenze significative europee da anni. In Mali, addirittura, il contingente europeo a traino francese, è stato cacciato in malo modo nel 2022 dopo un decennio di clamorosi fallimenti nel contenimento del jihadismo. Nel Tigray devastato da due anni di guerra fratricida che ha fatto almeno mezzo milione di morti (2020-22), non è mai stata interlocutrice. Nel Sudan travolto da due anni e mezzo dalla “peggiore crisi umanitaria del momento” (Onu) l’Europa si è più segnalata per l’evacuazione delle ambasciate piuttosto che per un tentativo di negoziato. Sudan, dopo 500 giorni di assedio le Rsf prendono El Fasher: esecuzioni sommarie e pulizia etnica in città A riguardo del capitolo sicurezza, l’Africa continua ad affidarsi a nuovi player come Russia, Cina, Turchia, Emirati anche se in molti casi non si siano registrati successi reali (vedi Sahel, dove avanzano i jihadisti). E in quanto alle migrazioni, è nota la strategia europea: stabilire partnership per contenere i flussi, sbarrare le frontiere e rendere sostanzialmente impossibili ingressi legali.