Un mandato temporaneo per trovare una soluzione per gli europei costretti a fuggire dalle loro case nella Seconda guerra mondiale. Per questa ragione, il 14 dicembre del 1950, è stata istituita l’Unhcr, Agenzia Onu per i rifugiati. Ma purtroppo non si è trattato di un problema circoscritto e momentaneo. Oggi, a distanza di 70 anni, ci occupiamo di oltre 80 milioni di persone in tutto il mondo.

Non potremmo essere più orgogliosi del nostro lavoro all'interno delle Nazioni unite e ci sentiamo privilegiati e onorati di servire le persone costrette a fuggire da guerre, violenze e persecuzioni. Eppure, se siamo ancora drammaticamente necessari, significa che la comunità internazionale deve compiere ancora molti passi avanti per dar vita ad un ordine globale più giusto e sicuro.  I rifugiati, i richiedenti asilo e gli sfollati interni ne pagano le conseguenze, ogni giorno.

I compiti dell’Unhcr

Avremmo certamente preferito non dover celebrare questo anniversario. Come agenzia umanitaria, il nostro compito non è quello di porre fine ai conflitti e non abbiamo il potere di fermare gli abusi dei diritti umani. Il mandato a noi assegnato dall’Assemblea generale delle Nazioni unite è di assistere chi a causa delle violenze, delle persecuzioni e dei conflitti deve fuggire. Facciamo eco alle loro voci e diamo loro il supporto necessario per ricostruire la propria vita dopo tanta sofferenza.

Sempre meno rifugiati tornano a casa

Oggi, a fronte di una crisi globale senza precedenti, lavoriamo ogni giorno con i governi e i nostri partners per assicurarci che le persone in fuga abbiano un posto sicuro dove ricominciare la propria vita, i documenti necessari per vivere in modo sicuro e dignitoso e possano godere di diritti fondamentali, quali l’istruzione, le cure mediche e il lavoro.

Quando cominciai a lavorare per l’Unhcr, due decenni fa ormai, si contavano circa 21 milioni di rifugiati in tutto il mondo. In quella fase lavoravo a Timor Est ed ero impegnata nella difficile ricostruzione del paese dopo la scissione dal resto del Timor. La sfida più grande per noi era riportare le persone a casa: un’emozione immensa. Oggi il nostro lavoro è cambiato in modo radicale. Pochi riescono a tornare a casa e ci troviamo a gestire sia molteplici emergenze che crisi protratte. Ogni giorno ricordiamo al mondo che questa situazione di perenne instabilità non è sostenibile: troppe persone soffrono perché la pace nel mondo è ormai una chimera a cui pochi leader sembrano essere interessati.

Il dramma degli apolidi

Negli anni il mandato dell’Unhcr è stato esteso per comprendere anche la protezione delle persone apolidi. Si tratta di una delle condizioni esistenziali più difficili in cui una persona possa trovarsi, perché di fatto costringe l’apolide a “non esistere” di fronte a nessun governo e alle sue istituzioni. L’apolide non ha obblighi, ma neppure diritti. E trovare soluzioni per uscire da questo limbo angosciante è molto difficile. L’Unhcr sta cercando da anni, anche attraverso iniziative globali come la campagna #IBelong, di porre fine all’apolidia, di identificare le persone apolidi o a rischio, e di lavorare con i governi per dar loro una nazionalità. Abbiamo registrato successi importanti, ma la strada è ancora in salita.

L’Italia e la sfida dell’integrazione

In Italia, l’Unhcr può contare su un eccellente collaborazione con le autorità nazionali e locali e su un sistema di asilo molto solido, costruito negli anni, oltre che sulla generosità degli italiani, che continuano giorno dopo giorno ad aiutare chi approda nel nostro paese lasciandosi tutto alle spalle.

L’Italia rimane un esempio di umanità e inclusione, con la sua lunga tradizione di accoglienza che trova concretezza anche nel programma nazionale di reinsediamento e in altri canali sicuri e regolari, come i corridoi umanitari, i corridoi universitari e le evacuazioni di emergenza. Tutto questo fa dell’Italia un esempio per molti altri paesi quando si parla di assunzione e condivisione delle responsabilità. Dal canto nostro, continueremo a supportare il governo nell’accogliere i rifugiati e nell’aprire opportunità per la loro integrazione nel paese. Perché avere un luogo sicuro in cui ripartire significa anche poter godere di una vita appagante e dignitosa.

E in Italia l’integrazione è sicuramente la sfida più grande. Dobbiamo dare ai rifugiati la possibilità di esprimere il loro potenziale, partecipare attivamente, contribuendo a costruire una società inclusiva, capace di dare accesso equo a diritti e opportunità’. Affinché questo avvenga i rifugiati devono essere resi autonomi e capaci di gestire la propria vita, liberi da situazioni di emarginazione e discriminazione. Sono sicura che l’Unhcr in Italia saprà sostenere questa sfida insieme al governo, alle autorità locali, al settore privato - anche nel contesto degli impegni presi per il Global Compact sui tifugiati - e ovviamente insieme ai rifugiati stessi.

Si, i rifugiati. Perché la comunità internazionale può senz’altro fare molto, ma occorre ascoltare i rifugiati per individuare le soluzioni più efficaci. Con la loro forza, il loro coraggio, la loro determinazione. Ed è su questo che noi dobbiamo investire ogni giorno, perché senza la loro forza di volontà, la loro voglia di superarsi e di andare oltre, non saremmo mai riusciti a risolvere tante situazioni.

Lo hanno capito le aziende italiane che hanno sostenuto Welcome, un progetto che abbiamo creato per favorire l’inclusione professionale dei rifugiati. Con grande entusiasmo, le tante aziende coinvolte hanno assunto cinquemila rifugiati in tre anni, contribuendo sicuramente a una loro inclusione sociale e al contempo assicurandosi il loro valido contributo.

È la dimostrazione di come possa si possa sostenere l’integrazione con modalità positive per chi accoglie e per chi arriva, costruendo con le azioni quotidiane una società capace di apprezzare le differenze.

L’accoglienza non è solo uno slogan

Durante una mia recente visita a Torino, Berthin, mi ha raccontato la sua storia, dicendomi quanto fosse grato all’Italia per l’opportunità che gli aveva offerto, per l’umanità che il nostro paese gli ha dimostrato. Ma soprattutto, Berthin, era grato all’ Italia per averlo reso autonomo.  Berthin oggi è un leader che, con Mosaico, l’associazione di rifugiati che ha contribuito a creare, ha preso parte a PartecipAzione, un programma di empowerment ideato da Unhcr grazie al quale centinaia di persone come lui possono interagire con le comunità che li ospitano, portano idee e capacità.  Tutto questo è stato ancora più evidente da marzo ad oggi, da nord a sud i rifugiati hanno aiutato i più colpiti dalla pandemia portando cibo, beni di prima necessità e cucendo mascherine.

Questo per dire che la partecipazione dei rifugiati è la chiave, il fattore cruciale, e non un banale slogan. È il modo per restituire loro la possibilità di vivere al meglio la propria vita e il proprio futuro. Questa è l’essenza dell’operato dell’Unhcr negli ultimi 70 anni e di quello che continuerà a fare con dedizione e determinazione in futuro.

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