Dieci anni vissuti pericolosamente: in principio il nemico dei militanti e dei capi dell’Afd, l’ultradestra tedesca, fu l’orrido euro, colpevole di ogni male. Dopodiché se la presero con i migranti e con «i potenti di Berlino», a seguire nel mirino ci finirono le politiche pandemiche, questo mentre il linguaggio si copriva ogni giorno di più di ombre nere, tanto che il partito è stato messo «sotto osservazione» da parte dei servizi segreti, in quanto considerato vicino all’estremismo di destra con tendenze «contrarie alla democrazia e alla Costituzione».

Sì, dieci anni fa è stata fondata Alternative für Deutschland, il 6 febbraio 2013: e ad ogni giro di boa si è radicalizzata. Oggi l’uomo forte del partito è quel Björn Höcke – definito dall’intelligence un «estremista di destra» – che parla degli Stati Uniti come di «una potenza aliena in Europa» e definisce la Russia «il partner naturale» della Germania. Per dire, qualche anno fa non mancò di definire «una vergogna» il monumento berlinese alle vittime della Shoah pretendendo una «svolta di 180 gradi» nella cultura della memoria in Germania, come dire che il paese aveva perso fin troppo tempo a considerarsi colpevole degli orrori del Terzo Reich.

Sempre per aver nozione della difficoltà dell’Afd a gestire le sue anime ai limiti con l’eversione, l’ex capogruppo del Brandeburgo, Andreas Kalbitz – poi cacciato dal partito per il suo passato di membro in un’organizzazione considerata di matrice neonazista – fu visto marciare al fianco di estremisti e violenti durante le manifestazioni di Chemnitz culminate in una “caccia allo straniero” simile a un pogrom.

Nessuna collaborazione?

Ebbene, finora il “muro di fuoco” nei confronti dell’Afd in Germania ha impedito che il consenso di cui gode il partito dell’ultradestra – specie nei Länder dell’ex Ddr – si tramutasse in responsabilità di governo: dall’Spd di Olaf Scholz ai Verdi di Robert Habeck e Annalisa Baerbock passando per i Liberali di Christian Lindner, nessuna collaborazione è ammessa con l’ultradestra.

In teoria questo vale anche per l’unione conservatrice Cdu/Csu, architrave di tutti gli esecutivi tedeschi dal 2005 all’anno scorso (vedi alla voce Angela Merkel): i conservatori cristiano-democratici avevano determinato l’impossibilità di qualsivoglia liaison con apposito voto al congresso del 2018, tanto che chi voglia flirtare comunque con l’Afd in teoria rischia addirittura l’espulsione.

Una risoluzione della presidenza del partito varata l’anno successivo avverte coloro che si mostrano aperti a un avvicinamento all’ultradestra che Alternative für Deutschland «tollera tra le sue fila una mentalità di estrema destra, antisemitismo e razzismo».
In teoria, s’è detto. Perché la pratica, da qualche tempo, è un’altra. Sarà perché è faticoso stare all’opposizione dopo tanti anni di dominio merkeliano, sarà perché l’ultradestra da mesi continua a crescere nei sondaggi, creando panico in vista delle elezioni in tre Länder dell’ex Ddr: in Sassonia, Brandeburgo e Turingia si voterà nel 2024, e qui l’Afd può contare su consensi stellari.

Stando agli ultimi sondaggi, è primo partito (al 30 per cento) nella Turingia di Björn Höcke e in Sassonia, seconda forza politica in Brandeburgo. A livello nazionale il partito oggi guidato da Alice Weidel e Tino Chrupalla si attesta intorno al 15 per cento, dopo esser stato per anni inchiodato intorno al 10 per cento dei consensi.

I rapporti con Cdu/Csu

E allora hanno creato non poco scalpore e allarme alcuni episodi a livello regionale che altrimenti nessuno avrebbe notato: nella solita Turingia, il gruppo Cdu lo scorso novembre ha votato insieme all’Afd una proposta per vietare ai funzionari pubblici il ricorso a un linguaggio “gender”, mentre in Sassonia, a Bautzen, i cristiani-democratici hanno dato il loro appoggio all’ultradestra su una mozione anti migranti.

Situazione scottante per il partito che fu di Merkel, la cui politica “delle porte aperte” è un tratto distintivo della sua cancelleria: niente accoglienza per i richiedenti asilo, è il messaggio giunto da Bautzen. Ci sono altri episodi analoghi, spesso a livello comunale, specie nei Laender dell’est: a Meissen, il vicecapo della Cdu locale, tale Sven Eppinger, ha messo le mani avanti, dichiarando che “i muri cadono sempre”, intendendo che prima o poi cadrà anche quello “di fuoco” nei confronti dell’Afd. Analogamente è stato notato il silenzio del governatore sassone, Michael Kretschmer, vicepresidente della Cdu: non una parola sulla vicenda di Bautzen.
Ci sono due linee al riguardo dei rapporti con l’ultradestra: quelli che dicono che si tratta solo di fenomeni locali, scelte pragmatiche legate alla realtà del territorio, e quelli che dicono che ne se sarà violato il tabù del rapporto con l’Afd è in gioco la stessa sopravvivenza del partitone cristiano-democratico.

«Se cade il muro verso l’Afd, nella Cdu nazionale neanche un mattone rimarrà sull’altro», sostiene il politologo Frank Decker dell’Università di Bonn. A maggior ragione in considerazione della progressiva radicalizzazione dell’ultradestra: «Sembrano oramai sempre più rarefatte le forze che tentano di allontanare dal partito le sue tendenze più estremiste», è il giudizio di Thomas Haldenwang, presidente dell’Ufficio federale per la difesa della Costituzione (BfV), il servizio d’intelligence interno della Germania.

Specularmente, pure il progressivo scivolamento verso destra del partito che fu di Adenauer e di Kohl non sembra essere solo un sintomo “locale”: in seguito ad alcune aggressioni verso la polizia e i vigili del fuoco a Capodanno, la Cdu berlinese ha presentato una mozione nella quale si chiede di divulgare i nomi di battesimo dei fermati, immaginando nei fatti una profilazione dei sospetti sulla base delle loro origini etniche finanche quando si tratta di cittadini tedeschi.

Spettri d’altri tempi

«È razzismo», attaccano la Linke e i Verdi, secondo cui il sottinteso della mozione è che gli ipotetici aggressori non sarebbero tedeschi “puri”. Una modalità «inventata dall’Afd», attacca il deputato berlinese Niklas Schrader, quella della richiesta dei nomi di battesimo, che richiama spettri d’altri tempi.

Allo stesso tempo, è stato notato che ai piani alti di Cdu è accolta con sostanziale silenzio la notizia che alla medesima notte di Capodanno a Borna, vicino a Lipsia, circa duecento figuri hanno lanciato petardi contro il municipio al grido di “Sieg Heil”, spaccando i vetri delle finestre e aggredendo le forze di polizia.

Il dibattito intorno a come trattare l’ultradestra aveva già conosciuto un nuovo salto di qualità dopo l’arresto, qualche settimana fa, di 25 “Reichsbürger” – specie di setta che non riconosce l’attuale stato federale e si richiama agli «ideali» nonché alla legislazione del Reich tedesco – accusati di aver pianificato nientemeno che un colpo di stato con tanto di reinstallazione del Kaiser: la questione si è fatta vieppiù scottante quando si è saputo che tra i fermati c’è una ex parlamentare dell’Afd, Birgit Malsack-Winkemann.

Tanto che c’è chi, come la leader dei Verdi Ricarda Lang, ha ipotizzato che il partito debba essere vietato tout court, in quanto «mostra di disprezzare profondamente questa democrazia e, in definitiva, questo paese». Non è d’accordo Friedrich Merz, il capo della Cdu, secondo il quale bandire l’Afd non avrebbe senso «perché tanto il giorno dopo si riorganizzano in un nuovo partito, e allora il gioco ricomincia tutto da capo».
E allora, “muro di fuoco” sì o no? Il dibattito pubblico in Germania è a un divario paradossale: bandire l’ultradestra o governare con lei? Sempre i Verdi incalzano, affermando che le votazioni in Sassonia e in Turingia «dimostrano che non esiste alcun muro di fuoco”.

Alla Konrad Adenauer Haus, il quartier generale della Cdu, invece, si consultano freneticamente i sondaggi, nei quali, come detto, l’Afd risulta in crescita – in Sassonia c’è stato il sorpasso sui cristiano-democratici, in Turingia sulla Linke, il partito della sinistra – nonostante gli anni di stagnazione e le lotte fratricide interne: in un certo senso, è stato il conflitto in Ucraina ad “aiutare” l’ultradestra, che cavalca i temi dell’esplosione dei prezzi energetici e dell’inflazione, accusa l’occidente di aver scatenato una «guerra economica» contro la Russia e chiede in sostanziale solitudine la fine delle sanzioni contro Mosca nonché l’apertura dei gasdotti Nord Stream, “congelati” dal cancelliere Scholz nell’imminenza dell’invasione dell’armata di Putin.

Un movimento al centro del quale il motore sembra essere il leader turingiano Björn Höcke: da tempo “attenzionato” dagli agenti del BfV, il capo dell’ala più nazional-populista starebbe lavorando per conquistare il vertice nazionale dell’Afd. Nel 2024, anno delle elezioni del destino in Sassonia, Brandeburgo e in Turingia, si terrà anche il congresso dal quale uscirà la nuova leadership dell’ultradestra. Pure l’attuale leader nazionale, Alice Weidel, guarda con trepidazione al prossimo anno: «Per noi sarà strategicamente rilevante, perché puntiamo alla prima responsabilità di governo in un Land dell’est». Una previsione che si fonda su un semplice calcolo algebrico: in Sassonia, per dire, Afd e Cdu rappresentano due terzi dell’elettorato. E questo lo sanno bene anche i gattopardi dell’Adenauer Haus.

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