Si è parlato molto in questi quattro giorni al World economic forum (Wef) di crescenti diseguaglianze con il rapporto di Oxfam, che ha sottolineato come i miliardari e i poveri siano aumentati alla due estremità della piramide sociale, mentre l’associazione dei “Patriotic millionaires” ha preso carta e penna e ha scritto una inusuale lettera aperta ai governi, presentata in concomitanza con le riunioni virtuali del Wef, per chiedere di essere tassati di più.

«Molti di noi possono dire di aver visto la loro ricchezza aumentare durante la pandemia. Pochi di noi, forse nessuno, può dire di aver pagato il giusto di tasse», hanno scritto i paperoni.

La questione cruciale delle diseguaglianze ha così fatto irruzione (e non è certo la prima volta) al Wef fondato da Klaus Schwab, un club di super ricchi e multinazionali che rappresenta la parte più sensibile del capitalismo internazionale alle istanze sociali attento agli interessi degli stakeholder e non solo a distribuire ricchi dividendi agli azionisti secondo la vulgata dei Chigago Boys di Milton Friedman, Nobel per l’economia nel 1976.  

Quale globalizzazione?

L’altro elemento discusso in questa edizione virtuale è stata la globalizzazione, messa in discussione dalle difficoltà di approvvigionamento nelle catene internazionali sottoposte a stress dalla pandemia, da minacce di ritorni al protezionismo e dalle crescenti pressioni di tornare a un mondo pre multilateralismo.

In questo contesto non stupisce, come scrive il Wall Street Journal, che la Intel prevede di investire venti miliardi di dollari in nuove capacità di produzione di chip in Ohio, rafforzando le ambizioni di produzione di semiconduttori poiché una maggiore domanda di prodotti digitali e una carenza globale di chip hanno amplificato la necessità di una maggiore produzione.

Anche la presidente della commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha annunciato al forum di Davos il Chip Act a febbraio, un provvedimento con cui il vecchio continente vuole garantirsi la produzione di chip in uno stato membro.

In questo quadro la Cina di Xi Jinping e l’India del premier Modi sono stati i due più accaniti difensori della globalizzazione, del libero mercato mentre si stagliano ombre di esplosione della bolla immobiliare in Cina, un mercato per dimensioni doppio di quello americano.

Le politiche monetarie

I partecipanti al Wef hanno messo in evidenza le divergenze di politica monetaria dove la Fed sta pensando ad alzare i tassi almeno per tre volte quest’anno per frenare l’inflazione e la Bce, al contrario, mantiene fermi i tassi e le politiche di acquisti dei bond per non rischiare di frenare la ripresa.

La Cina, invece, riduce i tassi sui mutui immobiliari per cercare di sostenere il settore. Insomma non c’è coordinamento monetario globale. Non a caso la direttrice del Fmi, Kristalina Georgieva, al Wef ha parlato di «economia globale costretta quest’anno a una corsa a ostacoli» appesantita da un mix composto da tensioni geopolitiche, la pandemia, l’inflazione, l’aumento dei tassi statunitensi e il rallentamento dell’economia cinese.

A tirare le file della quattro giorni davosiana è stata il segretario al Tesoro, Janet Yellen, già governatrice della Fed ed esponente di punta della amministrazione Biden. Yellen ha affermato che l’amministrazione Biden stava cercando strategie per allentare le pressioni inflazionistiche e ha rinominato la sua agenda economica come «economia moderna dal lato dell’offerta» (a modern supply side economics) per aumentare l’offerta di lavoro, le infrastrutture, l'istruzione e la ricerca.

Milton Friedman

In una sessione virtuale del Wef, Yellen ha affermato di vedere la nuova strategia superiore alla definizione tradizionale di economia dal lato dell’offerta, che proponeva tagli fiscali come priorità e deregolamentazione aggressiva. «Il nostro nuovo approccio è molto più promettente della vecchia economia dell’offerta, che ritengo sia stata una strategia fallimentare per aumentare la crescita», ha affermato Yellen.

Yellen ha messo in soffitta Milton Friedman. La crescita potenziale di un paese è garantita dalla dimensione della sua forza lavoro, dalla produttività e dalla stabilità del suo sistema politico, ha spiegato il segretario al Tesoro. 

Per questo la crescita potenziale deve essere garantita da manovre pubbliche di sostegno che favoriscono la maggior partecipazione al lavoro (aiuti alle famiglie, servizi sociali, due anni di istruzione superiore gratuita supplementare) mentre la produttività, oggi al 2,7 per cento, va incrementata con ricerca, addestramenti tecnologici per migliorare la professionalità e la qualificazione della forza lavoro.

Ovviamente le infrastrutture vanno potenziate, ma il vero nucleo della nuova politica è la tassazione con la minimum tax globale. Negli ultimi decenni la tassazione è passata dalle società a colpire la classe media. Gli stati hanno praticato un dumping fiscale per attrarre le multinazionali, ma alla fine si è creato una situazione dove nessuno vince e a perdere è la classe media.

«Per questo l’amministrazione Biden (in calo nei sondaggi, ndr) sostiene la minimum tax globale sui dividendi esteri delle società», così da avere introiti fiscali per le politiche sociali contro le diseguaglianze e ridurre la propensione delle imprese a usare l’aspetto fiscale per aumentare i dividendi rispetto alle capacità di innovare nell’economia produttiva.  

Ce la farà Yellen? Molto dipende da Nancy Pelosy, la speaker democratica della Camera, e dalla sua capacità di far approvare la nuova manovra economica (il Build Back Better Bill) al Congresso.  

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