Negli stessi istanti in cui con sorrisi e abito carico di paillettes Ursula von der Leyen si sottoponeva ai riflettori dal palco reale del teatro alla Scala, dal profilo twitter della presidente della Commissione Ue veniva diffuso il suo video con dure parole e l’annuncio di nuove sanzioni contro la Russia. Per comprendere von der Leyen bisogna seguire due piani paralleli, e questo vale anche per il suo viaggio a Milano. C’è il piano degli annunci, dove è esibita compattezza su Kiev e sull’energia. Se ne trova traccia sin dal suo intervento di saluto a Mario Monti alla Bocconi, poi nel pranzo con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, e infine nel valzer di incontri alla Scala. L’altro piano è quello della sostanza: mostra quanto sia ardua l’impresa di scostare la presidente di Commissione dal suo asse con Berlino. Vale per i prezzi del gas come per gli aiuti di stato.

Il perimetro di Ursula

Durante la campagna elettorale, Fratelli d’Italia ha presentato come ingerenze brussellesi le blande dichiarazioni di von der Leyen sullo stato di diritto, e le ha sfruttate come catalizzatori di consenso. Ma, non appena nominata premier, Meloni è corsa a Bruxelles in visita ufficiale e in cerca di approvazione: «Non siamo marziani».  Questo mercoledì la premier era anche lei in paillettes alla Scala fianco a fianco con von der Leyen, nel palco reale più che mai affollato di figure istituzionali e plotoni governativi. L’attuale presidente della Commissione Ue è stata eletta con i voti degli ultraconservatori polacchi, alleati di Meloni, e con il supporto di Fidesz, il partito di Viktor Orbán; quanto a Meloni stessa, la famiglia politica di provenienza di von der Leyen – cioè i popolari – con Meloni è in sintonia più che mai. Questi, per i vertici a Bruxelles, non sono più i tempi del cordone sanitario verso le destre estreme. Più che i pregiudizi antisovranisti, pesano oggi i pregiudizi protedeschi. A dispetto delle dichiarazioni concilianti rilasciate a Milano, von der Leyen ha operato un pesante ostruzionismo nei confronti di un incisivo tetto ai prezzi del gas, anche per adattarsi a Berlino. Dopo le strategie dilatorie, è arrivata una proposta-farsa, che i ministri in Consiglio Ue stanno ora provando a emendare ritoccando le soglie proposte da Bruxelles.

Aiuti a Berlino

Ma dopo i tradimenti sull’energia, il rischio è che ne arrivi un altro sugli aiuti di stato. Nei giorni in cui il governo Scholz annunciava il suo bazooka, la Commissione Ue pensava a come riformare la cornice sugli aiuti di stato; e Berlino spera in un quadro affine alle proprie, ingenti, disponibilità finanziarie. La querelle sull’Inflation Reduction Act di Joe Biden, e cioè il tema degli aiuti che favoriscono le imprese impiantate in Usa, accelera ora le richieste di alcuni stati membri e dà l’occasione a von der Leyen per dire che «bisogna favorire gli investimenti pubblici». La Francia spinge perché l’Ue aiuti le sue imprese; l’Italia non è sfavorevole agli aiuti di stato in sé, ma il punto è come. Chigi teme – come segnala il ministro agli Affari europei Raffaele Fitto - che «concedere aiuti di stato di maggiore intensità possa avere conseguenze indesiderabili sul buon funzionamento del mercato interno: se ne avvantaggerebbero le industrie degli stati membri con maggiore capacità finanziaria». Prima fra tutti, la Germania. Ecco perché Fitto precisa: la proposta di von der Leyen di intervenire sulla disciplina degli aiuti di stato «va verificata nel merito». Si rivelerà l’ennesimo assist a Berlino?

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