Di fronte alle sempre più insistenti previsioni che l’Election Day di martedì non si concluda con un netto vincitore, ma che vi saranno ritardi per il conteggio delle schede per posta, riconteggi e contestazioni, le due campagne elettorali hanno già da tempo messo al lavoro stuoli di avvocati. Democratici e Repubblicani hanno così chiesto a migliaia di legali in tutto il paese di studiare le leggi elettorali, che negli Usa variano da stato a stato, in particolare quelle degli stati chiave che decideranno l’esito delle elezioni, per prepararsi a possibili battaglie legali.

I democratici temono che Trump – che ha ormai più volte suggerito che potrebbe rifiutarsi di riconoscere una sconfitta affermando che questa potrebbe avvenire solo con frodi elettorali – getterà dubbi sui conteggi negli stati chiave o si spingerà fino a chiedere alle assemblee legislative a guida repubblicana di certificare risultati a suo favore anche con un riconteggio ancora in corso.

Negli Stati Uniti 26 stati, più il distretto di Columbia, prevedono che vengano certificati i risultati elettorali tra il 10 e il 30 novembre, mentre altri 14 hanno come scadenza dicembre, in tempo per far sì che il 14 dicembre si svolga la riunione del Collegio Elettorale che dovrà ratificare il vincitore delle elezioni, cioè il candidato che avrà avuto la maggioranza dei voti elettorali, almeno 270, che non necessariamente sarà quello che avrà ottenuto la maggioranza dei voti popolari. Nel 2016 Hillary Clinton fu sconfitta anche se ottenne quasi 3 milioni di voti popolari in più rispetto a Trump.

«Dobbiamo essere pronti a tutto, investire molto tempo, denaro ed energia», ha affermato Terry McAuliffe, ex governatore Virginia che presiede il comitato nazionale democratico. «Voglio essere chiaro, non c’è bassezza a cui Donald Trump non ricorrerà, quindi dobbiamo essere pronti a tutto».

I Repubblicani, da parte loro, si preparano a giocare all’attacco, un attacco già iniziato, e finanziato con 20 milioni di dollari, per sfidare le nuove regole elettorali varate da molti stati per aumentare le possibilità di votare per posta di fronte ai rischi e pericoli della pandemia.

Non solo. Nella campagna di Trump si stanno discutendo anche gli scenari più estremi, tra cui quello per cui gli stati certifichino dei risultati contraddittori, o addirittura quello in cui, in caso di parità tra i due candidati nei voti elettorali, la decisione sulla Casa Bianca debba essere presa dalla Camera dei rappresentanti.

In questo caso estremo, la votazione del presidente avverrebbe non a maggioranza, ma ogni delegazione degli stati al Congresso darebbe un solo voto per il presidente. Quindi, anche se i democratici controllano ampiamente la Camera, non è detto che avrebbero necessariamente un vantaggio, e sicuramente si andrebbe a determinare una situazione di grande confusione politica e tensione sociale in un Paese estremamente polarizzato.

Ed è questo che sta preoccupando maggiormente gli osservatori come quelli del Transition Integrity Projet, la possibilità che la contestazione delle elezioni «possa portare ad una crisi costituzionale e a violenze nelle strade».

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