La massiccia esercitazione lanciata ieri da Pechino intorno a Taiwan rappresenta una novità di portata epocale: una Cina capace di mobilitare marina, aviazione e artiglieria in un’operazione complessa, pianificata da tempo.

Lo schiaffo di Nancy Pelosi ha dato a Xi e compagni l’opportunità di mostrare i muscoli di un paese che sta diventando una potenza anche militare, determinato a contrastare l’egemonia statunitense nella regione.

E la tensione è salita alle stelle nel Pacifico occidentale, dove è concreto il rischio di uno scontro tra forze armate: cinesi da una parte e, dall’altra, taiwanesi e statunitensi.

Il war game – che andrà avanti fino a domenica – non ha precedenti nella storia dell’Esercito popolare di liberazione (Epl). L’ex armata contadina di Mao che Xi Jinping sta trasformando in un esercito moderno ha utilizzato i suoi più sofisticati armamenti made in China, tra cui droni, missili balistici Dongfeng e caccia invisibili J-20.

Il messaggio lanciato è duplice: a Taiwan (possiamo annientare rapidamente le vostre difese) e agli Stati uniti (siamo pronti a combattere per scongiurare l’indipendenza di Taiwan).

La marina e l’aviazione dell’Epl stanno operando in sei zone intorno all’isola, circondandola. È l’assaggio di un blocco navale che Pechino potrebbe attuare in futuro, privando l’economia globale dei suoi cervelli – i microchip più avanzati prodotti per oltre l’80 per cento a Taipei e dintorni – e lasciando il governo di Tsai Ing-wen senza rifornimenti.

Alla vigilia del XX congresso del partito che gli assegnerà un inedito terzo mandato, Xi ha scelto la risposta simbolica più dura possibile, per rispondere alla visita della speaker della Camera in un paese che gli Stati Uniti non riconoscono ufficialmente, e che per la Repubblica popolare cinese è un territorio da “riunificare” alla madrepatria.

Le proteste del G7

Le proteste del G7, che dopo l’annuncio dell’esercitazione l’avevano accusata di «aumentare le tensioni e destabilizzare la regione», non hanno fermato la macchina bellica di Pechino.

Nel pomeriggio l’Epl ha lanciato una dozzina Dongfeng da piattaforme sulla Cina continentale che si sono inabissati nelle acque a nord, a sud e ad est di Taiwan dopo averla sorvolata, ripresi dalla tv di stato e celebrati dai nazionalisti sui social impazziti dall’altro ieri, quando l’aereo di Pelosi era atterrato a Taipei.

Il comando orientale dell’Epl – incaricato delle operazioni –  ha comunicato che «tutti i missili hanno centrato in pieno l’obiettivo» e che «l’intera esercitazione a fuoco vivo è stata completata con successo».

Altri 191 razzi sono stati esplosi verso Taiwan dalla provincia del Fujian. Un centinaio le sortite dei jet con la stella rossa. Il comando orientale ha spiegato che verranno colpite anche le acque a largo della costa orientale dell’Isola, sede degli hangar e delle piste dell’aviazione taiwanese.

Il portavoce del ministero della Difesa di Pechino ha dichiarato che «l’esercito cinese farà ciò che aveva annunciato». «La collusione tra Taiwan e gli Stati Uniti – ha aggiunto Tan Kefei – sprofonderà Taiwan in un disastro e danneggerà seriamente i compatrioti di Taiwan».

Secondo il tabloid nazionalista Global Times, nei prossimi giorni verranno provati anche missili a lungo raggio.

Antony Blinken ha provato a ribaltare le accuse cinesi, dichiarando di «sperare fortemente che Pechino non produrrà una crisi o cercherà una pretesa per aumentare la sua azione militare aggressiva».

Il segretario di Stato Usa ha poi assicurato che gli Stati uniti «rimangono impegnati nello loro politica sulla Cina» guidata dai princìpi del Taiwan Relations Act, ovvero esattamente quello che i cinesi li accusano di aver violato.

Ieri nell’aerea del war game ordinato da Xi si sono levati in volo un aereo P-8A Poseidon per il pattugliamento marittimo e un elicottero anti-sommergibile MH-60R statunitensi.

In precedenza la zona attorno alla città di Kaohsiung era stata controllata dai vecchi Mirage 2000 ed F-5 taiwanesi. Il ministero della difesa nipponico ha protestato perché cinque missili balistici sono piovuti in mare all’interno della zona economica esclusiva del Giappone.

Come l’Ucraina?

C’è chi in queste ore avanza un paragone tra le esercitazioni attorno a Taiwan e quelle ordinate dal presidente russo Vladimir Putin alla vigilia dell’invasione dell’Ucraina.

Ma la Cina sa bene cosa rappresenta Taiwan per gli Usa, che con ogni probabilità entrerebbero in guerra in caso di attacco di Pechino. Come ha spiegato qualche mese fa al Senato americano Ely Ratner, «Taiwan si trova in uno snodo critico all’interno della prima catena di isole, che connette una rete di alleati e partner degli Stati uniti che si estende dall’arcipelago giapponese fino alle Filippine e nel Mar cinese meridionale, fondamentale per la sicurezza della regione e per la difesa degli interessi vitali degli Stati uniti nell’Indo-Pacifico».

«Geograficamente», ha aggiunto il sottosegretario alla difesa responsabile per le questioni di sicurezza dell’Indo-Pacifico, «Taiwan si trova anche lungo le principali rotte commerciali che forniscono linee di comunicazione marittime per gran parte del commercio mondiale e del trasporto di energia».

Nella speranza che nelle prossime ore non si verifichi alcun incidente (un drone cinese che sorvolava l’isola di Quemoy, controllata da Taiwan, ieri, fortunatamente, non è stato colpito) nelle prossime ore la parola tornerà agli Stati Uniti e a Taiwan.

Come reagiranno a loro volta a quelle che il governo di Taipei ha definito «azioni irrazionali che mettono a repentaglio la pace nella regione»?

La diplomazia di Pechino intanto ha giustificato la sua risposta in sede Asean. «Il piano degli Usa di utilizzare Taiwan per contenere la Cina non avrà mai successo e non invertirà la tendenza storica del ritorno inevitabile di Taiwan alla madrepatria», ha dichiarato il ministro degli esteri, Wang Yi, a margine di un incontro dell’Associazione delle nazioni del sudest asiatico.

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