L’Italia ha sempre avuto un ruolo secondario in Afghanistan e oggi, dopo la vittoria dei Talebani, il dibattito nel nostro paese rimane provinciale e focalizzato sulle piccole polemiche interne.

Partiti e singoli esponenti politici hanno usato il loro posizionamento sulla vicenda afgana per ottenere qualche minuto di visibilità, oppure per colpire i loro avversari.

Il governo, nel frattempo, è intervenuto tardi ed è stato attento a non sfiorare le questioni più delicate aperte dalla fine del conflitto.

Le parole di Draghi

Tra i leader dei grandi paesi europei, il presidente del Consiglio Mario Draghi è stato uno degli ultimi a parlare di quello che è accaduto in Afghanistan. La cancelliera tedesca Angela Merkel ha tenuto immediatamente una conferenza stampa e il presidente francese Emmanuel Macron ha registrato un messaggio alla nazione.

Draghi ha invece preferito concedere una breve intervista al Tg1. La linea che ha espresso ruotava intorno a due punti: sottolineare che il sacrificio dei 54 italiani morti in Afghanistan non è stato vano e ricordare che l’Italia si sta adoperando per evacuare italiani e persone a rischio sotto il nuovo regime.

L’evacuazione, hanno riconosciuto anche diverse fonti internazionali, è effettivamente andata piuttosto bene, soprattutto se messa a confronto con quella caotica di altri paesi. Draghi però ha accuratamente evitato di toccare gli altri punti delicati della questione: quale sarà la linea italiana ed europea nei confronti del nuovo regime e cosa intende fare l’Italia con i potenziali profughi in fuga dall’Afghanistan.

Dialogo oppure no?

Le prudenti parole di Draghi non hanno suscitato grandi commenti né in un senso né nell’altro. A dominare il dibattito questa settimana è stato invece il nuovo capo del Movimento 5 Stelle ed ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte.

In una conferenza stampa, Conte ha parlato della necessità di trattare con i talebani per assicurarsi di non perdere i progressi in termini di salute, educazione ed equità, fatti dall’Afghanistan negli ultimi anni.

«L’unica possibilità che abbiamo per non distruggere il lavoro di 20 anni è mantenere un dialogo serrato costante con il nuovo emirato islamico – ha detto Conte – L’unico modo per farlo è stare addosso ai talebani, condizionare tutti gli aiuti di cui hanno bisogno a questi obiettivi: il rispetto dei diritti civili e umani fondamentali».

Si tratta di parole del tutto simili a quelle usate, ad esempio, dall’Alto rappresentate per la politica estera dell’Unione Europea Josep Borrell, che il giorno prima di Conte aveva ricordato l’importanza di dialogare con il nuovo regime.

Tutti contro Conte

Le parole di Conte hanno suscitato una reazione durissima da parte di quasi tutte le forze politiche, compresi i suoi alleati del Pd. «L'Italia non dialoga con i terroristi né con chi compie crimini contro l'umanità», ha detto la responsabile esteri del partito Lia Quartapelle, mentre il segretario Enrico Letta ha detto che instaurare un dialogo gli sembra «molto difficile».

Critiche ancora più dure sono arrivate da Italia Viva, da Lega e Fratelli d’Italia, oltre che da parte di numerosi commentatori su tutti i principali quotidiani.

Persino Luigi Di Maio è sembrato prendere le distanze da Conte. Durante il G7 dei ministri degli Esteri convocato per discutere dell’emergenza ha detto ai giornalisti: Di Maio: «È importante agire in maniera coordinata nei confronti dei talebani. Dobbiamo giudicarli dalle loro azioni, non dalle loro parole».

La questione rifugiati

L’altra questione afgana su cui i partiti cercano essenzialmente di portare acqua al loro mulino è quella dei rifugiati provenienti dall’Afghanistan. Nessuno sa al momento quanti saranno, ma secondo diversi esperti è probabile che non ci saranno flussi paragonabili a quelli provenienti dalla Siria nel 2015.

In ogni caso, il Pd ha già lanciato un’iniziativa per «sostenere chi resta in Afghanistan» e «aiutare chi chiede accoglienza». In concreto, il partito raccoglierà fondi per le associazioni e le ong che proseguiranno a lavorare in Afghanistan, mentre sindaci e sezioni locali del partito si adopereranno per individuare luoghi e spazi destinati all’accoglienza.

Anche la destra ha già preso posizione sul tema. Il leader della Lega Matteo Salvini è stato piuttosto silenzioso sulla crisi, ma questa settimana ha ribadito: «Corridoi umanitari per donne e bambini in pericolo certamente sì. Porte aperte per migliaia di uomini, fra cui potenziali terroristi, assolutamente no».

La stessa posizione espressa anche da Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia.

 

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