Giovedì 25 novembre il gruppo del Partito democratico alla Camera ha organizzato un incontro per ridare slancio a una proposta di legge sulla prevenzione della radicalizzazione e dell’estremismo violento.

Nella scorsa legislatura era passata alla Camera una proposta simile, di iniziativa di Andrea Manciulli (Pd) e Stefano Dambruoso (Scelta civica), mancava soltanto l’ultimo passaggio in aula al Senato, ma le dinamiche parlamentari hanno impedito la sua approvazione.

Il testo raccoglieva le migliori pratiche europee di prevenzione e Dambruoso forniva l’esperienza da magistrato antiterrorismo negli anni di al Qaida a Milano. Quella proposta era anche figlia del rapporto elaborato da una commissione, nominata dal governo Renzi su iniziativa dell’allora ministro dell’Interno Marco Minniti, presieduta dal direttore del programma sull’estremismo della George Washington University, Lorenzo Vidino.

I risultati della commissione, presentati al governo Gentiloni e secretati, segnalavano che il rischio di radicalizzazione in Italia sarebbe stato simile a quello vissuto da Francia e Inghilterra, ma con un ritardo di 5-10 anni, dovuto alle premature seconde e terze generazioni rispetto a quei paesi.

La legislazione antiterrorismo

L’Italia è all’avanguardia nella legislazione antiterrorismo, grazie alle norme introdotte nel 2015 e all’esperienza di forze di polizia e servizi, ma manca totalmente una strategia nazionale di prevenzione della radicalizzazione.

Il nuovo tipo di terrorismo e di estremismo violento vede spesso protagonisti singoli individui, in quello che Gilles Kepel ha definito «terrorismo di atmosfera», con attacchi ispirati dalla propaganda senza una struttura alle spalle, ma anche da persone alienate e disturbate, casi borderline difficili da inserire in categorie precise.

Per questo la prevenzione a 360 gradi diventa fondamentale, con un intervento a monte fatto da operatori sociali, scuole, famiglie, referenti religiosi e comunità locali. I principali luoghi di radicalizzazione, per quanto riguarda il terrorismo jihadista, non sono le moschee bensì il web, il contesto familiare, le carceri.

Michel Gouverneur Reporters / Gouve LaPresse

Sarebbe impossibile contrastare una minaccia così labile affidandosi solo alla repressione e al codice penale, non si può seguire ogni singolo radicalizzato 24 ore al giorno. Quindi diventa prioritario garantire un controllo sociale di quei segnali d’allarme per usare misure di correzione che non siano quelle penali. Come dimostrano vari studi, la detenzione può anzi aumentare la radicalizzazione e costruire terroristi.

La nuova proposta, a prima firma di Emanuele Fiano, è in esame in commissione Affari costituzionali e poi andrà in aula per la discussione. A novembre anche il deputato di Forza Italia Matteo Perego di Cremnago ha presentato un’analoga proposta di legge in commissione, che però intendeva affrontare il contrasto di ogni forma di estremismo violento, e il presidente della commissione ha suggerito un abbinamento delle due.

Inizialmente Fiano si era detto contrario a unire le proposte perché il fenomeno della radicalizzazione jihadista ha caratteristiche peculiari non assimilabili ad altre forme di estremismo. Il deputato forzista ha infatti citato il contrasto all’estremismo anarco-insurrezionalista, che però si sviluppa con altre dinamiche e ha una base diversa per età ed estrazione sociale.

Si è arrivati a un compromesso, che prevede di utilizzare il testo base di Fiano e integrarlo con emendamenti della proposta Perego, che includano ogni matrice ideologica, quindi sia di destra che di sinistra. Si tratta di un terreno delicato e scivoloso, perché non vi sono confini netti e precisi sulla libertà di opinione ed l’espressione di idee radicali violente. È un argomento che la Radicalization Awareness Network dell’Unione europea ha a lungo dibattito, mentre in Italia si è espressa su singoli casi la Corte di cassazione, ma non è possibile lasciare la risposta alla giurisprudenza.

Premesse diverse

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Si tratta di un problema reale, perché le due forme di estremismo hanno premesse diverse, sarebbe complicato stabilire indicatori di radicalizzazione neutri e comuni ai due fenomeni, che richiedono anche tipi di intervento e attori differenti.

È anche vero che il rischio di terrorismo suprematista di estrema destra, come di altre matrici, è in ascesa in tutta Europa. Vale la pena ricordare che gli unici due recenti attentati con vittime in Italia sono stati compiuti da estremisti di destra: nel 2011 Gianluca Casseri ha sparato e ha ucciso due senegalesi a Firenze, nel 2018 Luca Traini ha sparato a sei africani a Macerata.

A conferma di questa tendenza, anche in Inghilterra il programma Prevent ha evidenziato che nell’ultimo anno le segnalazioni per radicalizzazione di estrema destra sono state 1.229, contro le 1.064 per radicalizzazione islamista. Anche in quel paese non sono mancati gli attentati xenofobi o suprematisti.

L’innesto della proposta forzista potrebbe complicare l’iter legislativo, ma se sfruttato adeguatamente potrebbe offrire anche uno strumento contro il suprematismo e il neofascismo, minaccia concreta come dimostrano gli arresti della cellula neonazista di Andrea Cavalleri a Savona e di altri giovani in Emilia-Romagna.

Se negli anni di piombo l’estremismo di destra colpiva con stragi indiscriminate e bombe, oggi utilizza strumenti meno sofisticati: dalle auto lanciate contro i fedeli all’uscita della moschea di Finsbury Park all’incendio di luoghi di culto islamici, per finire con l’uso di armi da fuoco, talvolta acquistate illegalmente. Sono rari i casi di attacchi ben organizzati come quello di Anders Breivik in Norvegia.

Il Crad

Enrico Borghi, responsabile Sicurezza della segreteria Pd di Letta, ha ribadito l’importanza dell’iniziativa e ha fatto appello insieme a Fiano affinché i partiti di destra come Lega e Fratelli d’Italia non strumentalizzino il tema delicato dell’islam a fini di propaganda.

È stato ribadito l’interessamento dei gruppi parlamentari di Camera e Senato, oltre che del presidente Fico, per garantire un iter snello alla proposta che uscirà dalla commissione. Il testo in discussione prevede la creazione di un Centro nazionale sulla radicalizzazione (Crad) presso il Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del ministero dell’Interno.

Del Crad farebbero parte rappresentanti ministeriali e dei servizi di intelligence, ma anche esponenti della società civile nei settori chiave. A cascata, verrebbero creati dei centri di coordinamento regionali presieduti dai prefetti e dagli operatori sociali. È prevista anche l’istituzione di un Comitato parlamentare per il monitoraggio dei fenomeni della radicalizzazione e dell’estremismo violento di matrice jihadista, con il compito di vigilare sulle attività della strategia. La proposta di Perego è quella di nominare anche l’eversione anarco-insurrezionalista e di estrema destra.

Gli interventi del piano strategico si concentrano in ambito scolastico, nella comunicazione anche online, nella formazione di personale universitario specializzato e nel recupero dei detenuti.

È vero che i programmi di prevenzione della radicalizzazione talvolta hanno fallito. I casi più clamorosi e drammatici sono quello dell’ex detenuto radicale Usman Khan, che nel 2019 ha partecipato a una conferenza sulla riabilitazione carceraria e ha ucciso a coltellate due persone, e quello dell’austriaco-macedone Kujtim Fejzulai che ha seminato il terrore a Vienna nel 2020: aveva ingannato gli operatori del programma di de-radicalizzazione fingendosi cambiato. Alcuni report recenti affermano che detenuti jihadisti nel Regno Unito seguano corsi di psicologia per mentire ai funzionari che devono stabilire la loro de-radicalizzazione. Questi fallimenti, tuttavia, non giustificano l’assenza di una strategia italiana di prevenzione, che potrebbe portare i suoi frutti in tempo per quella finestra di 5-10 anni stabilita dalla commissione Vidino.

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