Una tregua per la diplomazia e gli affari. Le lezioni americane per Netanyahu

Nir Oz – Nella tradizione ebraica la sepoltura avviene subito, il giorno dopo il decesso. Invece nel caso di Ronen Engel, 54 anni, è avvenuta due anni e due settimane dopo. È questo che ha reso più unica che rara l’atmosfera al suo funerale, dove il dolore dei familiari risultava acuto ma in qualche modo attenuato da una lunga, consapevole attesa. Nell’edificio al centro di Nir Oz, il suo kibbutz, c’è una parete con le caselle postali con i nomi di tutti i residenti. Su ognuna, i compaesani sopravvissuti hanno messo un adesivo. Rosso con scritto “Nirzeah” per gli ammazzati, nero con scritto “Hatuf” per i rapiti, blu con scritto “Meshuhrar” per chi è stato rilasciato. Visto che un quarto i residenti sono stati coinvolti direttamente nell’attacco del 7 ottobre, la parete risulta ricoperta di adesivi colorati. Altre 153 tonnellate di bombe su Gaza. Netanyahu: «Siamo una superpotenza» L’arrivo di JD Di Nir Oz erano anche i due israeliani senza vita restituiti da Hamas nell’ambito dell’accordo martedì sera, nel giorno dell’arrivo del vicepresidente americano JD Vance. Proprio in lui ripongono le proprie speranze le famiglie degli ostaggi morti non ancora restituiti, oltre che probabilmente i palestinesi di Gaza, a fronte delle dichiarazioni belligeranti dei leader israeliani, ansiosi di rompere la tregua. Dichiarazioni che solo domenica scorsa si sono tradotte in un’altra giornata di sangue nella Striscia: oltre 40 morti nei raid israeliani che si aggiungono ai quasi 70mila dall’inizio del conflitto. «Abbiamo davanti a noi un compito molto, molto difficile, ovvero disarmare Hamas, ricostruire Gaza, migliorare la vita della popolazione di Gaza, ma anche garantire che Hamas non sia più una minaccia per i nostri amici in Israele», ha detto Vance dopo un incontro con il premier israeliano Benjamin Netanyahu a Gerusalemme. Prima di lui erano arrivati Steve Witkoff e Jared Kushner, gli emissari di Trump considerati fautori del cessate il fuoco, che hanno incontrato gli una parte degli ostaggi vivi liberati 10 giorni fa. E per oggi è prevista anche una visita di Marco Rubio, il segretario di Stato americano. Ovviamente anche lui incontrerà Bibi. L’impressione che il governo israeliano sia stato praticamente commissariato dal super alleato americano è divenuto un tema di dibattito sui media israeliani. «La Knesset sarà anche più divertente, ma è irrilevante. Le vere decisioni che determinano il destino degli israeliani vengono prese a Washington», ha commentato Chaim Levinson, un influente opinionista locale. A questo proposito si sono espressi anche Vance e Netanyahu. «Non vogliamo uno Stato vassallo, e Israele non lo è», ha detto Vance. «Vogliamo un alleato». Per Bibi invece si tratta solo di «sciocchezze»: «Prima dicevano che Israele controlla gli Usa, ora che sono gli Usa a controllare Israele». Gaza, gli Usa non si fidano di Netanyahu. Hamas giura: «Rispetteremo la tregua» Nella conferenza stampa con Vance, Netanyahu ha anche dato una risposta evasiva a una domanda sulla possibile partecipazione di personale turco nell’amministrazione di Gaza nel dopoguerra. Insieme a Qatar ed Egitto, gli altri paesi mediatori, Ankara dovrebbe svolgere un ruolo centrale a supporto della transizione. «Israele sarà ovviamente coinvolta sul tema di chi fa cosa, e ho opinioni molto forti al riguardo», ha detto Netanyahu. Fra le nuove opere d’arte dedicate al 7 ottobre esposte nei corridoi del ministero degli esteri a Gerusalemme, una delle sedi preferite di Bibi per accogliere dignitari stranieri, sono tanti i funzionari che alzano il sopracciglio se interrogati sul ruolo della Turchia. Da queste parti avrebbero preferito affiancare agli egiziani forze giordane, o al limite dell’Arabia Saudita, piuttosto che coinvolgere paesi con una storia di relazioni con Hamas, che potrebbero coprire un ripristino del potere degli islamisti a Gaza. Il vice di Trump ha una cosa molto precisa in mente: la tregua a Gaza è «un elemento fondamentale per sbloccare gli Accordi di Abramo», ha spiegato Vance, riferendosi alle intese di normalizzazione tra Israele e diversi paesi arabi nel 2020 (nutrite di molte prospettive d’affari). «Ma quel che serve è una struttura di alleanza in Medio Oriente che persevera, che dura e che consente alle brave persone di questa regione, del mondo, di farsi avanti e prendersi la responsabilità del proprio territorio». Avviso ai futuri antisemiti: il popolo d’Israele non è Netanyahu Rumori di confine Al kibbutz Nir Oz, alla frontiera con la Striscia, il funerale di Ronen Engel si svolge senza che questi temi di politica vengano affrontati. Nessuno degli interventi durante la cerimonia lancia messaggi d’odio verso i vicini palestinesi, nessuno affronta le rimostranze di queste comunità nei confronti del governo israeliano, che non ha mandato nessun rappresentante, e nessuno cita la staffetta di potenti inviati americani. Solo ricordi di come Ronen «vedesse sempre il lato luminoso della vita» e braccialetti dedicati alla vittima, con scritto «pazzoide ma ottimista». L’ambulanza che trasportava il feretro con dentro il corpo restituito da Hamas è arrivata accompagnata da centinaia di motociclisti in processione con sulle spalle bandiere gialle del movimento degli ostaggi e vessilli israeliani. Le sirene del Maghen David Adom, il servizio israeliano di emergenza medica, lampeggiavano silenziose. Nel cielo si sentivano volare i mezzi aerei dell’esercito israeliano, ma non si sentivano più, come nel corso degli ultimi due anni, i rumori delle esplosioni provocate dai bombardamenti su Gaza. «Papà, sono felice che tu sia tornato», ha detto la figlia dodicenne Yuval durante il funerale. «Papà, sono stati dieci anni brevi, ma meravigliosi».