Che si tratti di fare da giurato nel popolarissimo China’s got talent o da testimonial per un brand di cosmetici pubblicizzato in live streaming, d’ora in avanti attori famosi e pop-meteore dovranno attenersi alle nuove regole volute dal Partito comunista cinese per disciplinarne il comportamento e la presenza online.

Le norme varate questa settimana dall’Amministrazione del cyberspazio della Cina (Cac) si applicano ai vip, ai loro fan e agenti, e fissano limiti per le pagine online, stabiliscono il divieto di sfoggiare uno stile di vita lussuoso, nonché di pubblicare post sulla vita e il tempo libero delle celebrity.

«Gossip e informazioni private hanno occupato la home page e gli argomenti di tendenza di alcuni siti web, impiegando molte risorse pubbliche», si legge nel comunicato della Cac. «Le star devono aderire alla corretta direzione dell’opinione pubblica e promuovere i valori fondamentali del socialismo».

Ancora una volta nelle mosse del governo guidato da Xi Jinping riecheggia l’imperativo maoista secondo cui «la leadership del controllo del pensiero costituisce la priorità assoluta per mantenere la leadership complessiva».

I vip, diventati nell’ultimo decennio sempre più social, nel paese che ha il primato mondiale di utenti connessi da smartphone (oltre un miliardo), dovranno essere in servizio permanente effettivo per promuovere i valori della “Nuova era” inaugurata dal XIX congresso del partito di ottobre 2017.

Daspo virtuale

Dunque i personaggi famosi potranno gestire al massimo un account per ogni social, mentre quelli delle idolatre community di fan (fànquān) dovranno essere autorizzati dalla Cac, il cui vicepresidente, Sheng Ronghua, ha annunciato che nelle ultime settimane sono stati rimossi più di 20mila account «illegali», e cancellati oltre 400mila post «dannosi».

Nella mattinata di martedì, con 65 milioni di visualizzazioni, la notizia dei nuovi divieti è entrata nella top dieci degli argomenti di tendenza su Weibo, il Twitter locale. Lo stesso giorno l’Associazione cinese di arti dello spettacolo ha pubblicato una lista nera di 88 persone, per lo più influencer online, a cui è proibito ospitare sessioni in live streaming.

Nell’elenco dei cattivi è finito anche il trentenne Zhang Zhehan, che pure aveva recitato ne La leggenda di Banshu e La leggenda di Yunxi, tra le miriadi di serie sui miti edificanti della storia antica della Cina trasmesse in tv e su internet. L’estate scorsa però l’attore ebbe l’ardire di farsi un selfie davanti al tempio shintoista di Yasukuni, a Tokyo, dove sono seppelliti 14 criminali di guerra giapponesi di “classe A”.

Come altri vip, Zhang si è macchiato di «condotte illegali o non etiche a seguito delle quali - prosegue il comunicato della Cac - non saranno autorizzati a tornare nel settore», cioè in rete. Una sorta di daspo virtuale che non risparmierà nemmeno il pianista Li Yundi, finito in manette il mese scorso, perché accusato di essere un frequentatore abituale di xiăojie (prostitute).

Vincitore del premio Chopin nel 2000, il trentanovenne Li da tempo era diventato soprattutto un ospite fisso di salotti tv, che ora non potrà più frequentare. La gogna mediatica che gli ha riservato la polizia di Pechino si è espressa con un post orwelliano e post denghista: «Il mondo non si divide in bianco e nero, ma bisogna saper distinguere tra bianco e nero: è vietato sbagliare».

La protagonista assoluta di questa campagna moralizzatrice è la Cac, l’organismo istituito da Xi Jinping per sovrintendere alle politiche e al controllo di una rete alla quale sono stati affidati due compiti cruciali: favorire lo sviluppo dell’economia digitale e del commercio elettronico (che ormai rappresenta il 30 per cento del Pil nazionale); e tirare la volata della “Nuova era”, diffondendone in ogni salsa il pot-pourri ideologico a base di confucianesimo, nazionalismo e marxismo “sinizzato”.

C’è chi ricorda che il partito ha sempre provato a irregimentare artisti e intellettuali, ma che ai cicli di repressione sono tradizionalmente seguiti periodi di liberalizzazione. Tuttavia nella “Nuova era” il Pcc può contare su strumenti onnipotenti per imporre la sua morale, avendo accresciuto il controllo su Tencent e gli altri colossi nazionali di internet, a cui le nuove disposizioni della Cac hanno assegnato il compito di controllare gli account delle celebrity e riportare alle autorità eventuali violazioni.

Kolossal patriottici

A due mesi dall’uscita nelle sale, il kolossal patriottico La battaglia del lago Changjin - sulla guerra che (dal 1950 al 1953) vide i “volontari” cinesi e i marine americani schierati su fronti opposti in Corea - è diventato il film cinese che ha realizzato l’incasso più ricco di sempre: 5,70 miliardi di yuan (circa 794 milioni di euro), scavalcando un altro lungometraggio uscito nel 2017, Wolf warrior II.

In quest’ultimo Wu Jing - l’attore protagonista di entrambi - è un membro dei corpi speciali che porta a termine una pericolosa missione in Africa rinsaldando l’amicizia tra la Cina e il continente africano. Commissionato dal dipartimento di propaganda del Pcc, La battaglia del lago Changjin esalta l’eroismo di un gruppo di soldati che riesce a resistere in condizioni estreme a un attacco statunitense.

Per quest’ultima interpretazione Wu Jing ha ricevuto le congratulazioni via Weibo da parte di Zhao Lijian, il più combattivo tra i portavoce del ministero degli Esteri: funzionari e ambasciatori qualificati all’estero come “wolf warrior” perché hanno abbandonato la strategia denghista di «nascondere la forza, aspettare il momento».

E mentre le scolaresche e le unità di lavoro vengono accompagnate ad assistere a La battaglia del lago Changjin, nello stesso tempo viene innalzata una grande muraglia contro gli spettacoli occidentali, da tempo costretti a circolare nei circuiti sotterranei della pirateria, a lungo tollerata.

Liang Yongping, fondatore di un sito web specializzato nella fornitura di sottotitoli per film e serie televisive straniere, è stato arrestato e condannato a tre anni e mezzo di carcere da un tribunale di Shanghai, per violazione del copyright. Liang aveva sviluppato per Renren Yingshi Subtitle Group un sito web che ospitava 33mila film e programmi tv non autorizzati ed era riuscito a fatturare ha oltre 12 milioni di yuan (1,8 milioni di dollari).

Il Paese si isola?

David Dodwell ha polemizzato con Gideon Rachman, che sul Financial Times ha sostenuto che «il rifiuto di Xi Jinping di recarsi a Glasgow per la Cop26 fa parte di un più ampio disegno di auto-isolamento nazionale». Dodwell, che risiede a Hong Kong e scrive su South China Morning Post, ha sottolineato che «nei primi nove mesi di quest’anno, le esportazioni cinesi sono cresciute di quasi il 24 per cento, le importazioni aumentate del 26 per cento. Gli investimenti diretti esteri utilizzati, pari a 113 miliardi di dollari alla fine di agosto, sono aumentati di quasi il 28 per cento. La Cina rimane tra le principali destinazioni di Ied in tutto il mondo. Questi non sono il tipo di numeri sugli scambi e sugli investimenti che suggeriscono un distacco dal resto del mondo».

La realtà però è più complessa di quella dipinta dalle statistiche economiche. La Cina ha incrementato gli scambi soprattutto con i paesi dell’Associazione delle nazioni del Sud-est asiatico (Asean), mentre le tensioni commerciali e politiche iniziate sotto la presidenza Donald Trump sembrano aver definito una «nuova normalità» nelle relazioni della Cina con Stati uniti e Unione europea, meno intense e più problematiche.

Inoltre se nei suddetti ambiti il paese ha la necessità di rimanere relativamente aperto, è anche vero che il combinato disposto tra le rigidità della “Nuova era” e la chiusura ermetica delle frontiere per effetto della pandemia sta provocando un ripiegamento sul nazionalismo e riducendo gli scambi tra popoli.

E mentre per strada è sempre più facile incrociare gruppi di giovani che al look occidentale preferiscono l’abbigliamento in voga in antiche dinastie, per le loro ambizioni professionali formarsi in Cina sta diventando sempre più vantaggioso.

Secondo i dati del ministero dell’Istruzione, prima della pandemia, nel 2019, 703.500 cinesi erano all’estero per motivi di studio. Se fino a qualche anno fa questi rampolli delle classi medio alte, rientrati in patria, avevano un accesso privilegiato al mondo del lavoro, oggi - a causa della pandemia e dell’ascesa delle università cinesi nei ranking globali - restare in questa Cina sempre più chiusa è diventata l’opzione migliore.

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