Per uscire dall’incertezza sulla legge Zan così com’è formulata, Italia viva propone di rispolverare il disegno di legge del sottosegretario Ivan Scalfarotto, e in questo modo asseconda anche le osservazioni del Vaticano, che non si oppone a una norma contro le discriminazioni di genere: «Più che affossata, la legge andrebbe corretta», ha infatti ricordato il cardinale Gualtiero Bassetti lo scorso 16 maggio. L’apertura del presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei) ha così tacitato quei vescovi italiani che, al contrario, optano per l’abolizione della legge.

Parva lex sed lex

Chiedendo una rimodulazione della legge, la chiesa italiana ha scelto così di camminare nel mezzo, facendo da ponte tra la linea soft di papa Francesco e i vescovi più intransigenti, che guardano con nostalgia alla risacca del pontificato di Giovanni Paolo II. La posizione della Cei collima con quella del Bergoglio dei tempi di Buenos Aires (2010), evocata di recente nella discussa intervista sulle unioni omosessuali del documentario Francesco di Evgeny Afineevsky: «Le persone omosessuali hanno il diritto di essere in una famiglia. Sono figli di Dio e hanno diritto a una famiglia. Nessuno dovrebbe essere estromesso o reso infelice per questo. Ciò che dobbiamo creare è una legge sulle unioni civili. In questo modo sono coperti legalmente. Mi sono battuto per questo», affermava il papa che, ammettendo la legittimità delle unioni civili, chiudeva definitivamente la porta a qualsiasi rivendicazione di un matrimonio omosessuale.

Ammettendo la necessità di una legge contro l’omobitransfobia, la Cei fa all’incirca la stessa cosa: una norma opportunamente sfrondata da definizioni ritenute vaghe come «identità di genere» è preferibile a un vuoto legislativo che, se non colmato, rischia di produrre reazioni più intransigenti in futuro.

È in questo senso che va anche letta la nota verbale presentata il 17 giugno brevi manu dal segretario Paul Richard Gallagher all’ambasciata d’Italia presso la Santa sede: «La Segreteria di stato rileva che alcuni contenuti dell’iniziativa legislativa avrebbero l’effetto di incidere negativamente sulle libertà assicurate alla chiesa cattolica», specifica la nota che, in ottemperanza al Concordato revisionato tra Italia e Vaticano nel 1984, ricorda che «ci sono espressioni della Sacra Scrittura e delle tradizioni ecclesiastiche del magistero autentico del Papa e dei vescovi, che considerano la differenza sessuale, secondo una prospettiva antropologica che la Chiesa cattolica non ritiene disponibile perché derivata dalla stessa Rivelazione divina».

In altri termini, per la Santa sede il pomo della discordia è il concetto di «identità di genere» definito dall’articolo 1 del ddl Zan, come peraltro ribadito dal presidente della Commissione giustizia del Senato, Andrea Ostellari (Lega). Una battaglia di parole per il giurista Natalino Irti su Avvenire: «Spetta alla legge, e non al giudice, di definire l’azione vietata (…) e perciò di segnare con nettezza di parole il limite della libertà individuale».

La stessa vulnerabilità interpretativa è stata osservata nell’articolo 4 del disegno di legge, dove si fa menzione di «condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti»: per la chiesa italiana il problema s’insinuerebbe nella definizione di ciò che è ritenuto legittimo e idoneo, su cui non dovrebbe esprimersi un giudice, ma la stessa legge. Da qui, la proposta di Iv di rispolverare il testo di Scalfarotto, in cui le definizioni di «identità di genere» e «orientamento sessuale» non ci sono: «La legge è urgente, ma non le va affidata una finalità pedagogica. Per colpire abusi e prevaricazioni dev’essere scritta bene», ha dichiarato il capogruppo di Iv al Senato, Davide Faraone.

La fine della Cei di Ruini

Sui rischi di una deriva propagandistica del ddl Zan è tornato di recente anche il presidente della Pontificia accademia per la vita, Vincenzo Paglia, che in un’intervista a Famiglia Cristiana ha messo in guardia da ciò che «appare più come un “manifesto” che come una legge».

L’ex presidente del Pontificio consiglio per la famiglia incarna una linea episcopale più morbida, che tuttavia garantisce alla chiesa il suo ruolo di «depositaria della fede». Ma la disputa sul ddl Zan offre anche la diagnosi di una Cei cambiata rispetto agli anni di presidenza del cardinale Camillo Ruini, che dal 1991 al 2007 si è fatto interprete di un orientamento politico dei cattolici italiani, più volte caldeggiato dallo stesso papa Giovanni Paolo II e ribadito nel convegno di Palermo del 1995. Il richiamo esplicito a valori non negoziabili, seppure con certi margini di successo – come l’astensionismo del 29,5 per certi degli aventi diritto nel referendum sulla procreazione assistita del 2005 – fu tuttavia solo una parentesi. A poco è valso, negli anni scorsi, il tentativo di rianimare Ruini, come ha fatto il Corriere della Sera il 3 novembre 2019, né tantomeno evocarlo nell’attuale dibattito: se è innegabile la presenza di gerarchie che guardano con nostalgia a quella Cei, papa Francesco ha esplicitamente indicato alla chiesa italiana una nuova linea da seguire.

Sovranismo

La Cei non vuole tradire la proposta di papa Francesco e cadere nella tentazione italiana, paventata da Bartolomeo Sorge su La Civiltà Cattolica, di «legalizzare e burocratizzare la pastorale e mortificarne ogni creatività». La storia dei convegni nazionali della Cei conferma come il ritorno a una società cristiana, seppure rievocato pochi giorni fa nella Carta dei valori dell’ultradestra europea, appare irrealizzabile. Lo dimostrano l’esito del referendum sul divorzio e quello sull’aborto, che hanno mostrato la scarsa capacità della chiesa di incidere sulla società italiana. Bergoglio, un papa extra-europeo, riconosce questa fatica ed è per questo che ha proposto con forza un cammino sinodale in cui la chiesa italiana sia più aperta alla «pratica di una cittadinanza e di un servizio politico all’altezza della ripresa auspicata». L’incrollabile posizione sul ddl Zan dei cattodem come il segretario del Partito democratico, Enrico Letta, che pure si è definito «rispettoso del Vaticano», non fa che confermare questo limite. Chiedere di rimodulare il ddl Zan piuttosto che affossarlo significa dunque mettere al riparo la chiesa, legittimando il rispetto delle minoranze da tutelare e, nello stesso tempo, ribadire i valori universali cattolici della chiesa di papa Francesco.

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