Venezuela, morsa bipartisan su Trump. Al Congresso l’ombra di crimini di guerra

Donald Trump ha convocato una riunione di emergenza alla Casa Bianca per decidere se usare la potenza militare già dispiegata nei Caraibi contro il Venezuela o perseguire altre opzioni. Attorno alla scrivania dell’Oval Office il segretario alla Guerra Pete Hegseth, il capo di Stato Maggiore Dan Caine e il segretario di Stato Marco Rubio. L’incontro arriva mentre Washington ha portato al massimo la pressione su Caracas e al Congresso monta l’allarme per il sospetto che Hegseth possa aver commesso crimini di guerra. Secondo il Washington Post, a settembre il Pentagono avrebbe ordinato un secondo attacco contro una barca di presunti narcotrafficanti già neutralizzata dalla Marina Usa, con l’obiettivo di uccidere due superstiti aggrappati ai rottami. Hegseth respinge ogni addebito, definendo il rapporto «fabbricato, incendiario e denigratorio», ma Capitol Hill – inclusi repubblicani di primo piano – chiede «una vigorosa supervisione» per arrivare alla verità. I democratici Tim Kaine e Mark Kelly e il repubblicano Mike Turner hanno definito le accuse una possibile «chiara violazione» delle leggi di guerra e del diritto internazionale. Dal 2 settembre l’amministrazione Trump ha lanciato almeno 21 attacchi contro motoscafi sospettati di trasportare droga, uccidendo almeno 83 persone. Da Kiev all’escalation sul Venezuela. Trump raddoppia i fronti e chiude i cieli Controlli serrati Le Commissioni per le Forze armate di Senato e Camera, entrambe guidate da repubblicani, hanno promesso un controllo più serrato sull’offensiva contro le barche della droga in partenza dal Venezuela. La mossa segna una presa di distanza del partito dal presidente, riprova di un grande disagio, soprattutto dopo il voto bipartisan alla Camera (427 a 1) per il rilascio dei file Epstein, cui Trump si era opposto. Il Congresso si prepara anche a indagare sulla possibile escalation militare avviata senza consultazione né autorizzazione parlamentare. Sul piano diplomatico, Trump ha confermato di aver parlato al telefono con il presidente venezuelano Nicolás Maduro, senza però fornire dettagli: «Non direi che sia andata bene o male, è stata solo una telefonata», ha commentato sull’Air Force One. Il presidente ha inoltre dichiarato unilateralmente «chiuso nella sua interezza» lo spazio aereo sopra il Venezuela, e a chi gli chiedeva se ciò prelude ad attacchi imminenti, ha replicato: «Non leggeteci nulla di particolare». Nella telefonata, Trump ha imposto a Maduro di cedere il potere subito, offrendo in cambio un lasciapassare per se stesso e a famiglia. Il leader venezuelano, però, ha rifiutato, chiedendo una «amnistia globale» e di mantenere il controllo delle forze armate. Le trattative, mediate da Brasile, Qatar e Turchia, sono naufragate. La strategia del diversivo: Trump agita il Venezuela. E Maduro libera Castro Intanto, nel dibattito al Congresso circola una delle ipotesi sul tavolo: l’esilio volontario di Maduro. Il senatore repubblicano Markwayne Mullin, membro della Commissione Forze armate, ha rivelato che a Caracas sarebbe stata offerta la possibilità di riparare in Russia o in un altro paese. Pur senza aver mai proclamato apertamente il cambio di regime come obiettivo, tutti i segnali indicano che Trump punta a un’uscita di scena del leader bolivariano, eventualmente verso Cuba, Brasile o Mosca. In caso contrario, resta sullo sfondo l’opzione dell'intervento armato che vede in prima linea la Uss Gerald R. Ford, la più grande portaerei al mondo (90 tra jet ed elicotteri), e il 25% del dispiegamento navale americano con caccia F-35 e migliaia di Marines. In pochi credono che una simile dimostrazione di forza serva solo a far esplodere qualche motoscafo dei narcos. Ieri Gaza, oggi Venezuela e Nigeria. Così Trump dimentica l’“America First” Maduro, dal canto suo, intensifica i richiami al chavismo e alla resistenza contro il «colonialismo 2.0» e non dà segnali di voler cedere. I servizi segreti cubani, su impulso del presidente di Cuba Miguel Díaz-Canel, lo incoraggiano a restare. Fonti anonime citate dal Wall Street Journal riferiscono che l’intelligence dell’Avana lavora a stretto contatto con la Dgcim, la rete di controspionaggio militare venezuelana, per monitorare il corpo ufficiali e prevenire un possibile golpe, condizione essenziale per un cambio di regime. La posta in gioco è il petrolio. Il Venezuela possiede le maggiori riserve accertate di greggio al mondo, circa 300 miliardi di barili. Caracas accusa gli Stati Uniti di voler mettere le mani su queste risorse e considera il dispositivo militare nel Mar dei Caraibi contro il narcotraffico un semplice pretesto. In una lettera firmata da Maduro e resa pubblica dalla vicepresidente Delcy Rodríguez, il governo chavista ha denunciato alla conferenza ministeriale dell’Opec+ guidata da Arabia Saudita e Russia l’uso da parte di Washington di «forza militare letale contro il territorio, il popolo e le istituzioni del paese». Non solo Venezuela, la politica delle cannoniere di Trump mira ai progressisti di Colombia e Messico L’interesse di Mosca Il Venezuela è cruciale anche per Mosca. Secondo fonti diplomatiche, la Russia avrebbe inviato un generale a Caracas per assistere le forze armate di Maduro. Il Cremlino mira a ostacolare l’influenza americana nell’emisfero occidentale e a mettere sotto pressione i governi filo-Washington. Un futuro governo conservatore e pro-Usa – come quello rivendicato nel 2019 da Juan Guaidó, autoproclamatosi presidente ad interim contro la rielezione di Maduro – potrebbe rilanciare la produzione venezuelana oggi strozzata dalle sanzioni, esercitando pressioni al ribasso sui prezzi globali del greggio. Il braccio di ferro tra Trump e Maduro ha ricadute che vanno ben oltre Caracas, toccando equilibri energetici e geopolitici globali. Cia, droga e non solo: perché Trump ha messo nel mirino il Venezuela di Maduro