“Querele bavaglio”, minacce legali ai giornalisti che fanno il loro dovere: oltre venti organizzazioni europee capitanate da Greenpeace hanno inviato una lettera alla vice presidente della Commissione Ue Vera Jourová per chiedere di includere, nell’imminente iniziativa che la Commissione sta approntando sulle Strategic Lawsuit Against Public Participation (Slapp), una proposta legislativa per una direttiva che protegga giornalisti, organizzazioni e attivisti dalle tattiche di intimidazione legale utilizzate dalle compagnie di combustibili fossili. Tra il Wwf Italia, il Kyoto Club, e ReCommon, anche la Daphne Caruana Galizia Foundation, nata per la giornalista maltese uccisa a seguito delle sue inchieste contro la corruzione, con il nome di suo figlio: Matthew Caruana Galizia. Quando la giornalista è morta, nel 2017, pesavano su di lei oltre 40 cause.

Il motivo di questa richiesta alla commissione, si legge nel comunicato che hanno diffuso in occasione della Giornata mondiale della libertà di stampa: «La funzione di controllo e informazione che svolgono i media – scrivono – è ancora più importante nel processo di transizione economica avviata dall’Europa e dai Paesi Ue che aderiscono al programma Next Generation UE».

Cause strategiche

Per loro, le Slapp sono cause strategiche contro la pubblica partecipazione. Si tratta di cause civili - anche identificate come “querele bavaglio” - che hanno come obiettivo quello di disincentivare la protesta pubblica, colpendo economicamente le parti chiamate in causa: «Cioè uno stratagemma che, creando un precedente molto grave, potrebbe soffocare sul nascere critiche e proteste».

Per un recente studio della Commissione europea, “Ad-Hoc Request on Slapps in the EU”, ricordano, «le Slapp sono sempre più utilizzate in tutti gli Stati Membri, in un ambiente che sta diventando sempre più ostile verso i giornalisti, i difensori dei diritti umani, e varie ONG». Le Slapp operano principalmente attraverso i contenziosi: «Dato lo squilibrio di potere spesso intrinseco in tali controversie, la sola prospettiva di una lunga causa legale può essere sufficiente per mettere a tacere l’informazione e i critici. Le minacce legali sono quindi spesso usate per intimidire chi denuncia».

Il numero di queste cause, riportano le associazioni, insieme a quello di altre pratiche di intimidazione legale, è in aumento in Europa, come dimostrato da un recente rapporto pubblicato da Greenpeace EU e Index on Censorship.

L’Italia

Tra le situazioni analizzate da Index on Censorhip, anche l’Italia. La diffamazione prevede sentenze fino a tre anni. Il codice penale prevede sanzioni più elevate se la diffamazione riguarda un politico, o un membro del potere giudiziario. In passato, giornalisti sono stati condannati fino a due anni in prigione. Sentenze più brevi sono state accompagnate da multe fino a 15mila euro.

Le cause civili possono essere intentate da sole o in aggiunta alle cause penali, e non c'è limite al risarcimento che può essere concesso. Nel passato, questo ha portato a richieste di milioni di euro di risarcimento danni. Le cause civili inoltre possono essere intentate fino a cinque anni dopo la pubblicazione. In termini di tempo e denaro, possono essere estremamente onerose.

Minacce

In questo modo, c’è il rischio che le cause si tramutino in «minacce alla partecipazione pubblica, alla democrazia e allo stato di diritto, e un attacco ai diritti fondamentali come la libertà di espressione, di informazione e di assemblea».

Tra gli esempi che loro portano all’attenzione della commissione, la causa intentata da Eni – società partecipata dallo Stato italiano – nei confronti del Fatto Quotidiano. A dicembre la società ha avanzato una richiesta di 350 mila euro di danni al quotidiano italiano in relazione a 29 articoli scritti sull’azienda. Il Cane a sei zampe ha chiesto inoltre che il Fatto Quotidiano rimuova dal proprio sito gli articoli in questione.

«Le compagnie di combustibili fossili hanno dimostrato di ricorrere spesso e volentieri a queste tattiche». Con questa lettera, le organizzazioni firmatarie si uniscono all'appello di oltre 100 Ong che hanno già richiesto nuove misure politiche alla Commissione e di sostenere la direttiva anti-Slapp.

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