La «missione di pace» polacca di Matteo Salvini, dove il sindaco di Przemyśl non ha mancato di rinfacciargli in modo plateale le sue simpatie putiniane, può far certo sorridere i suoi detrattori e suscitare l’ilarità di Twitter, ma indica anche qualcosa di più strutturale.

È un copione che abbiamo visto ripetersi nelle tre grandi crisi del XXI° secolo, che mai si sarebbero superate senza il decisivo intervento dell’Unione europea.

La crisi del 2008

Per prima è venuta la grande crisi economico-finanziaria del 2008-2011, dove il vecchio continente è stato letteralmente salvato dal whatever it takes draghiano, che ha raffreddato gli spread e permesso ai governi nazionali di tenere attivi i loro canali di finanziamento.

A questo bisogna aggiungere la sostanziale abolizione del patto di stabilità, a cui molti stati hanno derogato negli anni successivi. La realtà, dati alla mano, è che sono assai pochi i governi che hanno rispettato i famigerati parametri di Maastricht, cosa insostenibile per un sud che avrebbe trascinato anche il nord nell'abisso economico.

Non va mai dimenticato, solo per tracciare un asse strutturale dell’attuale impalcatura europea, che il nord Italia è sostanzialmente incluso nella catena produttiva tedesca; se cade questo, cade anche quella.

Dopo la parentesi populista che ha visto ben presto spegnersi i proclami iniziali e fallire l’assalto alle istituzioni europee in nome di una fantomatica “Europa delle nazioni”, è arrivato il 2020.

La pandemia

L’epidemia di Covid-19, che non accenna a terminare seminando incertezza, si è abbattuta sull’economia mondiale come una scure, provocando ribassi del Pil anche doppi rispetto al 2008-2011.

Senza esitare, come è avvenuto per la crisi precedente dove si è riusciti nel miracolo di trasformare il salvataggio di un piccolo stato come la Grecia in una minaccia alla stessa esistenza della moneta unica, l’Ue non ha solo messo in atto un piano di salvataggio delle economie nazionali, ma un vero e proprio piano di rilancio che ha rotto, vedremo per quanto, il tabù della messa in comune del debito.

Quei famosi eurobond che, certo in maniera un po’ sospetta, Giulio Tremonti chiedeva nella sua ultima stagione da ministro delle Finanze. Non si osa pensare cosa sarebbe stato del nostro continente senza questo intervento che ha convinto anche i più ostinati euroscettici.

Ora c’è la crisi ucraina, che più si prolunga più rischia di tramutarsi in una catastrofe economica e umanitaria. Anche qui, la reazione europea ha probabilmente stupito lo stesso Vladimir Putin, che sembrava aver scommesso sulla divisione dei singoli paesi nei confronti della minaccia energetica.

Per ora si è trovato di fronte un muro compatto, così come persino i paesi più riottosi, fra i migranti e la minaccia di espansionismo russo hanno preferito di gran lunga i primi, tramutandosi in un baleno in alfieri della solidarietà.

Superare lo stato nazione

Insomma, il dato incontrovertibile che emerge da questi primi due decenni del Duemila è la necessità storica di una sintesi europea che superi la dimensione politica dello stato nazione, non più in grado di governare fenomeni globali che ne eccedono di gran lunga le dimensioni.

In barba agli improvvisati filosofi dei più svariati campi, che, tra l’altro dimostrando rara insipienza dell’articolato dibattito filosofico-politico, mettevano in discussione persino la possibilità concettuale di una tale sintesi perché, così insegnavano, le collettività politiche non esistono se non come estensione egemonica di un soggetto che si impone sugli altri.

L’Italia? Solo un’espansione dei Savoia, come l’italiano non è altro che il fiorentino che si è imposto sugli altri dialetti. Una teoria che, se applicata alla lettera, finisce col mettere in discussione l’idea di qualunque collettività umana, a cominciare dalla famiglia, pura estensione della figura paterna (!).

Chiaramente siamo di fronte a immagini assai semplificate dei sistemi politici, o di qualunque altra natura, che una volta formatisi, vivono piuttosto di articolazioni interne, passaggi di potere, ampliamento e restrizione delle reciproche influenze.

Scene come quelle di Salvini ci dicono solo quanto tempo si è perso dietro strampalate teorie oggi ben chiuse in soffitta: dalle felpe no euro, alle magliette di Putin, ai vaffa di varia natura.

Fino agli immancabili No vax o negazionisti del virus, forse l’apice di un’irrazionalità che si spera abbandonata per sempre. Basta con la campagna elettorale permanente che impedisce qualunque visione strategica, basta con l’occidente ripiegato su se stesso. La storia chiama: o si fa l’Europa o si muore.

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