Sinner conquista ancora le Atp Finals, come sarà il tennis dopo Torino

Qualcuno deve averglielo consigliato. Dai Jannik, sbrinati un pochino. Fai il capopopolo almeno ogni tanto. Metti la mano dietro l’orecchio, chiedi l’applauso dei tifosi. Serve sempre. E lui, da bravo ragazzo, ha obbedito. Il Sinner che ha conquistato il secondo titolo di fila alle Finals battendo Carlos Alcaraz al termine di un match nervoso e crudele (punteggio finale 7-6, 7-5) è un Sinner per molti versi nuovo, più desideroso di respirare la stessa aria del suo pubblico e da essa trarre energia. Un Sinner che ha messo un mattone fondamentale nella costruzione della vittoria grazie a una palla steccata e che ha colpito due volte la racchetta. Gesto non punibile perché il movimento dell’atleta è stato uno solo. Un Sinner che ha deciso di far partire da Torino la nuova fase della sua carriera: da bravo ragazzo italiano a personaggio completo, leader non solo di un movimento tennistico ma di tutto lo sport italiano, oltre che dominus incontrastato del suo impero. Un Sinner che ha giocato una partita imperfetta ma meravigliosa sancita dalle lacrime di Umberto Ferrara, il preparatore atletico che era stato licenziato dopo il caso Clostebol e che da poco è rientrato nel team. Quella di Sinner è una saga pazzesca di cui abbiamo per ora visto solo i primi capitoli. E a proposito di film: mentre cala il sipario su Torino è giusto che ogni attore della settimana subalpina sia eletto a protagonista del suo personalissimo film. Vediamo quali. Atp Finals, ancora Sinner in finale: e può diventare un problema JANNIK SINNER “Profondo rosso”. E non certo, o almeno non solo, perché il capolavoro di Dario Argento fu girato in gran parte nel centro di Torino, a poche decine di metri dall’hotel (c’era già allora) dove il nostro pernotta quando compete alle Finals. Immaginare Jannik che si concede un caffè al BluBar, dove Gabriele Lavia suonava il pianoforte part-time davanti alle statue del Po e della Dora (dove anni dopo un caffè è sorto davvero) è una bella suggestione. Rosso lui è davvero e pure profondo: il che non ha alcuna connotazione negativa, anzi. Per vincere a Torino ci vogliono una profondità di impegno e di programmazione non comuni. La profondità non è sinonimo di caduta libera: nel profondo ci sono i vissuti che ci rendono cosa siamo ora, i misteri che ci affascinano, il silenzio che ci permette di ascoltarci. Quella profondità da cui il rosso dovrà attingere per diventare uno dei più grandi di sempre. L’inutile e dannoso dibattito sull’identitarismo di Jannik Sinner CARLOS ALCARAZ “L’uomo dei sogni”. Non lo ricorderanno in tanti. È quel film del 1989 in cui Kevin Costner fa l’agricoltore e sente una voce che gli dice: «Se lo costruisci, lui ritornerà». Da costruire c’è un campo da baseball che attiri i fantasmi dei Red Sox. Non che Carlos debba costruire un campo da tennis per qualche motivo: ma di sicuro è quello che, anche a Torino, ha dimostrato di avere i cromosomi dell’eletto. Quello che può tenere in vita il tennis capace di far sognare e non di annoiare. È il tennis d’antan quello che potrebbe anche tornare se Carlos costruirà un campo da qualche parte, possibilmente non in mezzo al granoturco come Kostner. Non si tratta di una patetica difesa del passato: ma del desiderio di dimostrare ai posteri che si può essere vincenti anche sapendo eseguire una palla corta apprezzabile, un attacco in chop, quelle cosette lì insomma. Non di soli campi in terra vive un tennista: Musetti e il problema dei “quattro padri” ALEX DE MINAUR “Fino all’ultimo respiro”. Diceva il regista di quel film indimenticabile, Jean Luc Godard, che il cinema inganna, lo sport no. E se non inganna allora l’australiano non può che essere il tennista, fra gli otto eletti, che incarna fino in fondo quel bout de souffle di cui Belmondo era interprete. Combattente estremo soprannominato a ragione Demon, è stato protagonista a Torino delle lotte più furibonde perché quello è il suo carisma, non può essere altro o comportarsi in altro modo. Combattere e, quando incontra Sinner, soccombere pur dopo tre quarti d’ora (il primo set) di tennis egregissimo. Lui deve combattere fino all’ultimo respiro senza avere mai nessuna garanzia di farcela. Sperando però di fare una fine diversa da quella di Michel-Belmondo nel film. Alex è il più godardiano dei top player perchè è il testimonial dello sport che non inganna con finte illusioni: puoi sputare l’anima ma poi alla fine perdi. La strana sorte del doppio: il lato più spettacolare del tennis che i big continuano a snobbare FÉLIX AUGER-ALIASSIME “L’uomo di ferro”. Fisicamente magari no visto che con i guai fisici il canadese ci deve fare i conti da tempo e pure a Torino un polpaccio indurito ne ha limitato la prestazione contro Sinner. Ma di animo Félix è di ferro davvero. Non foss’altro perché, alla stregua del Winkel del film di Vajda che si rifiuta di screditare un attivista duranti la primavera di Danzica, anche lui ha dimostrato di avere delle priorità nella vita. Ad esempio non giocare dopo il 1000 di Parigi mettendo a rischio la sua partecipazione a Torino per non rischiare di farsi male. I maligni dicono che in realtà almeno gli interessati già fossero a conoscenza del fatto che Djokovic sotto la Mole non si sarebbe fatto vedere ma insomma, come disse un antico direttore di grande giornale, non si rovini una bella storia con la verità. Impianti moderni e show diversi. Sarà il caldo a cambiare il tennis BEN SHELTON “Enigma”. Era la macchina codificatrice con cui i comandi militari nazisti comunicavano con gli U boot. Per capire cosa si annida nel cervello dell’americano ci vorrebbe, come nel film di Apted e nel romanzo di Robert Harris entrambi ispirati alla vera vicenda bellica, un Alan Turing in grado di decodificare quei codici per far compiere una svolta al più debordante dei tennisti attuali ma in cui tanta debordanza con corrisponde ai risultati. Sebbene giovane, potrebbe anche stufarsi prima o poi di mettere a rischio la sua spalla destra servendo come un forsennato per poi sbagliare il colpo successivo. Shelton ha bisogno di risolvere l’enigma che è in lui per fare in modo che l’impresa che ha posto al centro della sua esistenza non finisca come quegli Uboot che, una volta scoperti i segreti della macchina nazista furono oggetto di messaggi farlocchi e depistanti da parte degli Alleati, per poi silurarsi l’un l’altro. La conversione del tennis in show. Il doppio misto è una rom-com ALEX ZVEREV “Povere creature”. A ben vedere l’errore sta nel plurale dato che il titolo corretto sarebbe al singolare: povera creatura. E non è detto che se Yorgos Lanthimos lo conoscesse, Sasha, non ne farebbe il protagonista di un suo film, con quel volto che sta a mezzo fra Rutger Hauer (quello di Blade Runner, delle navi in fiamme al largo dei bastioni di Orione etc etc) ed Emma Stone, la sua attrice feticcio. Il tedesco appena pensa a Sinner si sfalda, ha ammesso di aver patito crisi di rigetto nei confronti del tennis, si sbatte da anni e non ha mai vinto un titolo Slam. Nelle Finals (dove ha vinto due volte) è ora una terza linea anche la classifica lo pone a ridosso dei due mostri. Ha sempre stampata sul volto l’espressione: e ora che faccio? Non è bello per uno che aveva accarezzato l’idea di diventare il re del dopo Fab Four. La felicità perduta di Berrettini, l’amico fragile del tennis LORENZO MUSETTI “Perfect days”. Ci voleva un maestro assoluto come Wim Wenders per celebrare il Magnifico e le sue giornate pre e post torinesi. Una in particolare, quella della vittoria notturna di De Minaur che è stato l’unico match intriso più di tensione emotiva che di violenza dei colpi. C’è un desiderio molto wendersiano nel tennis di Musetti: quello di vincere celebrando l’attimo, il guizzo, il colpo di genio, la capacità di sottolineare il dettaglio (possibilmente non con un poco degno apprezzamento nei confronti del Padreterno) a detrimento del panoramico. Con questo, così come un film di Wenders è un insieme di dettagli e di silenzi che raccontano il tutto, il tennis di Lorenzo ha bisogno di alcune piccole correzioni soprattutto nelle sensazioni che albergano nella sua testa. Ma il tempo c’è, non è necessario avere fretta. Wenders non ha ancora vinto un Oscar, per dire. E di capolavori ne ha firmati tanti. Il ritorno delle super teenager nel tennis: ora qualcuno le protegga TAYLOR FRITZ “Saturno contro”. I temi di Ozpetek sono più drammatici, certo. Ma quello dell’elaborazione del lutto va bene anche per il tennista americano, il quale non riesce proprio ad elaborare il fatto di non riuscire a diventare un serio concorrente di quei due. Alle Finals è parso avere contro non solo Saturno, noto responsabile di varie disgrazie, ma anche gli altri pianeti del sistema solare. E il tempo passa. E pensare che pare avere tutto per farcela: il problema sta proprio in quel “pare” che lo separa dalla consapevolezza di ciò che invece gli manca. Di diamanti, tanto per restare nella filmografia di Ferzan, il suo tennis è ricco: ma dai soli diamanti non nasce nulla come ha insegnato Faber. Speriamo per lui che Saturno esca dal suo orizzonte. Il ritorno delle super teenager nel tennis: ora qualcuno le protegga