Se la lista dei governi (Stati Uniti, Regno unito, Australia e Canada) che hanno annunciato il boicottaggio diplomatico delle Olimpiadi di Pechino 2022 evidenzia l’ostilità maturata tra la Repubblica popolare cinese e una parte dell’occidente, l’elenco dei capi di stato che presenziano alla cerimonia inaugurale offre uno spaccato degli interessi economici di un paese che si sente nuovamente al centro del mondo.

Emiri petrolieri, presidenti debitori, generali golpisti, autocrati vecchi e nuovi approfitteranno di queste Olimpiadi invernali per essere ricevuti da Xi Jinping, che da due anni non varca i patri confini, prigioniero della divisa, cucitagli addosso dalla propaganda, di condottiero della «guerra popolare contro il coronavirus», combattuta a colpi di chiusure rigidissime che non risparmiano nessuno.

A Vladimir Putin è stato riservato un posto a tavola con Xi e nell’incontro fra i due è stata riaffermato il legame «senza limiti» tra i due paesi. Nel comunicato congiunto hanno ribadito l’opposizione all’espansione della Nato. 

Assieme al presidente russo c’erano il suo ministro dell’energia, Nikolay Shulginov, e Igor Sechin, a capo del colosso energetico Rosneft. «La visita rafforzerà ulteriormente la cooperazione sul gas», ha comunicato il Cremlino.

La leadership cinese deve assecondare lo sviluppo socioeconomico del paese nei prossimi decenni, riducendo l’utilizzo del carbone.

Putin ha annunciato «progetti congiunti su larga scala» per quanto riguarda petrolio e gas, e la partecipazione della russa Rosatom alla costruzione di quattro nuovi reattori nucleari in Cina. Mosca e Pechino stanno altresì mettendo a punto «meccanismi (finanziari) per neutralizzare l’impatto negativo di sanzioni unilaterali», ovvero degli Stati Uniti.

Greggio e investimenti

Allo show nell’iconico stadio Bird’s Nest (disegnato dal dissidente Ai Weiwei) ha partecipato anche il principe Mohammed bin Salman, sospetto mandante dell’assassinio del giornalista Jamal Khashoggi, fatto a pezzi nel consolato saudita di Istanbul il 2 ottobre 2018.

Negli ultimi anni Riad ha sviluppato con Pechino «relazioni strategiche onnicomprensive», con una bilancia commerciale saldamente in attivo: oltre 35 miliardi di dollari di esportazioni (la Cina è il principale acquirente di greggio saudita) a fronte di 26 miliardi di dollari di importazioni (attrezzature per le telecomunicazioni fornite da Huawei e automobili).

Alla porta di Xi busseranno altri due sceicchi: l’emiro del Qatar Tamim bin Hamad al Thani, e il principe degli Emirati Arabi Uniti Mohamed bin Zayed al Nahyan. Il leitmotiv sarà lo stesso: petrolio in cambio di investimenti infrastrutturali. Mentre il presidente golpista Abdel Fattah al Sisi proporrà il “suo” Egitto come porta d’accesso per le imprese cinesi in medio oriente e Africa.

Xi attende inoltre il presidente Kassim-Jomart Toqaev, fresco di repressione dei moti anti governativi in Kazakistan. Il fuoco sui rivoltosi ordinato il mese scorso da Toqaev (ufficialmente 225 morti) secondo Pechino è stato diretto contro le «tre forze del male» (estremismo, separatismo e terrorismo), che agiscono da entrambi i lati della frontiera di 1.800 chilometri tra il paese centroasiatico e la regione cinese del Xinjiang.

Il Kazakistan è al centro delle rotta della nuova via della Seta che conduce dall’Asia all’Europa ed è attraversato per oltre duemila chilometri da gasdotti e oleodotti che assicurano un flusso continuo di idrocarburi che arriva proprio nel Xinjiang.

A colloquio con Xi anche i leader di tutti gli altri stati (Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan) di un’Asia centrale sempre più strategica per gli approvvigionamenti energetici, i commerci e gli investimenti cinesi.

Banchieri del sud del mondo

Non potevano mancare il presidente Aleksandar Vučić (la sua Serbia è tra i paesi europei quello che ha relazioni più strette con la Cina) né quello polacco Andrzej Duda, in missione per esporre a Xi le ragioni dell’Ue in difesa dell’Ucraina.

Ma la Cina, con le sue banche di stato e le sue nuove istituzioni finanziarie internazionali, è diventata anche un prestatore internazionale.

Per questo, per rinegoziare il debito contratto dal suo paese (5,17 miliardi di dollari), si tratterrà a Pechino tre giorni il presidente dell’Ecuador, l’ex banchiere Guillermo Lasso, che ha annunciato una “grande sfida”: «Cercheremo le condizioni migliori e soprattutto svincoleremo il petrolio dal pagamento del debito con la Cina, in modo che il greggio sia liberamente disponibile per il governo ecuadoriano».

La Cina è il principale partner commerciale di 130 paesi. Eccetto la Corea del Nord non ha alleati, eppure è sempre più “amica” di paesi ricchi di risorse, alcuni dei quali sono diventati potenze regionali, altri che sta contribuendo a sviluppare coi suoi capitali e le sue aziende di stato.

La globalizzazione “con caratteristiche cinesi” può avere anche il volto odioso dei tiranni, ma è destinata ad affermarsi come la “nuova normalità” di un mondo multipolare e post-ideologico.

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