Vince sempre la macchina più forte: il trionfo di Norris nella Formula 1 che cambia

Ha vinto la macchina più forte, non il pilota migliore. L’eterno dilemma che affligge la Formula 1 - conta di più la monoposto o il pilota? - si è arricchito ad Abu Dhabi di una risposta chiara. Non vogliamo togliere niente a Lando Norris, che a 26 anni è diventato il trentacinquesimo campione del mondo della storia della Formula 1 e giustamente piange di felicità. L’inglese ha coronato il suo sogno di bambino, coltivato in anni di dedizione al limite dell’ossessione, e non si curerà certo del nostro parere. World champion and race third-placed McLaren's British driver Lando Norris reacts on the podium at the end of the Abu Dhabi Formula One Grand Prix at the Yas Marina Circuit in Abu Dhabi on December 7, 2025. (Photo by Giuseppe CACACE / AFP)AFP Però Max Verstappen, battuto di appena due punti dopo 24 gran premi e 6 Sprint race, esce da questo mondiale perso come fenomeno assoluto, altrettanto se non più forte di quando ha vinto i suoi quattro titoli consecutivi, protagonista di una rimonta ai confini della realtà: ad agosto, a Zandvoort, aveva ancora 104 punti di distacco dalla vetta, quello che ha fatto negli ultimi mesi è clamoroso, è arrivato a giocarsi il mondiale all’ultima gara. A dieci giri dalla fine, in testa alla gara, l’olandese ha parlato con i box: «Com’è la situazione dietro?». Voleva sapere se poteva ancora sperare in un sorpasso di Charles Leclerc, che avrebbe buttato giù Norris dal podio. Ma le McLaren erano due, lui era solo. Yuki Tsunoda ci ha pure provato a ostacolare Norris, ma la giuria ha penalizzato il secondo pilota della Red Bull stimando che sono stati i suoi cambi di direzione a far uscire il leader del mondiale dai confini della pista. Assolto Norris quando mancava metà gara, soltanto un evento improvviso e imprevisto come una safety car avrebbe potuto rovesciare la storia, che invece è scivolata dolcemente verso il suo epilogo naturale. Nella testa di un pilota: la palestra mentale dove si insegna la perfezione L’eterno dilemma della F1 «Se avessi avuto una McLaren il titolo sarebbe stato già chiuso da un pezzo», aveva detto il ruvido Verstappen alla vigilia, rafforzando - proprio lui - la tesi pro-macchina. Soltanto l’olandese, alla guida di una monoposto inferiore, poteva riaprire un campionato che le due McLaren hanno dominato e poi rimesso in gioco con qualche errore in pista, qualche decisione che ha fatto molto discutere e qualche problema tecnico non previsto, vedi la doppia squalifica a Las Vegas. Verstappen non è soltanto il miglior pilota di questa generazione, è l’unico che possiamo accostare ai grandi della storia di questo sport senza pericolo di risultare blasfemi. Certo, non è mai facile stabilire il confine: dove finisce l’abilità del pilota e dove comincia l’incidenza della monoposto? Anche scorporando i dati sarebbe impossibile raggiungere un verdetto oggettivo: perché non si può parlare della superiorità di una macchina senza considerare l’apporto di fuoriclasse come Ayrton Senna, Michael Schumacher, Lewis Hamilton o appunto Verstappen in fase di progettazione, di collaudo o di miglioramento delle prestazioni della monoposto. Dalla provincia al mondo intero. L’impronta di Andrea Stella sui successi della McLaren E sull’altro piatto della bilancia dobbiamo metterci il ragionamento contrario: è normale che i piloti più forti scelgano di legarsi alla scuderia che offre loro la macchina più veloce, così come è normale che le scuderie migliori vadano a mettere sotto contratto i piloti che sembrano in grado di ottenere il massimo dalle loro monoposto. Quindi anche quest’anno non ci aiuta a sciogliere l’eterno dubbio. Ha vinto tutto la McLaren: dopo aver messo in archivio il titolo costruttori con sei gran premi di anticipo, ha portato a casa il mondiale piloti che le mancava dal 2008, quando Hamilton vinse il primo della sua carriera. Ai box di Abu Dhabi piangeva anche Andrea Stella, 56 anni, l’ingegnere aerospaziale di Sferracavallo, frazione di Orvieto, che tre anni fa è diventato il team principal della scuderia inglese. Cresciuto a Maranello, e passato alla McLaren dieci anni fa al seguito di Fernando Alonso, Stella non ha mai rinnegato le Papaya Rules, «non ci sono un primo e un secondo pilota, l’interesse della squadra viene prima di tutto», anche quando tenere la linea è sembrato quasi un suicidio (o comunque un bell’assist per Verstappen e la Red Bull) e quando la McLaren è stata pesantemente criticata per aver permesso ai suoi piloti di gareggiare uno contro l’altro per tutta la stagione, invece di sceglierne uno solo. McLaren's Italian team principal Andrea Stella (L) and CEO Zak Brown react after their British driver Lando Norris finished the race third to win the world championship title at the end of the Abu Dhabi Formula One Grand Prix at the Yas Marina Circuit in Abu Dhabi on December 7, 2025. (Photo by Giuseppe CACACE / POOL / AFP)AFP Le pressioni su Norris È arrivato così il trionfo di Lando Norris, il ragazzo che voleva diventare Valentino Rossi e poi quando aveva 7 anni ha provato i kart ed è rimasto fulminato. Nato a Bristol e cresciuto a Glastonbury, figlio di un miliardario inglese (dote che aiuta assai in Formula 1) e di quella signora belga coi codini che dopo la gara baciava tutti ma proprio tutti ai box, Lando è cresciuto con i simulatori e il gaming per poi scegliere di allontanarsi dai social e imparare a parlare delle sue difficoltà e delle pressioni eccessive che lo sport agonistico mette sulle spalle degli atleti. Il nuovo campione del mondo sostiene da anni Mind, una charity inglese nata per la salvaguardia della salute mentale. «Mi abbatto un po' troppo presto», ha confessato a The Athletic prima del Gran Premio di Las Vegas. «Ma questo mi spinge anche a impegnarmi, perché ho fissato l'asticella molto in alto». Questa ricerca della perfezione ha preparato Norris al successo. Ad Abu Dhabi è partito avendo il controllo del suo destino. «Sono uno che pensa troppo. Le difficoltà più dure all'inizio della stagione non riguardavano solo la macchina, ma anche alcune sfide mentali che ho dovuto affrontare con me stesso. Sento di essere migliorato con il tempo». Lavorare sulla forza mentale era più importante per lui di qualsiasi miglioramento in pista. «Guidare una macchina velocemente è la parte in cui sono bravo. È il resto che a volte può avere un impatto maggiore su di me e non permettermi di guidare al massimo. Ma voglio provare a diventare il miglior pilota di sempre». L’eccezione Leonardo Fornaroli: il campione italiano di Formula 2 giunto tra i grandi senza un’Academy Nel 2026 cambia tutto Ora si va in vacanza, ma per poco: già a fine gennaio 2026 sono in programma i primi test a Barcellona. E ci sarà una vera e propria rivoluzione nei regolamenti, l’intento è quello di rendere le gare più competitive e sostenibili. Le monoposto saranno più piccole, più agili, più reattive nei cambiamenti di traiettoria: questo per garantire più spettacolo. Dobbiamo aspettarci macchine realtivamente più lente e sorpassi più frequenti. Le gerarchie a cui siamo abituati potrebbero ribaltarsi. In griglia troveremo anche la Aston Martin progettata dal genio Adrian Newey. E aspettiamo sempre la Ferrari, dopo un campionato che ha deluso i suoi tanti tifosi, e prima di tutti Charles Leclerc e Lewis Hamilton. Il pilota monegasco nonostante tutto è arrivato sette volte sul podio in questa stagione disgraziata, ma in sette stagioni a Maranello non ha ancora vinto niente. «Ci siamo resi conto abbastanza in fretta che non avremmo lottato per il titolo mondiale perché la McLaren era troppo forte, la Red Bull stava iniziando a fare grandi progressi e non aveva molto senso investire tutte le nostre risorse nel tentativo di conquistare il terzo o il secondo posto nella classifica Costruttori. Era meglio concentrarsi sul 2026». Una resa anticipata, dichiarata, amara. «Non è mai qualcosa che si desidera fare, avrei preferito di gran lunga spingere lo sviluppo per tutto l’anno per cercare di conquistare quel titolo mondiale. Ma se ci si trova nella posizione in cui eravamo all’inizio dell’anno, penso che fosse una scelta ovvia. Quindi, non me ne pento». Ma il tempo si stringe anche per lui: è arrivato che era un predestinato, e a 28 anni è ancora lì che guarda vincere gli altri. Benvenuto, giovane Kimi: ecco la vita da pilota che ti aspetta