Il gruppo Volkswagen ha perso la class action intentata contro di lui da Altroconsumo in Italia per il cosiddetto Dieselgate, lo scandalo delle emissioni dei motori diesel scoppiato nel 2015 negli Stati Uniti e che ha interessato anche il gruppo Fca, ora Stellantis. E per questo motivo dovrà pagare 3.300 euro più interessi vari per ogni consumatore che abbia avuto accesso a questo procedimento e che sia proprietario di un veicolo di una delle marche del gruppo che monti un motore Euro 5 del tipo EA 189 venduto tra il 2009 e il 2015. Così ha stabilito il collegio del tribunale di Venezia presieduto da Roberto Simone (relatore il giudice Maddalena Bassi), competente per territorio, dopo una battaglia legale durata quasi cinque anni e nata da una sanzione Antitrust da 5 milioni di euro al gruppo tedesco per una violazione del Codice del commercio. L'associazione Altroconsumo stima che siano circa 63 mila i proprietari di veicoli che montano questo motore che siano stati effettivamente ammessi al procedimento dopo la meticolosa selezione chiesta dalle due società del gruppo tedesco citate in tribunale, per un esborso complessivo che sorpasserebbe di poco i 200 milioni di euro. Cifra sicuramente importante anche per la ricca filiale italiana del gruppo.

L'onda lunga del Dieselgate è arrivata quindi anche in Italia e si è infranta contro la casa automobilistica di Wolfsburg, in Bassa Sassonia, soccombente in una causa civile che resterà una pietra miliare per i diritti del consumatori. Innanzitutto perché in Italia lo strumento della class action è utilizzato ancora molto poco, viste le difficoltà tecniche e i costi elevati per raccogliere le adesioni. E poi, nel caso specifico, perché la società tedesca ha resistito in ogni modo davanti al giudice italiano, allungando i tempi della decisione. Una resistenza, però, che appare poco rispettosa dei diritti degli automobilisti italiani se si pensa che sia negli Stati Uniti, sia in Germania, la società ha trovato un accordo transattivo per questo stesso problema senza dover costringere i consumatori a una lunga causa. Accordo che ha interessato circa 500 mila americani e 200 mila tedeschi. Ma in Italia la normativa sulla class action è ben più macchinosa di quella americana, e la società ha giocato in queste strettoie quantomeno per allungare i tempi e sfoltire il più possibile la «classe» di consumatori titolati a un potenziale risarcimento. Il collegio giudicante , in ogni modo, ha addebitato tutte le spese processuali al gruppo tedesco. Un sollievo per Altroconsumo, che non ha certamente i mezzi del maggiore gruppo mondiale automobilistico che capitalizza in borsa ben 121 miliardi di euro in questo momento. La normativa italiana impone tutta una serie di adempimenti alle associazioni di consumatori che si imbarcano in una class action, tra le quali anche investimenti in pubblicità per propagandare la citazione in tribunale, pena l'inammissibilità. E Altroconsumo è stata risarcita anche per queste spese.

Quali sono i motivi della decisione? Il presupposto di questa causa è un software piuttosto intelligente che appartiene alla categoria dei «defeat device» e che, installato sulle automobili, riconosce quando le macchine sono su strada e quando corrono sui rulli utilizzati per le prove tecniche. E proprio sui rulli questo dispositivo tarava le emissioni di ossido di azoto in misura minore rispetto a quello che accadeva realmente nella guida su strada, consentendo una certificazione migliore di quella realtà. Una volta scoperto questo software dalla Agenzia americana per l'ambiente era stato ammesso anche dalla stessa Volkswagen, probabilmente per evitare ritorsioni maggiori a livello commerciale. Ma in Italia la società ha sostenuto, davanti al giudice, che questo software non era un componente del controllo delle emissioni e che quindi non era in grado di incidere sulle stesse. Ma questa tesi, per i giudici, si è sbriciolata sull'evidenza che anche l'Autorità dei trasporti tedesca ha riconosciuto che si tratti di un sistema di manipolazione delle emissioni nocive contrario alle rispettive norme europee imponendo al gruppo automobilistico di rimuoverlo, dopo che anche in Germania la società aveva ammesso l'illecito davanti a una commissione d'inchiesta del ministero dei Trasporti.

Per i giudici veneziani il gruppo tedesco ha messo in atto una pratica commerciale scorretta sostenuta da una comunicazione che esaltava l'impegno della casa automobilistica per l'ambiente che ha indotto i consumatori a scegliere le sue auto ritenute meno inquinanti, nonostante questo comportasse una maggiore spesa. E, dice la corte, il «danno risarcibile in capo al consumatore consiste nell'aggravio economico, parametrato al maggior prezzo dei veicoli (acquistati fino al 2015, ndr) omologati Euro 5, sostenuto per l'acquisto di un veicolo formalmente di quella tipologia, ma di fatto di una classe Euro inferiore». In altri termini, pensavano di aver acquistato un'Euro 5, ma di fatto viaggiavano su un Euro 3 per le emissioni effettivamente realizzate da quelle auto. «Se consapevoli delle effettive caratteristiche, i consumatori avrebbero assunto una decisione commerciale diversa, valutando la possibilità di acquisto di un veicolo di un altro marchio» aggiunge Altroconsumo nei suoi motivi. Per questo la corte ha deciso di risarcire con 3.300 euro ogni consumatore ammesso alla class action, ovvero il 15 per cento del prezzo medio di quei veicoli nuovi, stimato in 20 mila euro.

Volkswagen ha subito ribadito che farà appello contro questa sentenza. Una decisione singolare e piuttosto discutibile, se sarà effettivamente portata avanti, dopo aver pagato i risarcimenti in Germania e Stati Uniti, ma anche in Australia, che non è molto rispettosa dei consumatori italiani. Che dovranno attendere ancora un po', probabilmente, per vedere i propri soldi.

Altroconsumo, che incassa una sentenza importante, ha in ballo anche una class action contro Apple per gli iphone 6 mentre ha estinto quella contro Facebook e si è in attesa di comunicazioni circa l'accordo stragiudiziale trovato con il colosso dei social network.

© Riproduzione riservata