Viaggio nella roccaforte islamista di Idlib. È qui che si decide il futuro della Siria

A Idlib c’è una bandiera che svetta più in alto di quella nazionale siriana. Ha uno sfondo bianco e in nero recita la shahada (la testimonianza di fede con cui un musulmano dichiara di credere in un solo e unico Dio e nella missione profetica di Maometto). La bandiera è posta al centro della prima piazza all’entrata della città. È la stessa bandiera islamista che si è vista anche nella piazza degli Omayyadi a Damasco, durante le celebrazioni del primo anniversario della Liberazione. Ed è la stessa utilizzata da Hayat Tahrir al Sham (Hts), la coalizione di gruppi ribelli, islamisti e jihadisti dell’ex fronte al Nusra (ramo di Al Qaeda in Siria) che hanno portato alla caduta del regime di Bashar al Assad. È qui a Idlib, nell’area nord-occidentale del paese, che l’attuale governo siriano di Ahmed al-Sharaa affonda le sue radici. Per anni la città è stata una roccaforte ribelle e la sua provincia è stata al centro di numerosi scontri con le forze governative. Dal 2017 è sotto il controllo di Hts che negli anni ha imposto regole molto ristrette alla popolazione, dal divieto di trasmettere musica nei caffè a un vestiario più stringente per le donne. Dal niqab alle armi La maggior parte delle donne che camminano per strada indossa il niqab, il velo che copre l’intero viso e lascia scoperta solo la fascia degli occhi. Alcuni negozi hanno fuori un cartello con scritto: «Proibito alle donne di entrare». La nuova Siria dei rifugiati: «Costruiamo un paese forte» Sono quelli che vendono armi ed equipaggiamento militare. In città se ne contano almeno una ventina. Muslim, ragazzo ceceno di 39 anni, è il titolare di uno di questi. «Chiunque, a Idlib, può comprarsi un’arma», dice ridendo. Non vuole rivelare il suo vero nome, ci da quello da combattente. «I ragazzi ti chiedono di cambiarlo quando entri in Siria e ho scelto Muslim», spiega, rifiutandosi di raccontare altro. Ha la barba lunga, un berretto beige militare in testa, e una pistola dentro una fondina attaccata alla cintura del pantalone. Prima di arrivare in Siria, è stato in Egitto e in Turchia. Da qui ha attraversato il confine in maniera irregolare ed è entrato nel paese. «Quando sono arrivato in Siria nel 2014, sono entrato in un gruppo armato che lottava contro Bashar al Assad. Ho combattuto in quasi tutte le battaglie, anche l’ultima che ha portato alla capitolazione del regime. Per me, combattere contro Assad è stata un’opportunità che aspettavo da tanto. È stata una tirannia che ha fatto molto male alle persone e all’Islam». Siria, un anno senza Assad: la festa e il mistero del presidente al Sharaa Mentre Muslim racconta la sua storia, nel suo piccolo negozietto il via vai di gente è incessante. C’è chi chiede quanto costano le magliette mimetiche. Sono di fatturazione russa, spiega il venditore. Costano 20 dollari quelle a maniche lunghe, 15 dollari quelle a maniche corte. Altri chiedono i prezzi dei gilet militari. Quello delle forze speciali britanniche viene 550 dollari, ma ci sono anche quelli a un prezzo più un basso a 210 dollari: «Sono quelli cinesi», spiega. E una pistola? La più comune costa solo 190 dollari. Chiunque può averne una. Il tariffario varia a seconda della qualità e ci sono armi che arrivano a costare fino a seimila dollari. «Puoi trovare di tutto. Tante armi vengono dagli Stati Uniti anche se sono tedesche, svizzere, greche. Passano attraverso il confine con il Libano. Da lì entra tutto, è molto semplice e non ci sono quasi mai problemi», spiega Muslim. «Vendo armi perché le so maneggiare bene», racconta, mentre con cacciavite alla mano monta un piccolo mirino su una pistola appena consegnata da un cliente. Un altro entra e inizia a giocherellare con coltelli dalla lama lunghissima. Chiede informazioni in russo, anche lui è ceceno. Hanno lasciato il paese anni fa, entrambi in dissidenza con la dinastia dei Kadyrov e il regime di Vladimir Putin, hanno trovato in Siria un fronte – quello tra le fila degli islamisti - in cui combatterli. Muslim non vuole a tornare in Cecenia. «Lì non posso praticare la mia fede islamica in libertà», spiega. Meno sanzioni alla Siria: l’ex jihadista al-Sharaa ottiene i favori di Trump Ora a Idlib ha una moglie siriana e due bambine. Nonostante non abbia la cittadinanza siriana, Muslim lavora per il ministero della Difesa. Alterna una settimana di lavoro come militare a una di riposo, e la dedica al suo negozietto a vendere accessori per le armi. È la ricompensa per aver partecipato alla “Liberazione del paese”. «Sono disposto a partecipare in qualsiasi battaglia e in qualsiasi momento», precisa. E la prossima potrebbe essere quella contro le forze curde. «I curdi sanno che non possono continuare a stare contro il governo siriano. Ma se il problema non si risolve politicamente, noi siamo disposti a risolverlo con la guerra». L’influenza turca Idlib è un mondo a sé rispetto al resto della Siria. In giro le forze di polizia quasi non si vedono a differenza di Damasco. Non ne hanno bisogno, la città è piena di combattenti islamisti leali ad al-Sharaa. Ma qui è ingombrante soprattutto il retaggio turco. Nel 2017 l’esercito di Recep Tayyip Erdogan ha spostato migliaia di soldati lungo il confine per aiutare i ribelli a combattere contro le forze di Assad e del presidente Putin. Padre Dall’Oglio, la missione in Siria della sorella: «Assad sapeva la verità» Non è un caso, infatti, se la moneta principale è la lira turca, dopo il dollaro. Qui non si può pagare in valuta siriana. E in città la corrente ha un flusso più continuo rispetto ad altre parti del paese. «Anche questa viene dalla Turchia», spiega un soldato dentro al negozio di Muslim. Per tenere alleati i vari gruppi islamisti in città, il presidente al-Sharaa ha elargito paghe alte ai dipendenti pubblici. Un medico di Idlib arriva a guadagnare fino a dieci volte di più rispetto a un dottore che lavora ad Aleppo, per esempio. Tuttavia, tra le vie della città la povertà è visibile e drammatica: bambini di ogni età che lavorano come venditori ambulanti. Migliaia di ex combattenti ora sono finiti all’interno delle nuove istituzioni siriane. Il personale nei ministeri si divide in tre fazioni: quelli che vengono da Idlib, quelli del precedente regime e quelli rientrati dalla diaspora, ancora confusi dopo una decina di anni all’estero. Difficile far coesistere queste tre anime nella nuova Siria. Tenere a bada gli uomini di Idlib sarà la prossima sfida del presidente al-Sharaa, che non fa altro che richiamare il paese all’unità.