Come ogni minimarket di Istanbul, anche quello in cui Osman fa la spesa ha un vasto assortimento di frutta e verdura distribuita su espositori di legno che incorniciano l’entrata del negozio, protetti dal sole da una tenda dai colori ormai sbiaditi. I prezzi dei prodotti non sono riportati, ma Osman sa già che con i soldi che ha in tasca non riuscirà a comprare la stessa quantità di cibo acquistata un mese fa.

Padre di famiglia e impiegato in una pasticceria del centro, Osman ha visto il proprio potere d’acquisto scendere costantemente negli ultimi anni, mentre il valore del suo salario è rimasto quasi del tutto invariato. «Una volta pagato l’affitto e le bollette mi resta ben poco per fare la spesa», spiega in un inglese stentato mentre compra i suoi pomodori. «La frutta è diventata addirittura un lusso», aggiunge indicando con un cenno del capo i primi grappoli di uva bianca disposti vicino alla cassa.

Le politiche di Erdoğan

Osman non è l’unico a dover fare i conti con l’aumento dei prezzi, uno dei tanti effetti collaterali delle politiche monetarie imposte dal presidente Recep Tayyip Erdoğan. La linea scelta dal governo, basata sul taglio dei tassi di interesse, ha causato un forte deprezzamento della lira e un aumento dell’inflazione, che ad aprile è arrivata al 70 percento. Con ricadute negative sulla vita dei cittadini turchi, costretti a fare i conti con l’incremento dei prezzi dei beni di prima necessità, delle bollette e del costo degli affitti.

Ma l’aumento dell’inflazione non è l’unica conseguenze delle politiche economiche del governo. «La decisione di inondare il mercato di crediti a basso tasso di interesse e il tentativo fallimentare di controllare l’andamento dei prezzi del libero mercato hanno anche incentivato la delocalizzazione, con un conseguente aumento dei costi», spiega l’economista turco Atilla Yesilada.

Lo scoppio della guerra in Ucraina non ha fatto che peggiorare la situazione economica del paese. Lo stop alle esportazioni di grano ucraino ha inferto un duro colpo alla Turchia, che all’improvviso si è trovata senza un importante fornitore di materie prime e costretta a rivolgersi ad altri mercati in un momento di particolare debolezza della propria valuta. Il conflitto ha anche comportato un ulteriore aumento del costo dell’energia nonostante la decisione del governo turco di non imporre sanzioni contro la Russia, da cui Ankara importa un terzo del suo fabbisogno di gas. Secondo i calcoli dell’azienda statale Botas, ad aprile le bollette sono aumentate del 50 percento per le imprese e del 35 percento per le famiglie, dopo un incremento registrato già prima dello scoppio del conflitto.

Narrazione controllata

Nonostante l’evidenza della crisi economica e dei suoi effetti negativi sulla popolazione, raccontare quanto accade nel paese non è così semplice. Il governo cerca in tutti i modi di controllare la narrazione della crisi arrivando anche a falsare i dati ufficiali, come denunciato da diversi esperti. «Concordo con chi mette in dubbio l’affidabilità dell’Istituto di statistica turco (Turkstat) sull’inflazione, così come sui dati relativi alla disoccupazione», conferma Yesilada. «Anche i cittadini ormai hanno capito che le informazioni non sono corrette. Secondo un sondaggio del Metropoll May, il 72 percento degli intervistati ritiene che Turkstat non sia affidabile».

Intanto però il governo continua a dichiarare che ad aprile l’inflazione ha raggiunto solo il 70 percento, nonostante istituti di ricerca indipendenti parlino di un aumento reale pari al 130 percento. Quasi il doppio dei dati ufficiali. «Quando si discute della crisi economica, i nostri ministri si giustificano dicendo che l’inflazione sta aumentando ovunque nel mondo, che la Turchia non è l’unico paese in difficoltà», racconta Çiçek, studentessa di giurisprudenza. «Però c’è una bella differenza tra un aumento dell’inflazione del 7 e uno del 70 percento».

Ma in un paese in cui il controllo governativo sui media e sulla magistratura è sempre più forte, riportare correttamente i dati sulla crisi economica e gli effetti sulla popolazione può avere conseguenze sul piano legale. «I giornalisti non possono nemmeno raccontare quello che accade realmente, altrimenti rischiano di essere accusati di colpo di stato economico», spiega Mümtaz Murat Kök del Media and Law Studies Association, un’organizzazione che dal 2017 monitora i processi contro la stampa. Tra i casi seguiti dal gruppo rientra anche quello di Ergun Demir, finito sotto processo per aver riportato la storia di un uomo suicidatosi perché non più in grado di sostenere economicamente la propria famiglia. Dal 2002 al 2019 più di 5 mila persone si sono tolte la vita a causa delle difficoltà economiche, mentre nei primi dieci mesi del 2021 i suicidi per ragioni economiche sono stati 70, secondo quanto denunciato dal partito di opposizione filo-curdo Hdp. Ma il governo fa di tutto per tenere questo tipo di notizie lontano dai riflettori.

D’altronde anche solo riportare correttamente i dati sulla svalutazione della lira può essere considerato reato. Nel 2018 sei giornalisti sono stati accusati di «diffondere informazioni che hanno causato sfiducia e creato il caos» per aver scritto che in quel momento il cambio dollaro-lira era di uno a sette. Il loro caso non si è ancora concluso, mentre il divario tra le due valute è più che raddoppiato.  

La crisi degli affitti

A pagare le conseguenze della crisi economica è anche uno dei settori chiave dell’economia turca, quello delle costruzioni. «Le aziende edili sono in sofferenza e non sono in grado di portare a termine i progetti già avviati, con conseguenze negative anche sul fronte degli affitti», spiega Bahar del Center for Spatial Justice. A febbraio, il prezzo delle case è aumentato del 96 percento rispetto all’anno precedente, mentre Istanbul ha battuto ogni record con un incremento del 106 percento. «Gli affittuari sono diventati un nuovo gruppo vulnerabile», prosegue Bahar. «Alcuni non possono più permettersi di pagare l’affitto e finiscono con il vivere in case piccole e insalubri».

Il governo però è più interessato ai problemi dei costruttori e delle agenzie immobiliari che a quelli dei cittadini. «La risposta delle autorità è: se non riuscite a pagare l’affitto, comprate una casa. Erdogan ha anche promesso che stanzierà dei fondi specifici per agevolare i mutui, ma queste misure sono dirette solo a coloro che acquistano un immobile nuovo», specifica Bahar. «In questo modo non si favoriscono i cittadini in difficoltà, bensì le grandi imprese costruttrici». Aziende da cui dipende anche il successo politico del presidente, che ha già perso il sostegno di una parte del suo elettorato a causa della crisi economica.

Ma la mossa di Erdogan si è rivelata ben presto controproducente. Non appena annunciato il nuovo pacchetto di aiuti, il prezzo delle case è subito aumentato, riducendo ulteriormente le possibilità per i cittadini turchi di avere accesso a un’abitazione dignitosa. Un problema che l’Ong denuncia da anni. «Quello alla casa è un diritto di base, ma in Turchia questa consapevolezza ancora manca. La soluzione non è realizzare abitazioni poco costose, ma far sì che tutti possano permettersi una sistemazione adeguata».

Mentre parla, Hüseyincan, anche lui attivista del Center for Spatial Justice, fa scorrere sul computer le immagini di alcuni quartieri realizzati in Turchia negli ultimi anni. Isolati rispetto al resto della città, sviluppati in verticale e privi tanto di servizi base quanto di spazi di socializzazione come piazze o aree verdi. Dei mostri di cemento che rispecchiano la visione dell’abitare promossa dal governo e trasformata in realtà dall’agenzia governativa Toki, alle dipendenze del ministero dell’Urbanistica. «È difficile far capire alle persone che potrebbero avere di meglio. Il partito di Erdogan è abile nel presentare sempre tutto come l’opzione migliore», commenta Hüseyincan.

Il successo del presidente però inizia a incrinarsi. Le proteste contro il caro vita che si sono succedute negli ultimi mesi restano di piccola scala, ma continuano a crescere e con il tempo potrebbero trasformarsi in manifestazioni di carattere nazionale in vista delle elezioni del 2023. Intanto però i problemi restano e la situazione economica condiziona sempre di più la vita dei cittadini turchi. «Continuano a costruire palazzi su palazzi, come se questa fosse la soluzione», aggiunge Çiçek, mentre da lontano arrivano i rumori di uno dei tanti cantieri che costellano la città di Istanbul. «Di questo passo finiremo con il mangiare mattoni».

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