Sono un eroe invincibile. Così Donald Trump si descrive in un tweet postato poco dopo essere stato dimesso dal Walter Reed Medical Center, dopo 72 ore di ricovero per aver contratto il Covid-19. Del resto, è proprio a un film Marvel o DC comics che sembrano ispirate le immagini del presidente degli Stati Uniti nel suo spettacolare ritorno alla Casa Bianca: l’elicottero dove viaggia che sovrasta l’edificio presidenziale con tanto di trionfante colonna sonora, il modo teatrale con cui si toglie la mascherina per rimarcare la libertà di sbarazzarsi di un oggetto ai suoi occhi inutile, l’esortazione a non aver paura del contagio e a non lasciare che il virus domini la propria vita.

Questi sono solo gli ultimi elementi in ordine cronologico di un’immagine esasperata e a tratti caricaturale di maschio alfa con cui Donald Trump si è proposto e imposto agli occhi del popolo americano e del mondo intero in questi lunghi e divisivi anni di presidenza.

Sono numerose le norme a cui attenersi per aderire a questa immagine tradizionale e grandiosa di mascolinità ma per comprendere il comportamento del quarantacinquesimo presidente americano, le più significative sono senza dubbio due, la dominanza e la temerarietà.

La prima va intesa come l’esibizione nel privato e nel pubblico di un atteggiamento di supremazia e superiorità rispetto alle altre persone, mentre, la seconda, la temerarietà, è la qualità di chi, essendo invulnerabile da un punto di vista fisico e mentale, non si sottrae di fronte ad alcun pericolo, è sempre pronto ad assumersi dei rischi e non mostra mai timore.

Il super maschio

Fin dalla prima campagna elettorale, il profilo di Trump di super-maschio alfa si delinea a partire dal sessismo che esibisce con orgoglio nei confronti delle donne così come dall’atteggiamento di fiera prevaricazione che mette in campo nel rapporto con gli altri uomini. L’ottica di rango che esprime nell’interazione con gli avversari prevede che tutto sia competizione e l’imperativo assillante è dominare la sfida, uscendone sempre superiore.

Pare che nel primo dibattito televisivo presidenziale di questa campagna elettorale, Trump abbia interrotto il candidato democratico Joe Biden e il moderatore Chris Wallace per un totale di 145 volte, più di una volta a minuto. In una logica di dominazione e supremazia, non si può e non si deve lasciare spazio all’avversario.

Gli avversari politici, democratici e repubblicani che siano, quando in dissenso con lui, diventano bersaglio di ridicolizzazione, come dimostra l’uso ossessivo di espressioni stereotipicamente devirilizzanti quali perdente, debole, buono a nulla.

Se per la descrizione degli avversari - interni o esterni al proprio partito, poco importa – saccheggia tutto il repertorio di insulti che rimarcano un’umiliante inferiorità rispetto all’ideale di maschio alfa, la descrizione di sé avviene, invece, attingendo alle caratteristiche che rappresentano al meglio quell’ideale. Trump ama definirsi come un uomo combattente, forte, duro, potente, di successo.

Ricorre anche a prove pseudoscientifiche per dimostrare “chimicamente” la propria mascolinità. Durante la scorsa campagna elettorale, partecipa a una puntata speciale del programma televisivo americano Dr. Oz, nel corso della quale rende noti al pubblico i suoi valori «pienamente soddisfacenti» di testosterone.

La virilità fragile

È tuttavia una mascolinità fragile e precaria quella a cui fa riferimento Trump, una mascolinità che esige continue e affannose dimostrazioni pubbliche. Tutte le occasioni diventano un banco di prova per dar mostra di essere un maschio alfa, tanto più quelle legate alla sfera della salute. Nel corso di questi mesi, Trump si è rifiutato, in modo ostinato, di indossare una mascherina sbeffeggiando il suo avversario Biden per l’uso, a suo dire, eccessivo della stessa.

La mascherina, in questa visione, risulta infatti un marchio di disonorevole fragilità: è un segnale di interesse per la propria salute (e quella altrui) o sarebbe meglio dire, nella sua ottica, un modo per comunicare che si ha paura del contagio e dunque una minaccia alla propria virilità. Un vero uomo deve essere forte e vigoroso e manifestare preoccupazione per la malattia è un indice di gracilità e scarsa mascolinità.

 Mary Trump, nipote di Donald, ha dichiarato che per il presidente la malattia è un marchio di imperdonabile debolezza. Appaiono per questo in una luce meno trionfante le dichiarazioni entusiastiche di Trump rispetto alla sua straordinaria capacità di fronteggiare il contagio da Covid-19. 

In questi giorni, è quasi convulsa la sua propensione a dichiarare, anche durante il ricovero in ospedale, di “stare alla grande” o di non essere mai stato meglio di così, non perdendo occasione per stabilire anche qui un’assurda gerarchia di valore fra chi come lui affronta con vigore il Covid-19, da uomo forte che non si lascia dominare, e chi, invece, da debole soccombe alla malattia.

Nella stessa direzione sono leggibili le immagini della parata in auto fuori dall’ospedale per rassicurare i sostenitori sul suo stato di salute, parata in cui ha esposto al rischio di contagio molte persone a lui vicine. Come scrive Thomas L. Friedman sul New York Times, Donald Trump più che il superman che ostenta di essere, al momento, rischia più che altro di diventare un superspreader, il super diffusore di virus.

Sessismo e nazionalistmo

Questa ideologia di suprematismo maschile affascina non solo i leader politici ma anche le persone comuni. In uno studio del 2019, analizzando la relazione fra gli atteggiamenti degli americani riguardo alla mascolinità e il loro comportamento elettorale nel 2016, le studiose Melissa Deckman ed Erin Cassese hanno mostrato come la campagna di Trump, tutta imperniata sull’idea di uomo forte al comando, abbia risuonato in modo particolare proprio con gli uomini dei ceti socioeconomici più bassi.

I sentimenti di marginalizzazione, di povertà crescente, di insicurezza rispetto al futuro hanno portato questi uomini a essere sedotti dal rassicurante e nostalgico ethos ipermascolino proposto da Donald Trump. Non a caso, l’elezione di Trump è stata considerata un tassello fondamentale nella storia di una mascolinità bianca ed eterosessuale che si combina perfettamente con razzismo, sessismo e nazionalismo.

Sono molti a sostenere, anche nel partito repubblicano, che Trump non sia adatto a ricoprire un ruolo così importante come quello di presidente degli Stati Uniti.

Forse proprio gli anni della sua presidenza e le elezioni in corso possono essere dunque un’occasione significativa per vedere con chiarezza quanto questo modello di mascolinità sia inadeguato e dannoso non solo a livello individuale ma anche a livello sociale e politico.

Maria Giuseppina Pacilli, docente di psicologia sociale presso l’Università degli Studi di Perugia. Ha scritto nel 2020 per Il Mulino, Uomini duri. Il lato oscuro della mascolinità

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