Nel 2017, ad Afragola, è arrivato mezzo governo per inaugurare la stazione dell’alta velocità, progettata dall’architetta Zaha Hadid, costata 71 milioni di euro. «La sicurezza sarà il nostro impegno quotidiano», ha detto Paolo Gentiloni, allora presidente del Consiglio. Un messaggio chiaro contro la camorra, che nel piccolo comune in provincia di Napoli per anni ha intimorito i commercianti con ordigni all’ingresso dei negozi. 

Dalle carte dell’ultima inchiesta della distrettuale antimafia di Napoli emergono, invece, le infiltrazioni della camorra nei lavori per la realizzazione dell’opera infrastrutturale, con tanto di tariffario del clan. 

La camorra è quella dei Moccia, clan che esercita la sua egemonia proprio ad Afragola, ma che ha interessi anche nel Lazio e in Puglia. Negli anni del grande affare della stazione di Afragola, i vertici del gruppo camorristico erano in libertà, diversi boss erano stati destinatari di sconti di pena e benefici di legge, nonostante alle spalle avessero un passato da stragisti nella guerra di camorra negli anni Ottanta. 

«Gli accertamenti relativi al coinvolgimento del clan Moccia in una delle più importanti opere infrastrutturali degli ultimi anni, costruita peraltro proprio nella roccaforte del clan, consentivano di individuare numerose società, a vario titolo risultate beneficiarie di contratti di appalto o subappalto, riconducibili a soggetti legati a doppio filo alla famiglia Moccia», ha scritto la giudice Maria Luigi Miranda. 

Un’opera lunga 20 anni

Era il 1997 quando, all’esito di un percorso avviato anni prima, è stata scelta Afragola come città che avrebbe ospitato una stazione della linea alta velocità ferroviaria. L’accordo di programma è stato firmato a palazzo Chigi alla presenza di ministri ed vertici degli enti locali, tra questi anche Antonio Bassolino, allora sindaco di Napoli, originario proprio di Afragola. Nel 2003 è stato annunciato da Tav, gruppo Ferrovie dello stato, un concorso internazionale per realizzare la stazione.

La stazione avrebbe dovuto entrare in funzione nel 2008 e collegare la linea locale della Circumvesuviana. Ma entrambi gli obiettivi non sono stati raggiunti. Alla stazione, ancora oggi, si accede da strade accidentate, con rotonde trasformate in discariche, buche, degrado e un sottopassaggio dove le auto alle prime piogge finiscono sommerse dall’acqua. La fine dei lavori è prevista nel 2025.

La stazione, tra rinvi e fermo lavori, sequestri e polemiche sui collaudi, è stata inaugurata nel 2017, con dieci anni di ritardo. In concomitanza dell’inaugurazione dell’infrastruttura alla presenza del presidente Gentiloni, sono arrivate anche le critiche di Luigi Di Maio, allora deputato, che ha definito il premier come «ridicolo». Il M5s  ha parlando di possibili rischi di infiltrazioni dei clan nelle aree adiacenti alla stazione, ma in realtà le imprese legate al clan la stazione l’avevano già costruita. 

I clan in stazione

Le carte dell’inchiesta Morfeo, eseguita dai carabinieri dei Ros, raccontano l’interesse che il clan ha avuto nelle opere pubbliche che hanno riguardato il territorio campano. Si parte dal primo lotto dal valore di 74 milioni di euro, indetto da Italferr, società del gruppo Ferrovie dello stato.

Nel 2012 è stata scoperta dagli inquirenti la presenza sul cantiere di diverse società che lavoravano in subappalto. Va.Fra. ha trasferito un deposito aziendale in una società riconducibile ai Moccia. Edilmer, invece, che ha fornito materiali, è stata raggiunta da un provvedimento interdittivo per infiltrazioni del clan.

Nel 2012 si aggiudica un altro lotto di gara (da quattro milioni di euro) la società Railway. Azienda, così come Del Gap, vincitrice di diverse gare d’appalto legate a Giuseppe De Luca, pregiudicato per camorra e in stretti rapporti con Angelo Moccia, detto Enzuccio, boss del clan. 

Nel 2015 è stato aggiudicato il secondo lotto dal valore di 61 milioni di euro. Anche in questo caso la società appaltante Italferr ha richiesto le informazioni antimafia alla prefettura su due aziende che lavoravano in subappalto. Le società Kam costruzioni risulta, dall’indagine, controllata da Giovanni Esposito finito in carcere per collusione con il clan Moccia e amico proprio di Angelo Moccia.

«L’indagine consentiva di accertare che i Moccia sono a pieno titolo coinvolti in alcune Ati (associazione temporanea di imprese), o comunque titolari di quote di partecipazione al capitale di singole A.t.i. attraverso soggetti interposti, assumendo di fatto il ruolo di investitori occulti nei singoli lotti di lavori attraverso le aziende che formalmente costituivano i raggruppamenti», ha scritto la giudice nell’ordinanza che ha disposto le 57 misure cautelari.

I Moccia, quindi, hanno investito nelle aziende che hanno partecipato ai bandi di gara consentendo alle stesse di ricorrere solo marginalmente ai finanziamenti bancari. Le hanno rafforzate economicamente per permettere offerte con un ribasso d’asta maggiore rispetto ai competitor, ottenendo così gli appalti.

Uno degli imprenditori, Giovanni Esposito, considerato braccio imprenditoriale dei Moccia, ha raccontato al telefono come si aggiudicavano i lavori e in che modo riuscivano a far lievitare le cifre dell’appalto, da trentamila a duecentomila euro. La sua azienda, Kam costruzioni, ha fatto incetta di appalti: non solo quelli relativi alla stazione di Afragola, Esposito ha avuto rapporti anche con altri imprenditori, vincitori di appalti indetti da Rfi, che sono finiti sotto l’egida dei Moccia. Kam ha costruito il parcheggio della stazione, ad esempio, nonostante l’appalto fosse stato vinto dalla Centro meridionale costruzioni.

Il clan ha tenuto la contabilità dei guadagni che doveva ricevere a fronte degli investimenti effettuati, sia da Kam costruzioni sia dalle altre aziende subappaltanti. L’accordo ha previsto il versamento di metà dei guadagni alla famiglia Moccia.

La Kam ha effettuato anche i lavori per la sala d’attesa interna. In un’altra gara di manutenzione straordinaria gli imprenditori hanno avuto «la certezza dell’affidamento dei lavori ancora prima della deliberazione da parte della stazione appaltante», ha scritto la giudice. La Kam ha effettuato i lavori anche in Emilia Romagna, Giovanni Esposito ha racconta todi aver corrotto un ingegnere, non identificato, di Rete ferroviaria italiana. Gli uomini noti di Esposito in Rfi sono l’ingegnere Salvatore Maisto e l’ingegnere Stefano Deodato, entrambi finiti ai domiciliari. 

La versione dell’azienda

«Rfi ha già disposto la sospensione di uno dei dipendenti coinvolti, riservandosi ogni ulteriore iniziativa  anche il licenziamento come accaduto già in passato. L’altro, invece, non risulta più in organico. Rfi, che comunque nella vicenda si ritiene parte lesa, si attiverà per avere evidenza degli atti al fine di conoscere il nome delle ditte coinvolte nell’inchiesta e il loro ruolo negli appalti. A quel punto potrà adottare, anche nei loro confronti, le più appropriate iniziative», ha riferito l’ufficio stampa di Rete ferroviaria italiana.

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