Il buio dietro un oro olimpico, la forza della nuova Alice D’Amato

Chissà cosa si prova a vincere un oro alle Olimpiadi. Non se lo era mai chiesto Alice D’Amato, nonostante il suo essere una pluricampionessa con un palmares già ricchissimo. Non si era mai immaginata sul gradino più alto del podio dei Giochi. Il 5 agosto 2024 è cambiato tutto, è diventata la prima italiana della storia a conquistare un titolo olimpico individuale nella ginnastica. I dieci centimetri di larghezza della trave di Parigi le hanno spalancato la porta di un mondo totalmente sconosciuto. È diventata un simbolo, invitata ovunque tra premi, ovazioni e applausi. Ma dietro ai sorrisi esibiti ha iniziato a insinuarsi il dubbio. Anziché la luce, Alice ha trovato il buio. «Sono andata completamente in tilt. Sono sprofondata in un buio profondo. Ho toccato il fondo, non fatico a confessarlo. Adesso però sto riuscendo a risalire, a rialzarmi». Gold medalist Alice D' Amato of Italy poses on the podium for the Women Balance Beam final of the Artistic Gymnastics competitions in the Paris 2024 Olympic Games, at the Bercy Arena in Paris, France, 05 August 2024.ANSA/ETTORE FERRARIANSA Cosa l’ha mandata così in crisi? Ha scoperto che c’è un altro mondo oltre la ginnastica? Dopo le Olimpiadi sono stata catapultata in un altro mondo, fuori dalla mia zona di comfort. All’inizio ho avuto paura di non essere all’altezza, di non sapere gestire le nuove situazioni. Ho scoperto un’altra me che non conoscevo. Cercavo di nascondere la mia sofferenza, fingevo sorrisi, ma poi alla fine sono sbottata. Perché quando non stai bene con te stessa non stai bene nemmeno con gli altri. L’altra faccia della medaglia di casa D’Amato: «Alice oro a Parigi, io volevo smettere» La nuova Alice ha mandata in tilt la vecchia Alice? Ho iniziato a chiedermi: ma ne vale ancora la pena di continuare a fare l’atleta? Amo la ginnastica ma so quanti anni di impegno totalizzante mi ha richiesto. Mi dicevo: se decido di ricominciare, voglio tornare iper-competitiva, io non sono una da vie di mezzo. A metà strada non ci voglio rimanere. Avevo messo su peso, circa quattro chili. Quando mi allenavo in palestra, quel poco che facevo, mi rendevo conto di fare fatica. Mi sembrava di non riuscire a fare più niente e mi demoralizzavo. Anche per questo ho pensato seriamente di smettere. La nube tossica della ginnastica italiana: «I tempi sono cambiati, ora miglioriamo l’ambiente» Aveva già pensato di abbandonare la ginnastica tre anni fa, dopo la morte prematura di suo padre. Era accaduto prima, appena avevo scoperto la sua malattia. Comprendendo la gravità della situazione, mi ero detta: il giorno in cui verrà a mancare papà, io smetterò di fare ginnastica. Invece, dopo la sua morte, è stata proprio la ginnastica che mi ha salvato. Con Asia, mia sorella, abbiamo voluto continuare a fare ciò che a lui dava più gioia. Lui era il nostro primo tifoso. La fatica di essere Alice D’Amato: i sacrifici invisibili delle ginnaste Tornando al buio di questi ultimi 12 mesi. Chi l’ha aiutata? Credevo di riuscire a farcela da sola ma non ce l’ho fatta. Ho sempre avuto l’amore e il supporto di mia madre, di mia sorella Asia, dei miei allenatori Marco Campodonico e Monica Bergamelli, del mio gruppo sportivo delle Fiamme Oro, ma ho sentito la necessità di farmi seguire a livello professionale. È stato il mio primo grande passo, l’aver trovato il coraggio di dirlo, di chiedere aiuto. Ho iniziato un percorso con una psicoterapeuta, mi sta aiutando veramente a uscirne. Dietro le quinte dell’oro di Alice D’Amato alle Olimpiadi di Parigi A fine settembre, agli Assoluti italiani a Cagliari, l’abbiamo vista in lacrime dopo il concorso generale. Medaglia d’argento dietro all’emergente 16enne Giulia Perotti. Erano lacrime di gioia, di orgoglio. Per aver sconfitto le mie fragilità. Sapevo di non avere una preparazione adeguata ma volevo rimettermi in gioco. Dopo tanta oscurità ho rivisto uno spiraglio di luce. La mia vittoria era dire a me stessa: Alice ce l’hai fatta, non hai mollato, puoi ancora dare tanto alla ginnastica. Non è presente ai Mondiali a Giacarta (19-25 ottobre) con la nazionale che si affida a tre giovanissime esordienti (Sofia Tonelli, Giulia Perotti e Emma Fioravanti) insieme alle due campionesse veterane Manila Esposito e sua sorella gemella, Asia D’Amato. Sono orgogliosa di Asia, è il suo grande ritorno dall’infortunio che le aveva fatto saltare i Giochi di Parigi. In alcuni momenti mi sono sentita non adatta nei suoi confronti. Cioè, io stavo attraversando il mio periodo più buio, con un oro olimpico al collo, mentre lei lottava come una leonessa nel voler tornare a gareggiare dopo essere stata praticamente fuori tre anni. In merito alle giovani esordienti, adoro vederle crescere e imparare da loro. Non solo risultati e medaglismo: il vento nuovo di ginnastica e scherma Da campionessa olimpica non si mette sul piedistallo? Macché. Odio essere al centro dell’attenzione, il concetto di tirarsela è quanto di più lontano da me. Anzi, proprio perché lo sanno, per prendermi in giro, me lo dicono apposta: tu sei la campionessa olimpica. So si essere un punto di riferimento per i giovani ma è uno scambio reciproco. È accaduto anche a noi, quando abbiamo lasciato Genova, a 10 anni, per andare ad allenarci a Brescia alla Brixia. Ogni giorno avevamo come esempio in allenamento Vanessa Ferrari. La ginnastica può essere anche pericolosa. Il 23 luglio l’infortunio di Lorenzo Bonicelli, la tremenda caduta dagli anelli. Prima di partire per i Mondiali di Giacarta gli azzurri della nazionale maschile sono andati a trovarlo all’ospedale Niguarda dove è ricoverato per la riabilitazione. Sono state settimane orribili, di disperazione. Conosco bene Lorenzo, mi sono sentita pure in difetto perché gli avevo mandato un messaggio: «Spero non sia nulla di grave, Lore». All’inizio non ci era stata comunicata la gravità della situazione. Tutti noi cerchiamo di fargli sentire il nostro supporto, la ginnastica in fondo è una grande famiglia allargata. Ma la nostra forza è niente in confronto alla sua. Lo ammiro tantissimo. La ginnastica di Johanna Quaas a 98 anni: la longevità non è un destino ma una scelta Ha scritto un libro Libera in volo (De Agostini), concepito come una sorta di diario, molto colorato e illustrato. Non è però un libro di “fate” (il soprannome delle azzurre della ginnastica artistica ndr). Descrive tanti dolori, compresi quelli al mattino quando si alza dal letto tra articolazioni, tendini, e caviglie che scricchiolano. Ho voluto raccontare la mia storia, rivolgendomi soprattutto alle più giovani. Mica potevo raccontare un mondo tutto rose e fiori, che non esiste. Sono le cose vere quelle che ispirano. Voglio dimostrare alle ragazze che mi scrivono e mi seguono che ci sono sempre ostacoli da superare. Nella ginnastica non c’è niente di magico, è tutto lavoro, sacrifici e allenamenti. Ci vuole determinazione. Quando si sente davvero Libera in volo? Quando sono a tu per tu con il mio attrezzo preferito, le parallele. È dove riesco a esprimermi al 100 per cento. Mi regala una sensazione di libertà. L’oro olimpico l’ha vinto nell’attrezzo che ha più odiato. Con la trave ora ha fatto pace? Sulla trave mi sono sentita spesso insicura, non vedevo l’ora di finire l’esercizio proprio per evitare il giudizio degli altri. È stata decisiva Monica nell’infondermi fiducia, quando senti che la tua allenatrice crede in te, è uno stimolo notevole. Diciamo che ci ho lavorato tanto, più a livello mentale che fisico. Il manifesto dell’agonismo essenziale, le medaglie snobbate della ginnastica Una iper-pignola come lei subisce il giudizio degli altri? Non mi accontento mai, sono sempre in cerca della perfezione. Adesso però sto imparando a trattarmi con più gentilezza. A livello caratteriale ho sempre avuto il timore del giudizio altrui, non ascoltavo mai me stessa. Mi verrebbe da dire che questo 2025 è stato un anno da cancellare per me, invece no. Proprio dal buio ho imparato a prendermi cura di me. Adesso sono io che scelgo. Al centro ci sono io, non la ginnastica e nemmeno il mondo esterno. A 22 anni che cosa la preoccupa del mondo esterno? Inorridisco davanti ai continui casi di femminicidio. Non nego che la paura ce l’ho, fortissima. Io non sono fidanzata ma, assistendo a questi tragici episodi, e anche confrontandomi con le mie coetanee, percepisco uno sgomento generale. Perché c’è un riflesso incondizionato, quasi una paura a vivere. Come si fa? Diventa difficile fidarsi. Ginnastica ritmica, tutti sapevano dello scandalo ma erano complici