Il mondo delle criptovalute ha indossato l’abito elegante e ha fatto il suo debutto nell’alta finanza. Coinbase, la piattaforma che in pochi click permette di acquistare e conservare bitcoin, ether e altre monete digitali, è stata quotata al Nasdaq nella giornata di mercoledì: un avvenimento atteso dagli addetti ai lavori con la frenesia dei grandi eventi e nella speranza che conferisca legittimità a un ambiente fino a oggi guardato con grande sospetto. Non è la prima volta che una realtà legata alle criptovalute sbarca alla borsa di New York, ma con una quotazione stimata tra i 65 e 100 miliardi di dollari (superiore a quella attuale di Twitter), Coinbase è il primo vero cripto-colosso a farsi strada a Wall Street.

Per la precisione, Coinbase è un exchange: una piattaforma che rende possibile a tutti comprare bitcoin, ether, litecoin, stellar e altre monete con la stessa facilità con cui si acquista un libro su Amazon. Coinbase permette inoltre di conservarle direttamente sulla piattaforma, quindi senza bisogno di installare complessi software sul nostro computer, e di scambiarle tra di loro. In sintesi, Coinbase ha consentito anche agli utenti comuni – che sarebbero smarriti di fronte alle tradizionali piattaforme di trading e non hanno nessuna dimestichezza con la blockchain – di investire in criptovalute.

Il modello di business della piattaforma fondata nel 2012 da Brian Armstrong (ex dirigente di Airbnb) e Fred Ehrsam (ex trader di Goldman Sachs) è semplice: ogni volta che qualcuno compra o vende criptovalute, Coinbase trattiene una commissione. Semplice ed efficace: con 56 milioni di utenti e oltre 6 milioni di transazioni al mese, i guadagni di questo exchange sono stati pari a 765 milioni di dollari nel solo primo trimestre del 2021, con ricavi complessivi per 1,8 miliardi (+800 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno).

Secondo le stime, Coinbase gestisce da sola l’11 per cento di tutto il mercato delle criptovalute e al termine dello scorso anno custodiva per i suoi clienti oltre 90 miliardi di asset finanziari (composti per il 44 per cento da bitcoin e per il 12 per cento da ether). Alla nascita di Coinbase, quasi dieci anni fa, in pochi avrebbero scommesso sul suo successo: i bitcoin erano l’unica criptovaluta esistente e il loro valore era inferiore a 100 dollari (contro gli oltre 60mila di oggi). Peggio ancora: la notorietà della più nota tra le criptovalute era legata quasi esclusivamente al suo utilizzo su Silk Road (il mercato del dark web in cui, fino alla chiusura da parte dell’FBI, era possibile acquistare droga, armi e non solo) e allo scandalo di Mt. Gox, il più importante exchange dell’epoca che fallì nel 2014 in seguito allo “smarrimento” da parte dei suoi proprietari di circa 850mila bitcoin.

In quegli anni, le criptovalute rappresentano un settore losco, frequentato quasi esclusivamente da hacker, cybercriminali e un manipolo di criptoentusiasti, che vede nella blockchain una tecnologia in grado di rovesciare il mondo della finanza, eliminando qualunque intermediario o banca centrale e lasciando che sia il registro digitale inventato dal misterioso Satoshi Nakamoto a gestire le transazioni di denaro. In un ambiente del genere, i fondatori di Coinbase si fanno subito notare per la loro diversità: invece di aggirare le istituzioni finanziarie e gli enti regolatori, Armstrong e Ehrsam decidono di affrontare tutte le procedure legali necessarie a rendere perfettamente a norma la loro piattaforma. In un mondo anarchico e che vuole travolgere le istituzioni, Coinbase decide di giocare secondo le regole.

È una decisione che paga, perché le permette di conquistare la fiducia degli utenti comuni. Già nel 2013, la piattaforma ha 650mila iscritti e ottiene finanziamenti per 30 milioni di dollari da vari fondi d’investimento, tra cui spicca Andreessen-Horowitz (che aveva già scommesso su Skype, Facebook, Airbnb e innumerevoli altre startup digitali). Il salto di qualità avviene però nel 2017: nel giro di 12 mesi, il valore dei bitcoin sale da mille a 20mila dollari, gli utenti di Coinbase triplicano e la startup supera i 900 milioni di fatturato e i 350 di guadagni. Una montagna di soldi che sarà fondamentale per sopravvivere allo scoppio della bolla speculativa del gennaio 2018 e al successivo “inverno delle criptovalute”, durante il quale i bitcoin perdono fino all’80 per cento del valore e i guadagni di Coinbase si riducono drasticamente.

Tra il 2020 e il 2021, la situazione inizia a migliorare: la bolla è stata riassorbita, i bitcoin riprendono a salire e attraggono l’attenzione di vari attori istituzionali. Paypal annuncia che permetterà ai suoi utenti di acquistare e comprare in bitcoin e altre criptovalute, Tesla acquista 1,5 miliardi di dollari di bitcoin, Morgan Stanley inizia a offrire ad alcuni suoi clienti fondi d’investimento in bitcoin e Goldman Sachs annuncia di volerla imitare; addirittura il sindaco di Miami ventila la possibilità di investire i fondi comunali in criptovalute.

Da oggetto del mistero, i bitcoin sono diventati una sorta di oro digitale. Coinbase può festeggiare: i profitti passano dai miseri 30 milioni del 2019 ai 322 milioni del 2020 e poi, come detto, ai 765 del solo primo trimestre dell’anno in corso. In una lettera scritta in occasione della quotazione, Brian Armstrong afferma: “La speculazione è stato il primo grande caso d’uso delle criptovalute, nello stesso modo in cui le persone hanno speculato acquistando i domini web ai primi tempi di internet. Ma adesso le criptovalute stanno evolvendo in qualcosa di molto più importante. Le persone le utilizzano per guadagnare, comprare, risparmiare, acquistare azioni, fare prestiti e molti altri tipi di attività economica”.

Il futuro, secondo il fondatore di Coinbase, si presenta radioso. Da questo punto di vista, la quotazione della startup di San Francisco offre agli investitori anche un modo meno turbolento per scommettere sulle criptovalute: un’alternativa per chi è interessato a questo mondo, ma non se la sente di rischiare con la volatilità dei bitcoin e delle altre monete digitali. Ma che la quotazione di Coinbase rappresenti un punto di svolta lo mostra anche la corsa intrapresa dalle principali criptovalute: bitcoin ed ether hanno fatto segnare i nuovi valori massimi, XRP (Ripple) è cresciuto dell’80 per cento in una settimana, BNB (moneta peraltro legata a Binance, il più grande exchange nato in Cina) è salito del 50 per cento nello stesso lasso di tempo.

Per dimostrare di poter davvero entrare nella cerchia dei colossi digitali, Coinbase deve però risolvere qualche problema che da tempo l’affligge. Nei momenti in cui la febbre delle criptovalute sale alle stelle – e in cui quindi gli acquisti o le vendite si susseguono precipitosamente – è capitato in più di un’occasione che l’exchange risultasse inaccessibile, causando gravi perdite (o mancati guadagni) a molti utenti. Un elemento ancora più importante – e che potrebbe compromettere la fiducia nei confronti di Coinbase – è invece sottolineato nel suo stesso prospetto finanziario: i risultati finanziari della piattaforma sono legati a doppio filo a quelli dei bitcoin e delle altre monete digitali; un settore ancora giovane, imprevedibile e soggetto a improvvisi e imponenti scossoni. Come reagiranno gli azionisti se si dovesse affrontare un altro inverno delle criptovalute?

Nonostante questi avvertimenti, la quotazione di Coinbase è circondata prevalentemente da entusiasmo, tanto da aver relegato sullo sfondo il risentimento di molti pionieri e puristi della blockchain. Per loro, la creatura di Armstrong ed Ehrsam è il nemico: una piattaforma centralizzata e un intermediario che gestisce per conto terzi le transazioni e i depositi di quelle monete nate proprio per decentralizzare la finanza e fare piazza pulita di tutti gli intermediari. Da questo punto di vista, Coinbase – che pure sul suo sito web afferma di voler “creare un sistema finanziario più aperto” e “aumentare la libertà economica” – rappresenta una gigantesca contraddizione. O forse una conferma di come il settore che ruota attorno ai bitcoin stia abbandonando le utopie rivoluzionarie in cambio di un posto al tavolo di Wall Street.

© Riproduzione riservata