Tennis, Sinner rinuncia alla Davis: ora il movimento italiano dimostri davvero di essere grande

Ora sappiamo che lo spin doctor di Jannik Sinner è Aurelio De Laurentiis. Il quale con grande tempismo ha sentenziato che nessun calciatore dovrebbe accettare la convocazione in Nazionale una volta compiuti i 23 anni. O forse questa dovrebbe diventare la regola, chissà. Resta il fatto che contestualmente alla sparata del presidente del Napoli (che mica è il solo: ai tempi suoi Antonio Giraudo, plenipotenziario della Juventus, profetizzava che le Nazionali avrebbero dovuto prendere forma solo nell’imminenza di Europei e Mondiali) Filippo Volandri ha diramato le convocazioni per le Finals di Davis che a novembre si svolgeranno a Bologna: e Sinner nell’elenco non c’è. «Non si è reso disponibile», ha spiegato il capitano azzurro, aggiungendo l’inevitabile contorno di zuccherosità varie nello stile di «’sta casa aspetta a te». A reggere il ruolo di defending champion (l’Italia ha vinto le ultime due edizioni con Jannik in campo) saranno Berrettini, Cobolli e Musetti più Bolelli e Vavassori per il doppio. I quali, vista l’assenza del sovrano, stavolta il campo lo dovrebbero almeno vedere, al contrario di quanto successo a Malaga nel 2024. La libertà di dire di “no” all’azzurro: se la Nazionale non è un obbligo Le solite polemiche Fin troppo facile prevedere le reazioni che hanno preso a palesarsi sui social immediatamente dopo la diffusione della notizia: rieccolo il finto italiano che veste i panni azzurri quando proprio non ne può fare a meno (le ultime due edizioni delle Finals), ma che se può trovare una scappatoia ci si infila senza colpo ferire, come dimostrano i forfait in extremis ai Giochi di Tokyo e Parigi. Uno che vive a Montecarlo, che in famiglia parla tedesco e che nemmeno i plurimi ruoli di testimonial di prodotti tipicamente italiani (come la pasta e il caffè) hanno trasformato in uno del popolo. Altra angolazione di sguardo e strali di segno opposto: Sinner è il re, ha creato in Italia una passione nuova in soggetti nuovi e di diversa età, è uno che, altro che Montecarlo, risiede in un empireo vietato ai sentiment del popolo. Che volete che sia se, per un anno, non gioca la Davis; la vinceremo lo stesso, magari lui si paleserà a Bologna per ungere col sacro crisma i compagni di squadra. In attesa che la sede delle Finals diventi Bolzano, casa sua, dove oltre a esserci, potrebbe anche deliziare gli astanti con un’ascensione mistica nei panni di colomba della pace. Non più leader indiscusso: la vera sfida di Sinner è elaborare il dualismo con Alcaraz E poi tutti i grandissimi la Davis l’hanno giocata col contagocce, mica sempre. Per convincere Federer a cimentarsi, l’amico Wawrinka dovette 11 anni fa inginocchiarsi sui ceci. E ben gliene incolse perché, grazie alla presenza del re, la Svizzera conquistò la prima insalatiera della sua storia. Alcaraz quest’anno si fa bello annunciando che sarà presente, ma ne ha ben donde dopo che l’anno scorso gli toccò prendere parte come seconda linea al match con l’Olanda, ultima apparizione di Rafa Nadal da agonista. Non gli si rompa l’anima a Sinner, dicono i difensori: è giusto che faccia quello che gli aggrada. Certo che i tempi cambiano e quasi non ce ne accorgiamo. La prassi dei giocatori italiani di richiedere degli extra per giocare in Davis appartiene davvero alla preistoria; in tempi tutto sommato più recenti chi avesse avuto l’ardire di rifiutare la convocazione sarebbe stato bandito dal regno. Ne sa qualcosa uno che in Nazionale oggi c’è ancora, Simone Bolelli, che vide i sorci verdi per aver rifiutato di essere presente a un match contro la Lettonia. Ma Sinner è un’altra cosa, un’aura di divinità lo avvolge e per convincerlo qualche volta a scendere dal suo alloggio celestiale e giocare nel più proletario azzurro bisogna accettare che altre volte risponda picche all’ossequiosa chiamata. Non è manco questione di due pesi e due misure: c’è uno, lui, che ha un peso e poi ci sono gli altri. Altro che primo nazista: Sinner è l’ultimo democristiano rimasto L’opportunità A ben vedere chi rischia, con l’assenza di Jannik, è chi ha sempre sostenuto che se l’avvento dell’uomo di San Candido è stato frutto della buona sorte che l’ha fatto nascere da noi (e pure di quelli che l’hanno scoperto, seguito, cresciuto e accompagnato), il resto dello scintillante movimento azzurro maschile è merito di un’organizzazione di base rivoluzionata, oculata, vincente, ecc ecc, che ha permesso ai talenti di svilupparsi a crescere. A Bologna quel “movimento” avrà l’occasione di dimostrare di essere maturo per conto suo. Musetti di essere un leader che quando è il caso non si esibisce in due doppi falli di fila in un tie-break contro Mpetshi Perricard (non esattamente il re dei risponditori) come è successo a Bruxelles; Cobolli di saper reggere la responsabilità derivante dall’occasione, Berrettini di saper essere un conducător, i due doppisti di non sciogliersi come neve al sole quando c’entra il tricolore. Questo tennis sembra danza: cosa ci dicono i corpi di Sinner e Alcaraz Non ci sarà Sinner a tappare buchi, nessun alibi. Quella di Bologna sarà la grande occasione di un “movimento” di dimostrarsi vincente. Quanto a Jannik forse proprio nell’anno in cui è stato fermo tre mesi per squalifica, uno sforzo in più l’avrebbe potuto fare. Ha deciso invece di anticipare le vacanze per poi dedicarsi anema e core alla preparazione di Melbourne, dove l’anno scorso ha vinto. Avendo più tempo per lavorare su quei dettagli che quest’anno non gli hanno permesso di battere Alcaraz nelle finali di Parigi e New York e mettere in cantiere quella forza fisica necessaria per vincere sulla terra. Che gli altri si interroghino su quale sia il suo sentimento patriottico a lui interessa poco o niente. Viene in mente un verso di Gaber: «Io non mi sento italiano/ma per fortuna o purtroppo lo sono». Lo sport italiano, l’Alto Adige e il cosmopolita Sinner. La libertà di scegliere chi siamo