L’incontro in Vaticano fra il segretario di Stato Pietro Parolin e il vicepresidente Usa JD Vance è servito a ricostruire un clima positivo dopo le polemiche aspre dei mesi scorsi. Ma Vance, che ha partecipato ai riti del venerdì santo nella basilica di San Pietro, non ha visto il papa. Restano ampie le distanze su deportazioni dei migranti e politiche di aiuto ai paesi più fragili economicamente
Il tentativo è stato quello di ammorbidire i toni e di mostrare che con la forza del dialogo e della diplomazia, con la cordialità dell’incontro personale, anche le tensioni più evidenti e brucianti potevano, almeno in parte, essere se non superate affrontate cercando soluzioni comuni; la realtà è che i nodi sul tappeto restano tanti così come le distanze nella diversità di vedute e approcci su alcuni dei maggiori fattori di crisi internazionali: dalle guerre, al tema dei migranti, al ruolo della Chiesa negli Stati Uniti.
È questo, in estrema sintesi, l’esito dell’incontro svoltosi la mattina di sabato 19 aprile in Vaticano, fra il vicepresidente americano JD Vance e il segretario di Stato del papa, cardinale Pietro Parolin.
Vance non ha però potuto incontrare – almeno pubblicamente – il pontefice nemmeno per un breve saluto, come era avvenuto invece per il sovrano del Regno Unito Carlo III con la consorte Camilla; che il papa sia convalescente è noto, se si sia trattato di problemi di salute diplomatici o reali è cosa che resta più incerta (anche se c’è chi ipotizza un improbabile incontro in extremis nel giorno di Pasqua).
Il nodo immigrazione
Il colloquio di Vance col segretario di Stato, segna comunque una ripresa del dialogo diretto fra Casa Bianca e Santa Sede, dopo le severe critiche espresse da Francesco alle politiche anti-immigrati dell’amministrazione Trump, caratterizzate dal progetto della deportazione di massa di quanti vivono da anni negli States, ma sono privi di cittadinanza.
Nel febbraio scorso, infatti, il papa, in una lettera indirizzata all’episcopato americano, affermò fra le altre cose: «L’atto di deportare persone che in molti casi hanno abbandonato la propria terra per ragioni di povertà estrema, insicurezza, sfruttamento, persecuzione o grave deterioramento dell’ambiente, lede la dignità di molti uomini e donne, e di intere famiglie, e li pone in uno stato di particolare vulnerabilità e incapacità di difendersi».
JD Vance, da parte sua, aveva accusato la Chiesa di essere preoccupata più per i fondi federali che venivano tagliati alle organizzazioni cattoliche impegnate nell’accoglienza che per i migranti, ricevendo risposte puntuali e polemiche da parte degli stessi vescovi.
Probabilmente la visita Oltretevere del vice di Trump, un convertito al cattolicesimo che nella serata di venerdì si è recato nella basilica vaticana insieme alla famiglia per i riti pasquali, è servita almeno a stemperare i toni di certi contrasti, e a rimettere sul binario della correttezza diplomatica le relazioni fra Santa Sede e Washington.
Non a caso nel comunicato diffuso dal Vaticano, si afferma come «nel corso del cordiale colloquio è stato espresso compiacimento per le buone relazioni bilaterali esistenti tra la Santa Sede e gli Stati Uniti d’America, ed è stato rinnovato il comune impegno nel proteggere il diritto alla libertà religiosa e di coscienza».
Inoltre, «vi è stato uno scambio di opinioni sulla situazione internazionale, specialmente sui paesi segnati dalla guerra, da tensioni politiche e da difficili situazioni umanitarie, con particolare attenzione ai migranti, ai rifugiati, ai prigionieri». Quindi «si è auspicata una serena collaborazione tra lo Stato e la Chiesa cattolica negli Stati Uniti, di cui è stato riconosciuto il prezioso servizio alle persone più vulnerabili».
Obblighi morali e dossier cinese
Su un piano più generale, giova ricordare quanto lo stesso segretario di Stato vaticano disse intervenendo di fronte alla Comece, la commissione delle Conferenze episcopali dell'Unione europea, riunitasi a Nemi, non lontano da Roma, alle fine del marzo scorso.
Nell’occasione, il cardinale Parolin affermò fra l’altro: «Tra le nuove sfide che attendono il nostro continente vi è poi quello del suo ruolo politico in un mondo in continua e rapida trasformazione. L’approccio in politica estera della nuova amministrazione americana sta mettendo in discussione le relazioni atlantiche sviluppatesi dal 1945 e ritenute da tutti solide e durevoli».
E in merito a quelli che dovevano essere i nuovi compiti dell’Ue nel nuovo contesto e alla decisione della Casa Bianca di tagliare gli aiuti internazionali ai paesi poveri – seguita da diverse cancellerie europee, alle prese con un’escalation di spese militari – affermava ancora: «Non si possono tralasciare obblighi morali come l’aiuto umanitario e lo sviluppo dei Paesi più poveri, il rispetto dei diritti umani e la tutela dell’ambiente. Varie organizzazioni, anche cattoliche, dedicate all’aiuto umanitario, hanno alzato in questi giorni la loro voce sulla forte riduzione delle risorse che ricevono, per questi fini».
In questo senso va segnalato anche un intervento sull’Osservatore romano del 18 aprile di padre Giulio Albanese, con il quale si criticava la politica dei dazi imposta dalla Casa Bianca su scala mondiale perché avrebbe finito per colpire in modo particolare molti paesi africani esportatori verso gli Usa.
«È importante rilevare – affermava l’Osservatore romano – che le misure volute da Trump pregiudicano il futuro dell’African Growth and Opportunity Act (Agoa), l’accordo firmato nel 2000 che consente ad alcuni prodotti africani di beneficiare di un accesso di favore al mercato statunitense. Considerando che scade a giugno di quest’anno, i governi dei 32 Paesi dell’Africa subsahariana ritenuti idonei sono seriamente preoccupati.
L’Agoa, finora, ha concesso loro il permesso di esportare negli Stati Uniti circa 6.800 prodotti senza pagare dazi doganali. Qualora fosse messa in discussione la loro ammissibilità dalle nuove tariffe, ne sarebbe devastato l’intero programma, con notevoli conseguenze economiche e sociali per diversi Paesi africani».
Infine va ricordato come fra i dossier che più acutamente dividono la Casa Bianca dal Vaticano c’è il tema dei rapporti con la Cina. Se per Trump Pechino è la nuova superpotenza globale in grado di sfidare e mettere in crisi il primato americano, per Roma le buone relazioni con la Cina sono vitali per sviluppare la Chiesa del terzo millennio, una sfida che la Santa Sede ha preso molto sul serio, a costo di spezzare lo storico cordone ombelicale che la legava all’Occidente.
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