Negli Stati Uniti, che sono una repubblica presidenziale, nata come confederazione, il discorso annuale del presidente di fronte al Congresso compie un requisito costituzionale, ed è una tradizione dai tempi di George Washington (cioè da almeno 230 anni). È il momento unificante della nazione da quando esistono i mass media. L’Ue non è né propriamente una confederazione né una federazione, e fatica a costruire una opinione pubblica comune, ma da dieci anni, dai tempi di José Manuel Barroso, il presidente della commissione Ue si esercita nello “state of the European Union” (“Soteu”), cioè lo stato dell’Unione. Per la prima volta dall’inizio del mandato, è Ursula von der Leyen a pronunciare il discorso che fotografa il momento politico e ha valore programmatico: delinea il raggio di azione di Bruxelles almeno per i prossimi dodici mesi.

La presidente utilizza ottanta minuti e ottomila parole per mettere in fila le sue priorità. La maggior parte non è inedita. C’è un annuncio e riguarda il clima: von der Leyen fissa l’obiettivo di ridurre le emissioni al 55 per cento entro il 2030, confermando ambiente e digitale come cardini del suo mandato. Lancia pure una “unione della salute”, vuole un quadro comune europeo per i salari minimi e conferma per fine settembre il nuovo piano per gestire i flussi migratori azzerando il trattato di Dublino.

Anche i non detti contano: la presidente non fa accenno a una possibile riforma dei trattati né a una ristrutturazione radicale dell’architettura europea, anche se la crisi di Covid-19 e la svolta del piano comune per la ripresa avrebbero potuto innescarle. Ecco cosa ha detto von der Leyen, e cosa non ha detto.

«Siamo fragili»

La presidente parte da una ammissione di vulnerabilità: «La pandemia ci mostra quanto la nostra comunità e i suoi valori comuni siano fragili e possano essere messi in discussione nell’emergenza». La crisi da Covid-19 ha mostrato le debolezze della stessa commissione: mentre l’Italia era in emergenza, la presidente aspettava che l’epidemia si esacerbasse in Francia e Germania per farsi carico della questione. Nonostante l’Ue, alcuni paesi hanno bloccato le esportazioni per mascherine e dispositivi di protezione, molti hanno chiuso le frontiere. Ora la presidente rivendica il ruolo di Bruxelles («abbiamo fermato i blocchi di materiale medico e creato corridoi sicuri per il trasporto di alimenti»), ma lo snodo è stato semmai Next Generation Eu, il piano di ripresa che prevede un indebitamento comune. Non a caso von der Leyen dedica la fetta più ampia del discorso all’economia, rivendicando la sospensione del patto di stabilità, l’ampliamento del bilancio e «una fiducia nell’euro mai vista prima». Sollecita poi unione bancaria e dei capitali, promette un quadro comune per i salari minimi. Trasformare la debolezza in «vitalità»: su questo si basa la retorica del discorso. Von der Leyen dice di voler «rigenerare» l’Ue. «Make change happen by design, not by disaster », il cambiamento va guidato.

Salute

Per poter gestire il cambiamento a livello europeo servono poteri europei. Von der Leyen dice che una delle ragioni della inefficacia dell’Ue durante la pandemia è che «in tema sanitario l’Ue non ha competenze esclusive»: sta agli stati membri decidere. Il risultato è che ognuno va per conto suo e usa criteri diversi per gestire l’epidemia. Senza un coordinamento sanitario è più difficile mantenere aperte le frontiere. Perciò la presidente vuole «più unione» in ambito sanitario, una Unione della salute. Ma per fare questo serve una riforma delle competenze europee (quindi dei trattati). Von der Leyen rinvia la questione alla conferenza per il futuro dell’Europa e si limita a promettere una nuova agenzia per la ricerca biomedica. Annuncia pure che l’anno prossimo in Italia si terrà il summit globale sulla salute.

Ambiente

La scommessa su cui von der Leyen punta è l’ambiente: l’Europa verde è il suo leitmotiv da inizio mandato, ora dichiara di voler ridurre le emissioni del 55 per cento entro il 2030. «Sarà troppo poco per alcuni e troppo per altri» dice: infatti l’obiettivo è ambizioso se paragonato al 40 per cento previsto finora, ma deludente rispetto alle pressioni dell’europarlamento per il 60 e decisamente insufficiente per gli ambientalisti. Un compromesso al rialzo, basato sull’idea che «ciò che è buono per il clima farà bene anche al business», e che tiene conto dei freni messi dal blocco di Visegrad e altri paesi assai legati alle fonti fossili. Da Bruxelles Sebastian Mang di Greenpeace dice: «In questo modo non saremo mai in linea con gli accordi di Parigi».

Frontiere e diritti

Lo stato dell’Unione è l’occasione per confermare la imminente riforma della governance dei flussi migratori. La crisi umanitaria nel campo di Moria, sull’isola greca di Lesbo, ha riacceso i riflettori sul tema, così dopo una lunga serie di rinvii ora è in arrivo la proposta della commissione. A fine mese, probabilmente il 23, Bruxelles renderà noto il piano. Si sa già che vuole azzerare il trattato di Dublino e gestire in modo collettivo frontiere, arrivi, flussi. In politica estera poi la presidente invoca un atteggiamento più deciso e prende posizione «per il popolo bielorusso» (ma non chiarisce cosa intende fare). Quanto alla salvaguardia dei diritti all’interno dell’Unione stessa, ribadisce che il rispetto dello stato di diritto è cruciale, ma sulle sue intenzioni non dice nulla che non si sapesse già.

I non detti

Ci sono poi i temi sui quali von der Leyen non spreca parole, e sono determinanti per il futuro dell’architettura europea. Il primo sono le risorse proprie, le tasse europee che rendono sostenibile il debito comune. Il consiglio europeo ha messo un punto fermo solo sulla plastic tax, l’europarlamento chiede di più. La commissione non prende posizione. Von der Leyen tace anche sulla governance europea: finora l’incisività della commissione è stata indebolita dal consiglio, che cerca un equilibrio tra i governi, spesso all’unanimità, come è successo sul recovery fund. La presidente accenna che «almeno alcune decisioni andrebbero prese a maggioranza», ma «il suo predecessore Jean-Claude Juncker era stato molto più coraggioso: voleva eliminare del tutto l’unanimità», dice il giurista Alberto Alemanno. «Von der Leyen perde l’occasione di fare della crisi un momento costituente». Eppure c’è chi, come il presidente Sergio Mattarella, ritiene «ineludibile una riforma dei trattati». Nel continente dove la tradizione dello stato dell’unione è nata, gli Usa, la condivisione del debito accelerò nascita della confederazione. Alexander Hamilton trasformò il debito accumulato dalle colonie ribelli in debito comune, promuovendo così la nascita degli Stati Uniti. L’Ue si trova in un “momento hamiltoniano” ma sul finale c’è incertezza. Infatti tra i temi sui quali la presidente tace c’è una conferenza prevista prossimamente: quella sul futuro dell’Europa.

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