La pandemia da Covid-19 ha contribuito a un deterioramento generale dell’accesso dei cittadini alle informazioni in tutto il mondo. I governi hanno censurato la copertura delle notizie e colpevolizzato le inchieste riguardo alla gestione della pandemia da parte della classe politica. A lanciare l’allarme è il Washington Post riprendendo il rapporto World Press Freedom Index del 2021 pubblicato da Reporter senza frontiere.

Secondo quanto emerge dal documento, l’accesso all’informazione è «totalmente bloccato o seriamente impedito» in 73 paesi e limitato in altri 59, che insieme rappresentano il 73 per cento dei 180 paesi valutati.

Il gruppo con sede a Parigi ha evidenziato come vari paesi abbiano approvato leggi draconiane nei confronti dei media e arrestato giornalisti che hanno indagato sulla carenza di forniture mediche e il crescente numero di morti per il Covid-19.

«I dati mostrano che i giornalisti stanno trovando sempre più difficile indagare e riportare storie delicate, soprattutto in Asia, Medio Oriente ed Europa» si legge nella presentazione del rapporto.

«Il giornalismo è il miglior vaccino contro la disinformazione», ha detto il segretario generale di Reporter senza frontiere Christophe Deloire. «Purtroppo, la sua produzione e distribuzione sono troppo spesso bloccate da fattori politici, economici, tecnologici e, talvolta, anche culturali».

Cina, Brasile, Egitto, Iran, Venezuela e Zimbabwe sono i paesi in cui i governi hanno preso misure drastiche contro i giornalisti.

Alcuni dati europei

La Norvegia si conferma al primo posto in classifica per il rispetto della libertà di stampa per il quinto anno consecutivo, questo «anche se i suoi media si sono lamentati della mancanza di accesso alle informazioni statali sulla pandemia». La Finlandia ha mantenuto la seconda posizione, mentre la Svezia arriva terza superando la Danimarca che scala al quarto posto. I paesi nordici si confermano, ancora una volta, tra i più rispettosi dei diritti dei giornalisti.

In generale, l’Europa ha registrato «un notevole deterioramento del suo indicatore “abusi”, con atti di violenza più che raddoppiati nell’Unione europea e nei Balcani, rispetto a un deterioramento del 17 per cento a livello mondiale». Gli attacchi contro i giornalisti e gli arresti arbitrari sono aumentati in Germania (13esimo posto), Francia (34esimo), Polonia (-2 al 64esimo), Grecia (-5 al 70esimo), Serbia (93esimo) e Bulgaria (-1 al 112esimo).

L’Italia è ferma alla 41esima posizione in classifica, nonostante le recenti inchieste della magistratura di Trapani e Locri che hanno dimostrato come i procuratori abbiano intercettato alcuni giornalisti nonostante non fossero indagati, con lo scopo di trarre dati e informazioni utili alle indagini.

Il resto del mondo

Negli Stati Uniti (-1 al 44esimo posto) la situazione rimane quasi stabile, «nonostante il fatto che l’ultimo anno di Donald Trump alla Casa bianca sia stato segnato da un numero record di aggressioni contro i giornalisti (circa 400) e arresti di membri dei media (130)» si legge nel rapporto riportando i dati dell’Us Press freedom tracker.

«La diffamazione e l’umiliazione pubblica orchestrata dei giornalisti sono diventati marchi di fabbrica del presidente Bolsonaro, insieme alla sua famiglia e agli alleati più stretti». Non è un caso, infatti, se il Brasile si trova al 142esimo posto come l’India, seguito dal Messico e la Russia (-1 posto al 150esimo) che scende di una posizione per aver «dispiegato il suo apparato repressivo per limitare la copertura mediatica delle proteste a sostegno dell’avversario del Cremlino, Aleksej Navalny». 

La Cina dal suo 177esimo posto continua a censurare Internet e la sua sorveglianza e propaganda nell’anno della pandemia ha raggiunto livelli senza precedenti.

L’indicatore globale di Reporter senza frontiere è solo lo 0,3 per cento più basso nell’Indice 2021 rispetto al 2020. Tuttavia, la questa «non dovrebbe distogliere l’attenzione dal fatto che è peggiorato del 12 per cento da quando questo indicatore è stato creato nel 2013».

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