La VI sessione plenaria del XIX Comitato centrale del Partito comunista cinese si è chiusa a Pechino con l’approvazione dell’attesa «risoluzione sulle grandi conquiste e l’esperienza storica del partito nell’ultimo secolo».

I segretari provinciali, i generali dell’Esercito popolare di liberazione e i capi delle maggiori aziende di stato – 348 componenti la leadership allargata – hanno apposto il sigillo su un documento che aggiorna l’epopea del partito-leviatano, e permette al suo dominus, Xi Jinping, di presentarsi al Congresso dell’autunno prossimo, il XX (che per il Pcus significò destalinizzazione e per il Pci scioglimento), per ottenere un inedito terzo mandato da segretario generale oppure, rispolverando la carica introdotta da Mao Zedong e “congelata” dal 1982, di farsi eleggere “presidente” del Partito comunista cinese, per il quale lo statuto non specifica né i poteri, né fissa alcun limite di mandato.

Insomma da ieri – mutatis mutandis – Xi Jinping è ancora più vicino al padre della patria che alla vigilia della Rivoluzione culturale epurò suo papà, Xi Zhongxun, e che durante il “decennio perduto” spedì Xi, assieme a centinaia di migliaia di “giovani istruiti”, a dissodare i terreni con i contadini nello Shaanxi.

Non è un caso che nel comunicato che ha fatto calare il sipario sul plenum che si era aperto lunedì scorso il nome di Mao ricorra ben sette volte, secondo soltanto a quello di Xi Jinping (17), mentre Deng Xiaoping viene citato cinque volte e Jiang Zemin e Hu Jintao soltanto una.

Continuità e unità

Come al solito l’immagine di sé che il partito proietta all’esterno è di continuità e unità: a tenere assieme leader ed esperienze così diverse (segnate da cesure talvolta traumatiche, come il balzo dal maoismo alle riforme di mercato) è l’adattamento del marxismo alla realtà cinese, intrapreso da Mao nel lontano 1938.

Da Deng in poi questa sistematica “sinizzazione” operata dagli ideologi del Pcc si è caratterizzata come il tentativo di giustificare ex post in termini teorici il divario tra l’utopia del socialismo e la realtà di una società sempre più moderna, “stratificata”.

I ricchi, la classe, media e i poveri che secondo Zhao Ziyang riflettevano le imperfezioni del cosiddetto “stadio primario” del socialismo – per raggiungere il quale, secondo il leader riformista, non sarebbero bastati cent’anni – oggi convivono nel «sogno cinese» di Xi Jinping, una visione interclassista che promette a tutti «una vita migliore» tassando un poco i più ricchi.

Il VI plenum ha esaltato questi costanti adattamenti come un «viaggio glorioso di cento anni» ma, nello stesso tempo, ha riconosciuto «che l’ambiente esterno nell’ultimo anno è diventato sempre più complesso e insidioso, sotto l’impatto combinato di cambiamenti mondiali di una portata mai vista in un secolo e della pandemia di coronavirus».

E ha avvertito un occidente diventato ostile che «ci opponiamo fermamente alle attività separatiste che mirano alla “indipendenza di Taiwan”» e alle «interferenze straniere».

Obiettivo 2049

Così, per raggiungere l’obiettivo della «grande rinascita della nazione cinese», da centrare nel 2049 (a cento anni dalla proclamazione della Repubblica popolare cinese) nell’avvento di un «paese socialista moderno a tutti gli effetti», il partito scommette su un ulteriore rafforzamento della leadership con Xi come suo “nucleo”, “centro” (héxīn), e su una sua maggiore penetrazione nella società.

I tempi in cui ad accademici e intellettuali era consentito criticare il Pcc, e i giovani erano incoraggiati soprattutto a fare soldi, sembrano appartenere a un’altra era geologica. Il plenum ha riconosciuto tra i principali contributi di Xi quello di un «cambiamento fondamentale nel campo dell’ideologia, un notevole aumento della fiducia nella nostra cultura tra tutti i membri del partito e tutto il popolo cinese e un importante aumento della coesione in tutta la società».

Può sembrare solo propaganda, ma la forza della Cina è anche questo rinnovato orgoglio nazionale: tacciarla di hybris sarebbe ingannevole.

Xi è «il principale fondatore del pensiero sul socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era. Questo è il marxismo della Cina contemporanea e del XXI secolo. Incarna il meglio della cultura e dell’ethos cinesi dei nostri tempi e rappresenta una nuova svolta nell’adattare il marxismo al contesto cinese», ha decretato il plenum. Questo è il tagliando di cui Xi aveva bisogno per governare a vita.

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