Una norma del ddl Sicurezza spazza via ogni ostacolo alla conoscibilità di dati, informazioni e notizie se richiesti dai Servizi, quindi sostanzialmente da Palazzo Chigi, usando il passepartout della “sicurezza nazionale”. Un rischio per le fonti dei giornalisti.
Sta passando quasi sotto silenzio una norma che spazza via ogni ostacolo alla conoscibilità di dati, informazioni e notizie se richiesti dai Servizi, quindi sostanzialmente da Palazzo Chigi. Usando il passepartout della “sicurezza nazionale”, essi potrebbero entrare in una serie di amministrazioni ed enti, superando paletti posti dalla legge a tutela di qualunque forma di riservatezza.
La norma del ddl
La legge 124 del 2007 (art. 13), che disciplina i servizi di informazione, attualmente prevede che gli organismi del Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica, al fine di adempiere alle proprie funzioni istituzionali, possano chiedere collaborazione alle pubbliche amministrazioni e ad enti che erogano servizi di pubblica utilità. A tale fine, possono stipulare convenzioni di collaborazione con tali soggetti, nonché con università ed enti di ricerca.
Il disegno di legge Sicurezza (art. 31) interviene su queste previsioni con alcune modifiche: da un lato, rende cogente la collaborazione – e anche l’assistenza – richiesta dagli organismi di sicurezza a pubbliche amministrazioni e soggetti equiparati; dall’altro lato, specifica che tale richiesta va finalizzata alla tutela della sicurezza nazionale; inoltre, dispone che le convenzioni di collaborazione possano prevedere anche la comunicazione di informazioni in deroga a vincoli di riservatezza previsti da discipline di settore, superando così ogni forma di segreto, professionale e non.
Le conseguenze
In buona sostanza, pubbliche amministrazioni ed enti indicati nella norma non potranno effettuare alcun bilanciamento tra gli interessi coinvolti nell’attività che essi svolgono e quelli perseguiti dai Servizi. L’espressa previsione della deroga a normative a garanzia della riservatezza e il richiamo alla tutela della sicurezza nazionale, che gode di protezione prioritaria, sta a significare che il bilanciamento è fatto a monte dal legislatore, con un’assoluta preminenza della sicurezza su ogni altro diritto o interesse. Per cui è preclusa alle amministrazioni la possibilità di esonerarsi discrezionalmente dall’assolvere a quanto richiesto da organismi del Sistema di informazione.
Le norme in tema di riservatezza menzionate dal ddl, come ha rilevato il Garante per la privacy in audizione, non sono quelle generali sulla protezione dei dati personali, rispetto alle quali già opera la regolazione derogatoria prevista dal Codice della privacy a garanzia della “sicurezza nazionale”. Il riferimento del ddl va inteso, invece, come possibilità di derogare a qualunque norma di settore che imporrebbe segretezza alle amministrazioni e agli altri soggetti indicati.
Una delle specifiche discipline che potrebbero essere travolte dalla richiesta dei Servizi riguarda la tutela delle fonti di giornalisti che lavorino presso aziende rientranti nell’ambito della nuova disposizione. E siccome tale tutela, assicurata dalla legge (l. n. 69/1963), costituisce il fondamento della libertà di stampa, garantita costituzionalmente, è agevole comprendere gli impatti che potranno derivarne.
Le fonti dei giornalisti
Anche oggi può essere richiesto al giornalista di rivelare l’identità delle sue fonti, ma solo nel caso in cui ciò sia assolutamente necessario per le indagini in corso. In particolare, devono ricorrere due condizioni: l’indispensabilità della rivelazione della fonte informativa ai fini della prova del reato e l’impossibilità di accertare altrimenti la notizia in possesso del giornalista (art. 200 del codice di procedura penale). In sintesi, il giudice deve bilanciare l’esigenza di accertare fatti e responsabilità con la necessità di preservare il diritto del giornalista a proteggere le sue fonti.
Se verrà approvata la norma del ddl Sicurezza, invece, in nome della sicurezza nazionale potrà essere superata qualunque garanzia delle fonti senza alcun preventivo controllo dell’autorità giudiziaria. Ciò è contrario a quanto previsto dal regolamento “European Media Freedom Act”, pienamente operativo a partire dall’agosto 2025, che prevede l’intervento del giudice e il diritto del giornalista di fare ricorso. Inoltre, come ha scritto l’Usigrai, organizzazione sindacale dei giornalisti Rai, il regolamento Ue vieta anche di ricorrere a «metodi coercitivi per fare pressioni su giornalisti e responsabili editoriali e costringerli a rivelare le loro fonti».
In conclusione, per acquisire dati e notizie riservati non sarà necessario ricorrere a spyware: basterà chiedere, e non potranno essere rifiutati. Uno scenario da incubo, che potrebbe diventare realtà.
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