«Una delle garanzie della sua rielezione ogni volta è stata la frammentazione dell’opposizione», sostiene András Bíró-Nagy, direttore di Policy Solutions, un think tank di Budapest. «Ci sono voluti dieci anni perché l’opposizione capisse che non può vincere così».

Quest’anno sei partiti diversi, dai piccoli di centrosinistra a Jobbik di estrema destra, hanno trovato una soluzione: mettere da parte le notevoli differenze politiche e unire le forze in vista delle elezioni parlamentari della prossima primavera per sfidare in modo credibile il continuo dominio di Orbán sulla politica, la magistratura, i media e la società ungherese.

È una testimonianza dell’ombra smisurata di Orbán - non solo sull’Ungheria, ma sull’Europa in generale - che l’opposizione si sia sentita costretta a stringere un’alleanza contro di lui.

Orbán ha ottenuto il suo considerevole potere legalmente, secondo regole che è stato in grado di riscrivere. Negli ultimi dieci anni, dalla sua rielezione nel 2010, ha usato una super maggioranza parlamentare per approvare leggi che hanno rafforzato la sua presa sul paese e sulle sue istituzioni, gettando le basi per quella che che lui chiama “democrazia illiberale” e altri chiamano stato a partito unico.

Con il controllo dei due terzi del parlamento, i deputati di Fidesz hanno fatto ripetute modifiche alla costituzione ungherese, indebolendo i poteri della Corte costituzionale per controllare il potere del governo. Altre leggi hanno compromesso l’indipendenza della magistratura, dando al ministro della giustizia il diritto di nominare i giudici e decidere i loro bilanci e le promozioni. Il governo ha anche riaffermato il suo controllo sulla procura, assicurando al suo attuale inquilino un insolito mandato di nove anni, e ha intaccato l’indipendenza dell’agenzia di sorveglianza sui media nazionali e della banca centrale.

Questo quasi monopolio sul potere ha portato a una corruzione dilagante, con il bottino spartito tra gli amici e i parenti di Orbán.

Grazie ad altre leggi il sistema elettorale è stato riorganizzato in modo da assicurare la vittoria elettorale a Fidesz. Fidesz e l’opposizione sono testa a testa nei sondaggi più recenti. Secondo alcuni esperti con cui ho parlato, l’opposizione dovrebbe vincere con più del tre per cento del voto nazionale per battere il partito di Orbán la prossima primavera.

Fondamentalmente Fidesz è riuscito a far sì che per un nuovo governo sia quasi impossibile invertire la rotta. Senza una propria super maggioranza la coalizione all’opposizione avrebbe difficoltà a rimuovere le persone appuntate da Orbán dalle posizioni chiave del potere, per non parlare di portare avanti una propria agenda. Questo, tra l’altro, se il gruppo all’opposizione riuscirà a rimanere unito abbastanza a lungo per formare un governo.

L’unica mossa possibile

Ad ogni modo, nonostante il campo minato che si presenta davanti, l’opposizione sembra determinata a mantenere la coalizione “arcobaleno” fino alle elezioni del prossimo aprile. «Non hanno altra scelta», sostiene Bíró-Nagy. «Gli elettori puniranno il politico che proverà a rompere l’unità dell’opposizione».

Il meccanismo per questo sforzo collettivo è una serie di primarie, finanziate dai partiti stessi, che consentiranno agli oppositori di Orbán di preselezionare un candidato primo ministro che guiderà la lista della coalizione, e 106 candidati parlamentari che si candideranno nei distretti a mandato unico del paese.

I due candidati finali in lizza per la nomina a primo ministro sono Klára Dobrev, la moglie di un impopolare ex primo ministro socialista, e Péter Márki-Zay, il sindaco della piccola città ungherese di Hódmezővásárhely, catapultato sulla scena nazionale nel 2018 quando ha scalzato un potente politico di Fidesz. Con una mossa a sorpresa annunciata l’8 ottobre, Gergely Karácsony, il sindaco di Budapest, si è ritirato all’ultimo, offrendo il suo sostegno a Márki-Zay.

«Sono arrivato alla conclusione che se non mi faccio da parte Viktor Orbán rimarrà», ha dichiarato Karácsony in una conferenza stampa. «Credo che Peter Márki-Zay possa unire l’opposizione».

È stata la vittoria di Karácsony alle elezioni locali di Budapest nel 2019 a convincere l’opposizione che avrebbe potuto presentare un fronte unito, dice David Korányi, il consigliere senior del sindaco di Budapest. «È stata la prima vittoria importante dell’opposizione dal 2010. Il messaggio è stato: se ti unisci a noi, hai la possibilità di vincere».

Tuttavia anche se Budapest rappresenta circa il 17 per cento della popolazione dell’Ungheria, non domina la sua politica. La forza di Orbán è nelle piccole città e nei villaggi delle campagne, i cui elettori sono il fulcro del sostegno di Fidesz. È qui che il suo messaggio nazionalista e conservatore ha risuonato di più, dove gli elettori non amano che l’élite di Budapest o i burocrati di Bruxelles dicano loro cosa pensare su temi che trovano minacciosi, come quello dei migranti e dei diritti degli omosessuali.

Nel 2018 Orbán ha impostato la campagna elettorale fortemente sulla questione dell’immigrazione, alimentando le paure diffuse che erano rimaste dalla crisi dei migranti del 2015 in Europa, quando i rifugiati siriani facevano pressione sui confini ungheresi. In pratica tutti quei migranti avevano ormai lasciato l’Ungheria, ma Orbán è riuscito a convincere i suoi elettori che stava difendendo la “cultura cristiana in Europa”.

Per le elezioni del 2022 Fidesz si è in qualche modo spostato dal tema dei migranti verso una campagna elettorale che prende di mira la comunità Lgbt ungherese, facendo proprio un tema della politica polacca. Il governo ungherese ha promosso di recente una legge che vieta la condivisione di contenuti relativi a omosessualità o cambiamento di sesso tra i minori di 18 anni e ha modificato la costituzione ungherese escludono le persone gay e transgender dalla definizione di “famiglia”.

Di contro alcuni esperti sostengono che la campagna anti-Bruxelles, per anni un pilastro chiave della strategia di Orbán, potrebbe ridimensionarsi dopo che l’Unione europea ha recentemente minacciato di tagliare i fondi all’Ungheria per la sua posizione sui diritti degli omosessuali e le preoccupazioni per l’indipendenza della magistratura ungherese. I recenti commenti dei funzionari di Fidesz sull’uscita dall’Unione europea — Huxit, dopo la Brexit della Gran Bretagna — sono stati recepiti in maniera negativa e l’idea sembra essere stata abbandonata.

Bruxelles tuttavia rimane ancora un capro espiatorio nel dizionario di Fidesz. «Bruxelles può essere qualsiasi cosa tu voglia», ha detto Zselyke Csaky, direttore della ricerca per l’Europa e l’Eurasia per Freedom House. «È piena di burocrati che non sanno nulla dell’Ungheria, è una città lontana invasa da migranti e trans».

Al centro della campagna di Fidesz c’è un appello ai timori diffusi di incertezza e instabilità, che si tratti di un ritorno alle crisi economiche che hanno segnato l’èra pre-Orbán, o delle minacce alla nazione poste dagli immigrati stranieri, o alla famiglia tradizionale da coppie gay. Questo era il terreno politico un tempo occupato da Jobbik, il partito di estrema destra ungherese il cui candidato ha perso al primo turno delle primarie dell’opposizione. Lo spostamento degli ex elettori di Jobbik potrebbe essere la chiave per le elezioni generali.

La sfida dell’opposizione

Dato il dominio di Fidesz nel governo e nei media, è probabile che sarà il partito a stabilire i temi e il tono della campagna, costringendo il candidato dell’opposizione, chiunque esso sia, a reagire e difendersi. Ma Orbán e i suoi alleati stanno chiaramente misurando la minaccia che dovranno affrontare la prossima primavera. «Penso che siano preoccupati», ha detto Korányi. «Vedono che c’è un’opposizione vivace che può lanciare una sfida credibile».

Una sconfitta assoluta di Fidesz alle urne il prossimo aprile è improbabile, visti gli ostacoli che deve affrontare l’opposizione unificata e i vantaggi elettorali di cui gode il partito di Orbán. Ma se resta unita, l’opposizione ha almeno la possibilità di intaccare la maggioranza parlamentare di Fidesz e fermare ogni ulteriore scivolamento verso il ritorno di un governo a partito unico nel cuore dell’Europa.

A 33 anni dal crollo del comunismo, le elezioni del prossimo anno daranno un’altra possibilità alla giovane democrazia ungherese.

Questo articolo è apparso sulla testata online Persuasion (traduzione di Monica Fava).

 

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