Donald Trump non potrà essere papa, nonostante l’immagine creata dall’intelligenza artificiale che lo ritrae in abbigliamento papale comparsa sulle sue pagine social. Ma in un certo senso il papa ha precorso Trump e il papato è sempre stato più simile al trumpismo e al populismo di quanto si voglia ammettere.

E ciò nulla ha a che vedere con il presunto populismo di Jorge Mario Bergoglio. L’immagine di Trump vestito da papa può offendere i credenti ed eccitare il misoneismo di chi rimpiange i politici paludati di una volta che mai avrebbero fatto girare una cosa del genere per loro propria volontà.

Ma comunica un aspetto reale della chiesa come istituzione politica e della politica laica dei nostri giorni. Il conclave a cui assisteremo fra poco può insegnarci molto su come funziona la politica anche fuori dalla Cappella Sistina.

Non democratica e personalista

Nonostante il conclave realizzi un’elezione, la chiesa rimane non democratica e personalista. Non è democratica perché si basa prevalentemente su nomine dall’alto – i sacerdoti e i frati derivano da vocazioni e scelte personali rispettabili, ma la gerarchia è nominata –, perché esclude le donne e perché la leadership è del tutto personale.

Il papa, come si è visto sino alle dimissioni di Joseph Ratzinger, è una persona, un corpo nel senso più pieno del termine, che esercita la sua funzione sino alla morte, perinde ac cadaver, e ha una libertà di governo molto ampia.

Da un lato ciò è ovvio per un’istituzione che deriva da vocazioni e ha una base spirituale e metafisica. Dall’altro si tratta anche di un’istituzione politica, un’istituzione che (pur non avendo più il potere temporale di una volta) fa politica e la cui azione ha conseguenze politiche.

In quest’istituzione contano le persone e le loro qualità, non le architetture istituzionali, né gli orientamenti politici. Beninteso, la chiesa ha una struttura istituzionale e organismi deliberativi: anzi, è spesso un organismo dove il pluralismo e la riflessione sono di un livello tanto, e talvolta più, elevato che in certi parlamenti e sfere pubbliche laiche. E, come è evidente leggendo i giornali in questi giorni, i cardinali e i papi esprimono posizioni e orientamenti politici diversi, pur essendo tutti ispirati dallo stesso Spirito Santo. Ma l’impatto del carattere, della personalità e anche delle idee individuali del papa sono grandi ed evidenti.

La fine del sogno liberale

Tutto ciò potrebbe essere indifferente ai non credenti, se non fosse che queste caratteristiche della chiesa dilagano oltre i confini del Vaticano. Trump vorrebbe essere papa forse perché attratto dalla libertà personale massima di un’istituzione monarchica, nonché dalla possibilità di far fruttare in maniera estrema le sue caratteristiche personali, il suo personaggio e la sua persona.

E Trump è attratto da tutto questo forse perché ne vede la continuità con quanto già esiste nella politica tutta, non solo nella chiesa cattolica e nella politica statunitense. Il personale politico è sempre più fatto di figure isolate, leader solitari, grandi solisti. La cosa è nota e il fenomeno della personalizzazione della politica è uno dei più studiati.

Ma quello che il conclave ci ricorda è che la personalizzazione non è una novità, né un progresso. È la fine ingloriosa del sogno liberale secondo cui sono le istituzioni e le forme di governo la cosa importante, non le eventuali virtù carismatiche dei leader. Buone istituzioni neutralizzano politici cattivi o male intenzionati, cattive istituzioni rendono inane l’opera dei più grandi leader. Questo dovrebbe essere ancora più vero in un mondo globalizzato e complicato com’è quello in cui viviamo.

Invece la maggior parte degli elettori ed eletti subisce o preferisce una fantasia in cui l’uomo o la donna sola al comando  salveranno e condurranno in porto la barca del bene comune. Che per i vari leader possibili, presunti e auspicati, della sinistra si parli a volte di “papa straniero”, che in concomitanza con il conclave si sia riparlato della possibile leadership di Ernesto Maria Ruffini e della cosiddetta “Cosa bianca” sono elementi che la dicono lunga su questo parallelo.

In un certo senso, tutta la politica è diventata papalina, fatta di papa-re. L’idea dei padri del liberalismo per cui sono le istituzioni, il patto, la forma del governo a garantire diritti e perseguimento del bene comune è scolorata, facendo di nuovo spazio al vecchio sogno platonico, di un filosofo-re che non abbisogna di leggi, ma amministra e conduce il popolo grazie alla sua  capacità ineffabile di vedere il Bene e perseguirlo.

Anzi, tutte le discussioni sul futuro della chiesa, sull’eredità di Francesco, sui capisaldi dottrinali da riformare o conservare hanno una profondità e una libertà anche maggiori di certe discussioni della politica cosiddetta laica. Forse dovremmo avere meno papi in politica e più istituzioni liberali salde. Forse questo è un altro messaggio (involontario?) del papato di Francesco.

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