A dare retta solo ai numeri si potrebbe pensare che l’Europa sia un gigante militare. Nel 2020 la spesa per la difesa dei paesi europei (fonte Sipri 2022, Istituto internazionale per le ricerche sulla pace di Stoccolma) è stata di 227 miliardi e 800 milioni di dollari, molto inferiore a quella Usa (766 miliardi e mezzo), ma solo un po’ più bassa di quella cinese (244,9 miliardi). Superiore comunque a quella indiana (73 miliardi) e oltre tre volte più alta di quella russa (66,9 miliardi di dollari).

L’Unione europea ha 2.012 cacciabombardieri da difesa e attacco aereo, gli Stati Uniti 2.717, la Cina 1.571, la Russia 1.531. L’Europa dispone di 609 velivoli da trasporto, gli Usa 845, la Cina 264, la Russia 429. L’Europa ha 5.081 carri armati, gli Stai Uniti 6.100, la Cina 3.205, la Russia 13mila. L’Europa ha inoltre 4 portaerei, 91 fregate, 15 cacciatorpediniere, 25 sottomarini, mentre gli Usa hanno 11 portaerei più 10 unità porta aeromobili da assalto anfibio, 21 incrociatori, 71 cacciatorpediniere e 69 sottomarini, compresi quelli in ordinazione. La Cina ha una portaerei, 5 incrociatori, 13 cacciatorpediniere, 11 fregate e 64 sottomarini, la Russia due portaerei, 50 cacciatorpediniere, 46 fregate e 79 sottomarini.

I numeri però spesso non dicono tutto e qualche volta ingannano pure. Questo è il caso. La realtà della forza militare europea è inversamente proporzionale alle cifre sostanziose che la riguardano per un motivo banale e di vecchia data: essa è frammentata e quindi poco efficace.

Maurizio Simoncelli, vicepresidente dell’Istituto di ricerche internazionali Archivio disarmo, capovolgendo una famosa battuta di Totò, spiega: «Per la difesa europea la somma non fa il totale. Si spende tanto, ma ogni paese ha le proprie forze armate, organizzate e dotate secondo propri criteri nazionali». È la fiera dello spreco a favore delle industrie e un controsenso politico.

Ventisette eserciti

Gli eserciti europei sono 27, le forze aeree 23 e 21 le forze navali. L’Università degli studi di Torino ha raccolto i dati relativi al 2016, ma il quadro non è cambiato di molto: i sistemi di arma europei (apparati elettronici, optoelettronici, elettroacustici etc.) sono addirittura 178, negli Stati Uniti 30, circa 6 volte di meno.

Gli Usa hanno un solo modello di carro armato e due modelli di veicoli da combattimento della fanteria contro rispettivamente 20 e 17 degli eserciti europei. Nell’ambito della marina le nazioni europee hanno 29 tipi di cacciatorpediniere e fregate contro i 4 Usa, 12 missili antinave contro 2, 13 missili aria-aria contro 3.

Ci sono stati negli anni passati tentativi di produrre armi comuni come, per esempio, i caccia Eurofighter cosiddetti di quarta generazione avanzata e le fregate Fremm (Fregate europee multi missione), ma alla fine ha sempre prevalso la logica nazionale particolare.

Le fregate Fremm sono state progettate da Italia (Fincantieri) e Francia, ma ogni paese le ha poi dotate di sistemi d’arma differenti, calibrati sulle proprie esigenze nazionali tanto che di comune le Fremm hanno conservato lo scafo, il nome e poco altro, come ha rilevato l’ex capo di stato maggiore della Marina, Giuseppe De Giorgi.

Gli Eurofighter, invece, nati da un progetto comune italo-franco-inglese (Finmeccanica-Leonardo, Airbus e Bae) a cui poi si sono unite industrie tedesche e spagnole, sono stati avviati verso il viale del tramonto assai prima del tempo perché molti governi europei hanno preferito sostituirli con gli F35 di progettazione e produzione americana, aerei “invisibili” di quinta generazione molto costosi, in media circa 110 milioni di euro a esemplare.

Bussola strategica

Per incentivare le produzioni europee comuni, l’Unione ha avviato una serie di piani che di fatto si sono concretizzati in finanziamenti alle industrie del settore nell’ambito del Fondo europeo 2021-2027 per la difesa.

Si tratta di poco meno di 8 miliardi di euro, 2,6 per la ricerca e 5,3 miliardi per lo sviluppo dei prodotti. Di questi soldi possono beneficiare i programmi di almeno tre industrie del settore che cooperano, comprese quelle di paesi associati come Turchia, Norvegia e Islanda.

Tutte queste iniziative vanno nella direzione di uniformare il più possibile il tipo di armamenti europei cercando di ridurre almeno doppioni e sprechi, ma il progetto della forza armata europea è un’altra cosa.

Sono almeno trent’anni che l’idea circola, da quando con il trattato di Maastricht è stata istituita la Pesc-Politica estera e di sicurezza comune. L’invasione dell’Ucraina da parte delle truppe russe ha reso evidenti i ritardi accumulati, ma le prime mosse, per quanto significative, appaiono timide.

Qualche giorno fa la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha rilanciato il progetto di una forza rapida europea di pronto intervento composta di cinquemila uomini in grado di operare in ogni angolo del pianeta.

È un evidente segnale di volontà politica in direzione di un impegno militare comune, ma è ovviamente poco più di un’inezia dal punto di vista concreto. Sulla stessa falsariga il Consiglio europeo sta approvando una “Bussola strategica” da qui al 2030 per la difesa così presentata da Josep Borrell, l’alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza: «Le minacce aumentano e il costo dell’inazione è evidente. La bussola strategica è una guida all’azione che delinea un percorso ambizioso per la nostra politica di sicurezza e di difesa per il prossimo decennio… Se non ora quando?» Parole impegnative, la Bussola è in fase di approvazione, ma il percorso è appena abbozzato.

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