Domani all’ora di cena, l’ora in cui Vladimir Putin lunedì ha lanciato l’offensiva all’Ucraina, i capi di stato e di governo europei si incontreranno a Bruxelles per un vertice straordinario. Straordinaria è l’impresa di metterli d’accordo sulle ulteriori contromisure verso Mosca. Il primo pacchetto di sanzioni, entrato in vigore ieri, è non a caso blando. E l’azione più incisiva, cioè lo stop a Nord Stream 2, è solo «temporaneo». Lo ha chiarito ieri anche la Commissione europea. Un secondo intervento è pronto.

Ma se bisogna concordare passi più forti, l’unità di intenti tra i 27 stati Ue è più complessa da trovare. Ecco perché il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, riunisce tutti, compreso Mario Draghi: per trovare una direzione politica. In quale direzione voglia andare l’Italia, lo chiariscono sia le parole del ministro degli Esteri, sia il basso profilo del premier.

Il discorso di Di Maio

Una settimana fa Luigi Di Maio era a Mosca, con il suo omologo russo Sergej Lavrov, per tentare di dialogare coi russi e convenire su un incontro tra Draghi e Putin. «Nonostante gli sforzi occidentali, al termine della tregua olimpica Putin ha deciso di violare l’integrità territoriale dell’Ucraina», ha detto oggi il ministro, durante l’informativa in parlamento. «I margini per una soluzione diplomatica si riducono sempre più». Come intenda muoversi l’Italia, in questo «margine stretto», appare chiaro combinando dichiarazioni e fatti.

A parole Roma esibisce l’allineamento alla posizione concordata da Ue e Usa. Condanna quindi le mosse di Putin, ribadisce la «politica delle porte aperte» della Nato, si allinea sulle prime sanzioni perché «hanno un valore deterrente, servono a evitare costi ancor più alti, ci sono valori non negoziabili». Il governo si accoda ai partner anche sugli incontri al vertice: martedì il ministro degli Esteri francese e il segretario di Stato Usa hanno disdetto i bilaterali con Mosca, oggi anche Draghi ha congelato il faccia a faccia con Putin rimasto sul tavolo (pur senza data) fino al giorno prima. Posizione che vale a Di Maio un commento piccato del ministero degli Esteri russo: «Strana idea di diplomazia», quella di annullare vertici in piena crisi. «Diplomazia non è mangiare piatti esotici ai ricevimenti».

Sanzioni ed energia

Nei fatti, l’Italia è consapevole del suo ruolo specifico, che Di Maio in parte rivendica: quello di paese «del dialogo» con Mosca. Congelare gli incontri al vertice non significa sospendere la cooperazione. Il Consiglio italo-russo per la cooperazione economica, industriale e finanziaria, ad esempio, così come il Comitato imprenditoriale italo-russo, sono andati avanti – con Di Maio presente – pure quando gli Usa già allertavano sulle intenzioni di Putin. Il ministro in aula dice che «siamo consapevoli delle pesanti perdite subìte dagli imprenditori con le sanzioni del 2014», e sostiene «sanzioni proporzionate e graduali». C’è pure un non detto: per la Farnesina la linea sanzionatoria è piuttosto indigesta oltre che poco efficace. Si considera che il primo pacchetto abbia un impatto pressoché nullo per noi. Ma domani in Consiglio europeo si pensa ai passi successivi, e bisogna tenere insieme gli oltranzisti delle contromisure – come Polonia e paesi baltici – ai più reticenti, come Austria e Ungheria. Serve l’unanimità.

Il ruolo di Draghi

«Prevaricazione e soprusi non vanno tollerati», ha dichiarato oggi Draghi. Ma venerdì ha detto esplicitamente che le sanzioni non dovrebbero toccare il settore energetico. Da prima di Natale lo aveva fatto capire: «Se vogliamo sanzioni che contemplino il gas, siamo capaci e forti abbastanza? Il momento è giusto? Chiaramente no». Vista la sua dipendenza dal gas, e da quello russo in particolare, Roma sul tema è vulnerabile. Un’ipotesi avanzata oggi dal governo è quella di insistere sulla «unione dell’energia», cioè contratti di fornitura comuni, come fatto coi vaccini: il dibattito sulle sanzioni può riportare in auge il tema.

La posizione del premier sulle sanzioni, che segue le polemiche sull’incontro tra Putin e gli imprenditori italiani, è valsa a Draghi le perplessità di Washington, o almeno del Wall Street Journal, che lo accusa di «non voler accostare la propria eredità politica a una crisi energetica» avallando così l’imperialismo russo. Draghi ha minimizzato lo scontro con Mosca a dicembre, e ha mantenuto un basso profilo a gennaio, il mese dell’elezione del presidente della Repubblica. A febbraio, mentre Emmanuel Macron e Olaf Scholz incontravano Putin, non ci ha messo la faccia. Le ragioni sono almeno tre. La prima, formale, è che Francia e Germania sono nel formato Normandia; anche se Di Maio a Mosca è andato. La seconda, tattica, è che – come hanno dimostrato prima Nicolas Sarkozy e poi Macron – affrontare Putin espone a rischi e umiliazioni; e magari Draghi non è disposto a scommettere la sua reputazione in questa partita ad alto rischio. La terza, politica, è che l’Italia – e il premier di conseguenza – vuol mantenere buoni rapporti con Mosca.

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