Le università hanno assistito al taglio di 170 milioni del fondo ordinario, e altri 350 milioni vengono meno dal fondo per stabilizzare i ricercatori precari. E pende una riforma peggiorativa
Oggi è la Giornata nazionale dell’università, ma per i ricercatori e i dottorandi italiani, minacciati da «tagli, guerra e precarietà», sarà un altro giorno di protesta contro lo stesso sistema universitario e le politiche ministeriali che lo governano.
Riporta così il Manifesto delle Assemblee precarie universitarie, redatto in seguito alla due-giorni dello scorso febbraio a Bologna, dove si sono riuniti sindacati, associazioni studentesche e collettivi di ricercatori per discutere della delicata situazione attuale. Da lì, è partita l’organizzazione della mobilitazione di oggi, che coinvolge i principali atenei, da Palermo a Trento, da Roma a Milano, e ancora Genova, Pisa, Torino, Bologna, Padova, Napoli, e sarà declinata in una serie di iniziative diverse. I fini sono comuni: denunciare lo stato di crisi della ricerca accademica e chiedere misure risolutive.
Ricerca pubblica è a rischio
In Italia il sistema della ricerca pubblica non gode di buona salute: mancano tutele e garanzie contrattuali, salari adeguati, tra i più bassi d’Europa, e prospettive di stabilizzazione. Gli ambienti sono spesso competitivi e stressanti, dominati dalla regola non scritta del “publish or perish”. Su questo stato di cose, dallo scorso anno gravano nuovi sviluppi che già nei mesi scorsi avevano spinto i dottorandi, il personale di ricerca e le rappresentanze a intervenire.
Nel 2024 le università pubbliche hanno assistito a un taglio del Fondo di finanziamento ordinario, loro principale fonte di sostentamento, pari a 170milioni rispetto al 2023. Sempre lo scorso anno, sono venuti meno i fondi promessi dal Ministero dell’università e della ricerca per il Piano straordinario di reclutamento, circa 350milioni, in parte destinati a una stabilizzazione del personale di ricerca precario. I tagli non sono mai stati chiaramente motivati dal ministero e la ministra Anna Maria Bernini aveva tentato di arginare l’operazione menzionando le varie altre forme di finanziamento ricevute dalle università, tra cui quelle del Pnrr.
Tuttavia, «queste risorse, come quelle del Pnrr, hanno vincoli di spesa stringenti, non c’è stata una libertà degli atenei di determinare i propri indirizzi di ricerca» dice a Domani Davide Clementi, segretario dell’associazione italiana dei dottorandi e dottori di ricerca.
Se tale situazione proseguirà anche nel prossimo futuro, come è previsto, ne conseguiranno riduzioni del personale di ricerca e delle opportunità di carriera, un accentramento delle risorse economiche in pochi, e più competitivi, atenei statali, e una crescente privatizzazione dei progetti.
Finanziamenti da privati
Sempre più spesso, infatti, gli atenei si rivolgono a enti privati per ricevere i finanziamenti. Ma, considerati gli scenari contemporanei, la preoccupazione è che queste relazioni orientino la ricerca pubblica, che dovrebbe rimanere svincolata dalle logiche del profitto, verso risultati accademici che rispondano ai soli interessi di mercato. Nel Manifesto si denunciano in particolare le «esigenze connesse al riarmo», la «produzione bellica e progetti di ricerca legati alla difesa».
L’altro punto focale delle agitazioni è la proposta di riforma del pre-ruolo, introdotta con il Ddl 1240/2024 dalla ministra Bernini, che suggerisce di risolvere il problema del precariato di ricerca introducendo nuove figure di contratto precarie. Queste si aggiungerebbero a quelle già esistenti, con il risultato di appesantire una situazione già complessa.
Riforma sospesa
In questo momento la riforma è sospesa, a seguito dell’esposto che il sindacato Flc Cgil e l’Adi, ritenendola in contrasto degli impegni assunti dall’Italia nell’ambito del Pnrr, hanno da poco presentato alla Commissione Europea e l’obiettivo è il suo ritiro definitivo.
Nel frattempo, la ministra invoca l’intervento dei rettori affinché venga sbloccata. «Questa riforma è un attacco frontale al futuro dell’università italiana: l’apoteosi del lavoro nero legalizzato e sfruttato. Mentre si pensa a riarmare il paese, si sta condannando una generazione di precari della ricerca e della conoscenza al baratro», chiude Clementi.
Sulle questioni, finora il ministero non ha dimostrato disponibilità a dialogare. I ricercatori e i dottorandi coinvolti vedono in quella di oggi l’inizio di un’agitazione permanente da svolgersi questa primavera: chiedono un rifinanziamento consistente del Ffo e delle risorse pubbliche per la ricerca, insieme a politiche che consentano una stabilizzazione dei contratti e riducano il precariato che minaccia il loro futuro accademico.
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