Dalla Champions alle stalle: la parabola triste del Girona che contro il Barça sogna una notte stellare

Quel viaggio di un'ora e un quarto che li separa dal Montjuic per il Girona sarà un abbraccio della nostalgia. Ritrovare il Barcellona, nello stesso stadio in cui due anni fa hai giocato la migliore partita della tua storia, significa riassaporare un gusto di vintage dolcissimo, riavvolgere il nastro dei ricordi con il color seppia, anche solo per dare un tono a una stagione cominciata in modo sbiadito. Punzecchiati dalla memoria, i tifosi gironistes e anche tanti appassionati di Liga si saranno chiesti come sia possibile passare in due anni dal rifilare quattro gol a domicilio al Barça campione di Spagna di Xavi e Lewandowski al finire in fondo alla classifica già all’ottava giornata: terzultimo posto con sei punti, di cui tre nelle prime sette giornate. Per dare una risposta, conviene sì dare un'occhiata all'indietro, ma con un'ottica differente. Ci si accorge così che questo derby catalano tra Barcellona e Girona è un po' una rarità, perché in 96 anni di Priméra División si è visto solo dieci volte. Per intenderci, il Girona ha affrontato di più il Barça B, la seconda squadra blaugrana che fa la spola tra la seconda e la terza serie, che quello vero. Normale, dunque, che se hai nel curriculum solo cinque stagioni ai massimi livelli, senza una storia e un'esperienza di un certo tipo, si fatica a trovare stabilità e dimensione. Luca Marelli: «Il Var ha trasformato gli arbitri. Non avremo più un nuovo Collina» Un gruppo irripetibile Gia nell’estate del 2023 i pianeti si erano evidentemente allineati. In una notte del dicembre successivo, poi, nello stadio di Barcellona ‘92, il Girona si era messo in testa l'alloro di squadra più divertente di Spagna. Il calcio iperoffensivo dei biancorossi, fatto di strappi, transizioni, triangolazioni e inserimenti, ha fatto impazzire la difesa del Barça che si è vista arrivare addosso una serie di velocisti dai piedi raffinati. La ricetta perfetta per un disastro, molto più netto del 2-4 finale. Quello era stato il picco tecnico di un gruppo irripetibile e irripetuto, in cui tutti avevano overperformato. Da Eric Garcia a Savinho, passando per Yan Couto, Aleix Garcia e Artem Dovbyk. Gente che nel giro di qualche mese è entrata in Nazionale e si è lanciata verso club più blasonati come Barcellona, Manchester City, Borussia Dortmund, Bayer Leverkusen e Roma. Montilivi, lo stadio di casa, era diventato un luna park, in cui si ammirava una caterva di gol ogni weekend. Merito di un sistema d’attacco da 81 punti in Liga, creato da un allenatore, Míchel, fino a quel momento considerato valido ma non adatto ai primissimi piani. La Spagna è l’epicentro delle proteste sportive contro Israele: ora il governo valuta di non andare ai Mondiali 2026 Lui che, poco prima del fischio finale della vittoria che ha ufficializzato la prima storica qualificazione in Champions, è quasi scappato dal campo per baciare la moglie in un sottofondo romantico, con diecimila persone che cantavano l’inno della Champions. Per uno scherzo del destino c’era di mezzo ancora il Barcellona, sconfitto pure al ritorno, a maggio, sempre per 4-2. Altro picco, questa volta emotivo, di un periodo straordinario. Quando ti avvicini al sole, però, c’è il rischio di bruciarti e di sole, in quel pomeriggio di maggio, ce n’era parecchio. Per struttura, budget e formazione il club non era pronto alla massima competizione europea, tanto che il girone unico è stato fallimentare. Trentatreesimi su trentasei, con soli tre punti conquistati contro lo Slovan Bratislava. Le difficoltà di gestione del doppio impegno, una marea di infortuni, la cessione di quei cinque titolari e un mercato sventurato hanno reso il 2024/25 la sceneggiatura ideale per un episodio di “Stagioni da incubo”. Da culla a periferia: la crisi dell’Europa spiegata dal calcio Cimitero degli elefanti Il Girona si è salvato solo nelle ultime settimane, trascinato da capitan Cristhian Stuani (sì, l’ex Reggina). Dei 13 giocatori giunti ad agosto ne sono rimasti ora solo sei. A parte Krejci, venduto al Wolverhampton per 30 milioni di euro, gli altri (Miovski, Arthur, Misehouy, Danjuma, Oriol Romeu e Pau Lopez) sono stati salutati senza rimpianti. I Blanquivermells sono un asset di una multiproprietà, il City Group (detentore in Italia del Palermo), che, a parte per il business principale di Manchester, non spende e spande, ma investe gradualmente, anche perché non considera il club un serbatoio di possibili talenti, ma una palestra per poi farsi valere in Inghilterra. Per rimanere nelle rigide norme finanziarie de La Liga, poi, l’amministrazione si è concentrata maggiormente sulla crescita dei salari, portando il monte ingaggi, prima tra i più bassi del campionato, al decimo posto. Pensiero critico e coscienza politica: il terzo Pallone d’Oro di Aitana Bonmatì Le ultime due campagne acquisti sono state un mix di nomi esotici di campionati minori e giocatori in cerca di rilancio dopo anni sfortunati nei top club, come Witsel, van de Beek e Lemar. Un’idea che non sta funzionando e che sta trasformando quest’angolo di Costa Brava in un cimitero degli elefanti. Come ha detto recentemente Mìchel, «si è persa la magia di due anni fa». Quell’aura che permetteva pensieri smargiassi ma efficaci, come il ritenersi più bravi del Barcellona e di conseguenza piazzargli otto reti in due match. Nella passata stagione il derby è tornato a essere una “simpatica” gita in cui si rientra a casa con il pallottoliere dei gol subiti, ma in una fase così buia come questa può essere d’aiuto. Il successo contro il Valencia prima del break delle qualificazioni mondiali ha dato un po’ di fiducia. Non sappiamo se l’aria di Barcellona basterà a innescare di nuovo quella vampata di un paio di anni fa, ma di sicuro per provarci non c’è stadio migliore di uno in cui si è accesa una torcia olimpica. Antirazzismo a intermittenza: la nuova task force Fifa voluta da Infantino è frutto della sua guerra a Blatter